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Fiscal compact? La fine delle sovranità nazionale degli Stati dell’Europa

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2014 14:05
22/02/2012 23:49
 
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Fiscal compact? La fine delle sovranità nazionale degli Stati dell’Europa (Fonte: statopotenza.eu - 04/02/2012)

Ieri a Bruxelles al termine di un summit di tutti i paesi dell’Ue è stato approvato il “fiscal compact”, un patto per rafforzare le regole di bilancio sul deficit e il debito in tutti gli Stati membri. Hanno firmato tutti (25 su 27) eccetto Gran Bretagna e Repubblica Ceca, tale accordo è stato dichiarato molto soddisfacente dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy,dal presidente della Commissione Josè Barroso ,dal presidente della Bce Mario Draghi e ovviamente pure da Il primo ministro italiano Mario Monti. Ma entriamo nel dettaglio di questo accordo e vedremo che forse tutto questo entusiasmo non và molto nell’interessi dell’Europa e in particolare della nostra Italia :
1- OBBLIGO Di PAREGGIO – Il “patto”tra i 25 paesi stabilisce la “regola d’oro” del pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali e/o in legislazioni equivalenti e prevede sanzioni semiautomatiche contro ogni violazione del criterio dell’avanzo. L’equilibrio è definito come un deficit strutturale ad un livello massimo dello 0,5% del Pil. Per i paesi che hanno un debito al di sotto del tetto del 60% del Pil il margine sarà un po’ più alto cioè dell’1%. Le procedure potranno essere fermate soltanto con una maggioranza importante contraria (85%). I governi da oggi hanno un anno di tempo a partire dall’entrata in vigore del Trattato per mettere in pratica le nuove norme sul pareggio. Non solo , La Corte di giustizia Ue potrà imporre sanzioni e multe fino a un massimo dello 0,1% del Pil ai Paesi che non metteranno l’obbligo del pareggio di bilancio nelle leggi nazionali. Le multe verranno versate all’Esm il fondo salva-Stati permanente. A stabilire l’ importo delle ammende “adeguate al reato”sarà la Corte di giustizia Ue e la sanzione pecuniaria potrà essere usata quando il Paese al centro della procedura risulterà recidivo, cioè “colpevole” di non aver rispettato una prima sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia.
Quindi d’ora in avanti il bilancio dello Stato di un paese non sarà più deciso dal Ministero del tesoro e dalla Banca centrale Nazionale,ma sarà ad arbitrio di Bce e Corte di giustizia europea, le quali sempre arbitrariamente a chi “sgarra” potranno imporre contro ogni volontà sanzioni economiche ai “trasgressori”.
In più per i paesi che hanno un debito al di sotto del tetto del 60% del Pil il margine di tolleranza sarà dell’1% , mentre per i paesi più indebitatati sarà solo dell’0,5%. E’ illogico, dato che chi ha più debiti deve avere un margine più alto e non il contrario come previsto dal Fiscal compact. Così si appesantisce ancor di più il fardello de paesi più in crisi favorendone la recessione, altro che aiuti !
Quello che nessuno ovviamente dice media compresi,è a che prezzo si imporrà l’obbligo di pareggio di bilancio, addirittura istituito per leggi costituzionali ! , ai vari paesi e soprattutto a chi verrà fatto pagare questo prezzo …. Mettere per obbligo il pareggio significa che per realizzarlo i singoli paesi ,specie quelli del Sud Europa tra cui l’Italia, dovranno adottare un’Austerity ancor più severa di oggi con ulteriori Tagli al Welfare,alla spesa sociale e privatizzando ogni servizio . Tutto ciò colpirà maggiormente i lavoratori e i ceti medio-bassi impoverendoli economicamente ma anche nei diritti lavorativi,sanitari ecc. Nessun paese può più decidere una propria linea economica,a quale settore destinare più risorse e a quale meno , insomma addio Sovranità ed Indipendenza nazionale ! i governi conteranno 0 e il futuro di ognuno di noi sarà deciso dai Tecnocrati di Bruxelles e dalle grandi Banche. E’ un colpo non da poco alle tanto paventate e presunte Democrazie Occidentali ( sempre che mai lo siano state … ) che in nome del pareggio di bilancio vanno a farsi friggere senza alcun problema,d’altronde sempre in nome dello Spread alzato su e giù a seconda delle Agenzie di rating pilotate da Washington oramai già da almeno un anno è consentito tutto e le masse lo accettano senza troppe remore terrorizzati dall’ipotesi minacciata di Apocalisse economica .
2- Si è di nuovo paventato il Fatidico “Fondo salva Stati “ di 500 miliardi e che sarà ulteriormente rimpinguato pure dalle Multe a chi non è in pari di bilancio. Come già ho detto in un precedente articolo (Il grande bluff della Banca Centrale Europea) questo fondo è fumo per gli occhi, i prestiti servono soltanto a risolvere le crisi di liquidità e non quelle di solvibilità. Possono solo risolvere condizioni di difficoltà temporanee di un Paese nel reperire denaro sul mercato dei capitali . Inoltre le condizioni che accompagnano questi prestiti, prevedono una forte riduzione della spesa pubblica e l’incitamento a riequilibrare i propri conti con l’estero (migliorando la competitività delle proprie merci ecc). E tale richiesta di ridurre la spesa pubblica comporta una conseguente riduzione della domanda interna se i tagli riguardano le spese sociali, e un serio peggioramento della competitività del sistema se i tagli riguardano invece gli investimenti peggiorando la situazione economica dei paesi già in difficoltà. Inoltre gli aiuti dell’Esm e i suoi programmi di assistenza finanziaria saranno condizionati alla ratifica del nuovo Trattato da parte del Paese interessato.

Concludiamo quindi che questo Fiscal compact deciso dai 25 della Ue modificherà molto il concetto di sovranità nazionale dei singoli stati sacrificato in nome della Crisi economica senza che nessuno gridi al Golpe. Questi vincoli imposti non miglioreranno la situazione,ma anzi per i paesi più in crisi come il nostro peggioreranno la situazione della popolazione già soffocata dal fisco,dall’aumento dei costi dei carburanti e non solo,dalla mancanza di lavoro e faciliteranno la Recessione già in atto.
Tutto questo con gli auguri dei tecnocrati Bruxelles

Vedi anche:
MES: Meccanismo Europeo di Stabilità
Mario Monti: chi è veramente e cosa fa
ERF European Redemption Fund
[Modificato da marco--- 05/06/2014 14:05]
23/02/2012 00:10
 
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Come funziona il fiscal compact (Fonte: lavoce.info - di Giuseppe Pisauro)

Molti pensano che delle due regole approvate dall'Unione Europea, quella sulla riduzione del debito pubblico sia più gravosa del mantenimento del pareggio di bilancio. Le cose non stanno così. Se l'obiettivo finale è la crescita economica, ci sono buoni motivi per volere la riduzione del debito pubblico, specie in casi come quello italiano. Non ve ne sono altrettanti per imporre il pareggio di bilancio per sempre. Il fatto che oggi la prima regola possa richiedere il rispetto della seconda non è un buon motivo per vincolare la politica fiscale dei paesi europei nel prossimo decennio.

Il fiscal compact, approvato ieri da venticinque paesi dell'Unione Europea, ridotto in pillole contiene due regole. La prima (da alcuni definita, non si capisce bene perché, golden rule) è il pareggio di bilancio, o meglio il divieto per il deficit strutturale di superare lo 0,5 per cento del Pil nel corso di un ciclo economico. La seconda regola fissa un percorso di riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil: dovrà scendere ogni anno di 1/20 della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia del 60 per cento.

REGOLE, RECESSIONE E TEMPI NORMALI

In che relazione sono tra loro queste due regole? A giudicare da molti commenti italiani sembra che quella sul debito sia la regola più severa. Così, si tira un sospiro di sollievo osservando che il fiscal compact prevede deroghe per “fattori rilevanti”. La regola sul pareggio di bilancio, invece, apparentemente viene accettata senza troppe discussioni. Peraltro, una riforma costituzionale in tal senso è stata già approvata in prima lettura da un ramo del Parlamento.
In realtà, se guardiamo un po’ oltre la contingenza attuale, la regola sul debito è in genere meno severa di quella del pareggio di bilancio. Se il bilancio è in pareggio, non si genera nuovo debito. In altre parole il debito in euro non cambia. Ogni variazione del Pil nominale si tradurrà, quindi, in una variazione del rapporto debito/Pil. Si può calcolare facilmente che per rispettare la regola di 1/20, con un debito al 120 per cento del Pil e il pareggio di bilancio è sufficiente che il Pil nominale cresca del 2,5 per cento; con un debito al 100 per cento del Pil basta una crescita nominale del 2 per cento; con un debito all’80 per cento è sufficiente l’1,25 per cento. In tempi appena normali sono valori bassi. Perché si verifichino basta un po’ di inflazione. Tanto per dare un’idea, nel 2000-2007, anni di crescita reale molto bassa, la crescita nominale del Pil in Italia è stata in media del 3,6 per cento l’anno.
Le cose vanno diversamente quando c’è una grave recessione: il Pil nominale può anche diminuire (in Italia, nel dopoguerra, è accaduto solo nel 2009) o crescere molto poco: intorno al 2 per cento nel 2010 e secondo le previsioni per il 2011-2013. Il sospiro di sollievo per l’attenuazione della regola del 1/20 può essere, quindi, giustificato oggi.
In condizioni normali, tuttavia, dovremmo preoccuparci di più della regola del pareggio di bilancio. E forse nel valutare le nuove norme europee dovremmo considerare quale sarà il loro effetto in tempi normali dell’economia.
Il primo grafico mostra la dinamica del rapporto debito pubblico/Pil in Italia a partire dal 2010: secondo le stime ufficiali (corrette con gli importi della manovra di dicembre) fino al 2014 e poi in discesa secondo la regola del 1/20. Si parte dal 118,4 registrato per il 2010. La discesa inizia a essere significativa, per effetto delle manovre già approvate, nel 2013 e poi prosegue, secondo la regola, a un ritmo decrescente: da una riduzione di 2,7 punti nel 2014 a circa 2 punti nel 2018, a circa un punto nel 2030. Per inciso, diversamente da quello che a volte si dice, la regola non richiede una riduzione del debito di 3 punti l’anno (un ventesimo della differenza tra 120 e 60) per vent’anni. Man a mano che il debito/Pil scende, la differenza tra il suo valore e la soglia del 60 per cento si riduce e, quindi, si riduce anche 1/20 di quella differenza. Naturalmente ciò allunga il periodo necessario per avvicinarsi al fatidico 60 per cento. Partendo dal livello attuale, la regola comporta per l’Italia nel 2033 un rapporto ancora all’80 per cento.
Quale saldo di bilancio sarà necessario in futuro per ottenere questi risultati? Naturalmente dipenderà dal tasso di crescita del Pil e dal tasso di interesse sul debito. Il grafico 2 mostra l’avanzo primario e il saldo totale (indebitamento netto) necessari per rispettare la regola sul debito, proiettando nel futuro le ipotesi ufficiali per il 2014: crescita reale del Pil all’1 per cento, crescita nominale al 2,7per cento, costo medio del debito al 5,5 per cento (quest’ultimo maggiore di 1,3 punti rispetto al valore previsto per il 2011). Sono ipotesi che non appaiono ottimistiche in un’ottica di lungo periodo.
Sotto queste ipotesi, l’avanzo primario dal 6,4 per cento previsto per il 2014 potrebbe scendere al 5,7 per cento l’anno successivo , al 4,5 per cento nel 2022 e così via. Ciò non richiederebbe il pareggio di bilancio, bensì sarebbe coerente con un disavanzo totale tra lo 0,5 e l’1 per cento del Pil lungo il periodo considerato. Ipotesi più favorevoli sulla crescita del Pil e sui tassi di interesse rendono renderebbero ancora meno necessario il mantenimento del pareggio di bilancio. Renderebbero possibile, sempre mantenendo gli obiettivi di riduzione del debito, l’adozione di una vera golden rule, quella che consente di finanziare in disavanzo le spese di investimento.
I trattati e le regole dovrebbero essere pensati per durare. Se l’obiettivo finale è la crescita economica, ci sono buoni motivi per volere la riduzione del debito pubblico, specie in casi come quello italiano. Non ve ne sono altrettanti per imporre il pareggio di bilancio per sempre (Si veda un mio precedente intervento a riguardo e questo articolo di Tito Boeri e di Fausto Panunzi). Il fatto che oggi, in pratica, la prima regola possa richiedere il rispetto della seconda non è un buon motivo per vincolare in modo poco ragionevole la politica fiscale dei paesi europei nel prossimo decennio.

Grafico 1 - Rapporto debito pubblico/Pil



Grafico 2 – Avanzo primario e indebitamento netto

[Modificato da marco--- 23/02/2012 00:11]
23/02/2012 00:13
 
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A piccoli passi (Fonte: lavoce.info - di Stefano Micossi - 01/02/2012)

La riunione informale del Consiglio europeo ha visto qualche ulteriore passo avanti negli aggiustamenti ai meccanismi di governo economico dell'Unione e dell'Eurozona. E per fortuna anche qualche passo indietro, con il pareggio di bilancio che basta e avanza a garantire il rientro dall'eccesso di debito. Non c'è ancora una soluzione per correggere gli enormi squilibri dei pagamenti correnti tra i paesi dell'euro. Ma almeno, dopo aver accontentato la Germania sulle regole di bilancio, l'agenda si allarga alle questioni della stabilità finanziaria e della crescita.

La riunione informale del Consiglio europeo ha visto qualche ulteriore passo avanti, e per fortuna anche qualche passo indietro, negli aggiustamenti ai meccanismi di governo economico dell’Unione e dell’Eurozona, alla cui drammatica insufficienza dobbiamo la crisi dei debiti sovrani che tuttora minaccia la sopravvivenza dell’euro. Non è ancora una soluzione, ma almeno, avendo accontentato la Germania sulle regole di bilancio, l’agenda si allarga alle questioni della stabilità finanziaria e della crescita.

IL FISCAL COMPACT

Sul cosiddetto fiscal compact previsto dal nuovo Trattato, l’unica vera novità è l’impegno dei firmatari di trascrivere nelle costituzioni o leggi fondamentali la doppia regola del pareggio di bilancio e dell’obbligo della riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil fino al 60 per cento. L’obbligo si estende all’introduzione di un meccanismo automatico di correzione delle deviazioni rispetto agli impegni. I firmatari hanno anche convenuto di assoggettare alla giurisdizione della Corte europea di giustizia eventuali controversie legali sull’applicazione del Trattato: ciò riguarda pertanto solo i modi della trasposizione delle nuove regole nelle costituzioni nazionali, non le controversie sul rispetto nel merito dei vincoli alle politiche di bilancio nazionali.
Il nuovo Trattato verrà sottoscritto almeno da otto paesi che oggi non partecipano all’euro e che, in cambio, hanno ottenuto di partecipare almeno una volta l’anno agli Eurosummit; l’Eurozona si conferma dunque come il fulcro degli sforzi di coordinamento delle politiche economiche, nonostante i costi elevati del mancato coordinamento nel passato.
L’utile passo indietro – credo dovuto in misura importante all’autorevole intervento del premier italiano – è che il nuovo Trattato non modifica in alcun modo gli impegni di sostanza nella conduzione delle politiche economiche nazionali, come è reso esplicito dall’articolo 2 e dal riferimento, negli articoli 3 e 4, alle vigenti regole del Patto di stabilità e crescita (Regolamento 1466/97 del Consiglio come modificato dal Regolamento 1177/2011) per la definizione degli obblighi sul bilancio in pareggio e la riduzione del debito pubblico (anche la regola del ventesimo c’era già, vedere per credere). Vale la pena di sottolineare, a questo riguardo, che – come dimostrato da Giuseppe Pisauro nei suoi articoli su lavoce.info – ai livelli correnti del rapporto tra il debito e il Pil, la regola del bilancio in pareggio “domina” quella della riduzione del debito se la crescita nominale del Pil è superiore al 2,5 per cento; se non lo fosse, probabilmente si potrebbe invocare la clausola sulle ‘circostanze eccezionali’ per sospenderne l’applicazione. Dunque, chi parla di impegni addizionali di restrizione per 45 miliardi l’anno a causa della regole di riduzione del debito, visibilmente straparla. Il pareggio di bilancio basta e avanza a garantire il rientro dall’eccesso di debito.

DALL'EFSF ALL'ESM

L’Eurosummit ha anche confermato la decisione di anticipare al 1º luglio 2012 l’entrata in vigore del nuovo meccanismo di stabilizzazione finanziaria (European Stability Mechanism o Esm), indicando l’intenzione di rivedere in marzo l’adeguatezza delle risorse. Chi non aderisce al fiscal compact non avrà accesso ai suoi programmi di assistenza finanziaria. Dietro la formula sulla revisione delle risorse si nasconde la possibilità di fare confluire nel nuovo meccanismo anche le risorse dell’attuale meccanismo temporaneo di assistenza finanziaria (Efsf), portando il totale disponibile per l’assistenza finanziaria ai paesi membri a circa 750 miliardi. Premono in questa direzione anche gli Stati Uniti e, con loro, la comunità finanziaria internazionale, che hanno di fatto condizionato a questa decisione l’aumento delle risorse a disposizione del Fondo monetario a sostegno dei paesi indebitati. Il Consiglio europeo di dicembre aveva fatto sollevare molte perplesse sopracciglia quando aveva comunicato al mondo che i paesi europei erano pronti a mettere a disposizione dell'Fmi risorse ingenti per farsi salvare, ma non direttamente tra sé stessi.
Infine, la novità significativa – al di là del deludente documento del Consiglio – è che la crescita riacquista un posto nell’agenda delle misure anti-crisi; se ne parlerà, speriamo intensamente, nella riunione del Consiglio ai primi di marzo. Ormai, è chiaro a tutti che l’Europa rischia di avvitarsi in una spirale deflazionistica di austerità e insostenibilità dei debiti, che oggi è diventata la ragione principale del permanere degli spread su livelli ancora troppo elevati per l’Italia e per la Spagna (diverso è il caso del Portogallo, dove serviranno presto altre risorse esterne) e in generale dei dubbi sulla capacità di sopravvivenza dell’euro nel medio termine.
La questione centrale, che per ora la Germania rifiuta di discutere, è come si può fare – oltre a riaprire i canali privati di finanziamento del “Sud” da parte dei risparmiatori nel “Nord” – a iniziare a correggere gli enormi squilibri dei pagamenti correnti tra i paesi dell’euro. La zona euro è grosso modo in equilibrio nei pagamenti correnti verso le aree terze, ma registra al suo interno forti avanzi (Germania e Olanda, soprattutto) e disavanzi (Francia e periferia): l’idea che si possano eliminare i secondi senza un contributo dalla riduzione dei primi, scaricando l’onere dell’aggiustamento interamente sui paesi terzi, mi sembra poco realistica (oltre che poco desiderabile, perché l’Europa “sottrarrebbe” crescita all’economia mondiale). Di fatto, se la crescita della domanda interna non accelera in Germania, vi è il rischio che i paesi in disavanzo della zona euro debbano deprimere la domanda interna ancora di più.
Un contributo importante alla domanda interna dell’intera Eurozona può venire dall’accelerazione delle spese per investimento coperte con fondi comunitari e l’emissione di project bond. Ma finché i documenti ufficiali continueranno a parlare solo di “competitività” e di misure per l’occupazione dei giovani e il finanziamento delle Pmi – come fa il documento del Consiglio – allora vuol dire che siamo in alto mare. Sono misure utili, ma da sole non tireranno fuori l’Europa dal buco in cui collettivamente si è cacciata.
23/02/2012 15:52
 
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Re:
marco---, 2/23/2012 12:10 AM:

Come funziona il fiscal compact (Fonte: lavoce.info - di Giuseppe Pisauro)

...Si può calcolare facilmente che per rispettare la regola di 1/20, con un debito al 120 per cento del Pil e il pareggio di bilancio è sufficiente che il Pil nominale cresca del 2,5 per cento; con un debito al 100 per cento del Pil basta una crescita nominale del 2 per cento; con un debito all’80 per cento è sufficiente l’1,25 per cento. In tempi appena normali sono valori bassi. Perché si verifichino basta un po’ di inflazione. Tanto per dare un’idea, nel 2000-2007, anni di crescita reale molto bassa, la crescita nominale del Pil in Italia è stata in media del 3,6 per cento l’anno.
Le cose vanno diversamente quando c’è una grave recessione: il Pil nominale può anche diminuire (in Italia, nel dopoguerra, è accaduto solo nel 2009) o crescere molto poco: intorno al 2 per cento nel 2010 e secondo le previsioni per il 2011-2013. Il sospiro di sollievo per l’attenuazione della regola del 1/20 può essere, quindi, giustificato oggi...

A quanto pare non sarà così semplice rispettare questo punto del "fiscal compact", ossia ottenere una variazione del PIL nominale di almeno il 2,5%, ecco la tabella con le variazioni percentuali del PIL nominale, ossia il PIL non depurato del tasso di inflazione, la fonte è ISTAT.

Tratto da: Invece della "cura greca" (italia2013.org - 14/02/2012)
[Modificato da marco--- 23/02/2012 16:15]
23/02/2012 16:04
 
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E' probabile che presto, dopo la firma del nuovo trattato intergovernativo che dovrebbe avvenire il 1° marzo 2012, sperimenteremo sulla nostra pelle come funziona il "fiscal compact", ossia nuove mazzate, interessante no?! [SM=g6963]
Crollo crescita in Italia nel 2012, Pil -1,3% (Fonte: adnkronos.com - 23/02/2012)

Bruxelles, 23 feb. - (Adnkronos) - In Italia nel 2012 il Pil crollera' dell'1,3%. E' quanto emerge dalle previsioni economiche intermedie della Commissione europea, secondo cui il Prodotto interno lordo dovrebbe contrarsi dello 0,7% nel primo trimestre dell'anno e dello 0,2% nel secondo. Un crollo che piazza il nostro Paese tra quelli che registrano una delle maggiori contrazioni della crescita. Peggio dell'Italia, infatti, fanno solo Grecia e Portogallo, rispettivamente con un -4,4% e con un -3,3%...
[Modificato da marco--- 23/02/2012 16:08]
02/03/2012 10:06
 
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L’Europa vara il fiscal compact: ancora sacrifici per gli italiani? (Fonte: levanteonline.net - 09/02/2012)

Se ne era già parlato al Consiglio europeo dell’ 8 e 9 dicembre scorso a Nizza. Allora la notizia era stata la clamorosa (ma non troppo) decisione del governo britannico di David Cameron di non aderirvi. Il Fiscal Compact è quel piano definitivamente varato dai Presidenti europei lunedì scorso che introduce nuove regole per la tenuta dei bilanci per i singoli stati membri dell’Unione.

Regole impostate ancora sull’austerità e sul rigore, proprio come espressamente richiesto dalla Germania. In particolare si prevede che i paesi con un rapporto debito/pil superiore al 60 percento, debbano ridurre il proprio stock di debito per un ammontare del tre percento della parte eccedente il 60. Ancora: il disavanzo di bilancio, in pratica ciò che un paese spende più di quanto incassa, non deve superare lo 0.5 percento annuo. Tale principio, sostanzialmente rivolto al pareggio di bilancio, dovrà addirittura essere inserito nella Costituzione dei paesi che hanno firmato l’accordo.

Per l’Italia, che ha un rapporto debito/pil del 120percento, si tratterebbe concretamente di un obbligo di ridurre il debito pubblico di circa 40 miliardi l’anno, un’enormità se si considera che la Manovra di Natale del governo Monti, pur comprensiva di molteplici tagli e nuove imposte, ammontava a circa trenta miliardi. Si ci chiede, peraltro sensatamente, dove nei prossimi anni i governi taglieranno una cifra tanto considerevole di spesa pubblica. Certo, il nostro premier è riuscito ad ottenere dal Consiglio Europeo un piccolo risultato: sono infatti state previste delle attenuanti per quei paesi che mostreranno di varare importanti riforme strutturali.

Forse è per questo che Mario Monti ha avuto tanta fretta nell’approvare le riforme delle pensioni e si muove tanto celermente ora per cambiare le regole del mercato del lavoro. Ma, purtroppo, di queste attenuanti, non è stata ancora chiarita la natura.

L’unico auspicio possibile è una ripresa della nostra economia. Se il Pil aumenterà di qualche punto, il rapporto col debito calerà, e l’importo da ridurre diminuirà a sua volta. Ma è difficile che ciò possa avvenire se si continua a tagliare la spesa pubblica.

Una delle strade che più probabilmente si perseguirà in futuro è quella della dismissione del patrimonio statale. Si tratta della vendita di numerosi immobili, talvolta abbandonati e di partecipazioni in imprese anche di grosse dimensioni. Si spera più che altro, che se questa strada sarà scelta, non si ricorra a svendite, come pure in passato è accaduto per qualche pur importante gioiello di famiglia.

A livello europeo rimangono però aperte alcune crepe e diverse contraddizioni, anche forti, all’interno delle istituzioni comunitarie. Va innanzitutto precisato che è stata proprio la Germania ad imporre il piano in cambio di un immediato sblocco del Fondo Salva Stati, forse operativo già da questa primavera. Una Germania che intanto, negli ultimi anni, ha aumentato il suo export anche a danno di quei paesi del Sud Europa che oggi risentono della crisi e che sono chiamati a nuovi sacrifici.

Inoltre, a firmare l’accordo, non c’erano solo i paesi dell’area euro, ma anche quelli che fanno parte solo dell’unione politica. Ecco che, proprio oggi quanto mai prima, sembra davvero insensato che al tavolo delle decisioni dell’euro, siedano anche paesi che si stanno sicuramente giovando del suo apprezzamento, e che quindi non possono che accogliere favorevolmente ricette come quella tedesca.

Ma l’elemento più grave è forse che l’Unione Europea sia ancora troppo interessata alle politiche di bilancio, alla contabilità, tanto da arrivare a trascurare così fortemente i temi della crescita e dello sviluppo. Manca su questo terreno una strategia forte e condivisa.
[Modificato da marco--- 02/03/2012 10:07]
02/03/2012 10:07
 
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Firmato il fiscal compact, Berlino tira un respiro (Fonte: rainews24.rai.it - 02/03/2012)

I 25 leader Ue (non ci sono Gran Bretagna e Repubblica Ceca) hanno firmato il 'fiscal compact' o 'patto di bilancio', e il presidente Ue Herman Van Rompuy si è detto "molto fiducioso" che gli Stati lo ratificheranno. "Ora avete il compito di convincere i vostri Parlamenti", ha detto Van Rompuy. Per l'Italia ha firmato il premier Mario Monti. Al termine della cerimonia, hanno preso avvio i lavori del secondo giorno del vertice Ue. Con il "Fiscal compact" viene introdotta su forte pressione tedesca una maggiore disciplina di bilancio, con l'introduzione della 'regola d'oro' e sanzioni per quei Paesi che non rispettano i sistemi di riduzione del deficit.
[Modificato da marco--- 02/03/2012 10:09]
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L'Italia aderisce al patto suicida - approvati l'ESM e il Fiscal Compact (Fonte: movisol.org - di Andrew Spannaus - 13/07/2012)

13 luglio 2012 (MoviSol) - Ieri il Senato della Repubblica ha approvato il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) e il Trattato europeo sul Fiscal Compact, due nuovi accordi progettati per mantenere in vita il sistema speculativo globale attraverso l'austerità e la dittatura dei mercati finanziari.

Con il sistema dell'euro in via di disintegrazione, i poteri oligarchici sovrannazionali e i loro portavoce nella Troika (BCE, FMI, Commissione Europea) hanno ormai abbandonato ogni pretesa di democrazia e imposto un processo che porterà alla fine di ogni vestigia della sovranità nazionale.

Il Fiscal Compact è l'estensione del Patto di Stabilità, che obbliga tutti gli stati a rispettare i vincoli di bilancio stabiliti a suo tempo dal Trattato di Maastricht. Nel caso italiano significherebbe ulteriori tagli o tasse per circa 40 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni. Quello che sta facendo oggi Monti è solo un piccolo assaggio. L'ESM è il fondo salva-stati, che originalmente era previsto venire in soccorso agli stati in difficoltà, agendo come ente indipendente con la forza contrattuale di dettare le linee guide ai governi che accettassero gli aiuti. Non ci sarebbe la possibilità di trattare, di discutere democraticamente con la popolazione, ma solo di eseguire gli impegni presi con qualsiasi mezzo. Nel frattempo gli è stato conferito anche il potere di finanziare direttamente le banche. Quindi non più la maschera di "salva-stati" ma "salva-banche".

Il Trattato ESM ratificato dal Senato prevede che i manager del fondo possano richiedere in qualsiasi momento un aumento del capitale, già consistente, senza che i governi o i parlamenti nazionali possano opporsi, e che gli stessi manager godano della completa immunità da ogni giurisdizione nazionale e internazionale.

Al Senato i due trattati sono stati approvati da tutti i gruppi parlamentari tranne la Lega Nord (contrari) e l'IdV (astenuti). I partiti della maggioranza si giustificano con la "necessità" di costruire un'Europa più forte, strada obbligata per uscire dalla crisi; cioè l'unione fiscale e politica che è l'obiettivo dell'UE da almeno il 1989, quando si decise di bloccare la strada dello sviluppo economico guidato da un'alleanza di nazioni sovrane.

La realtà è che il progetto degli Stati Uniti d'Europa rappresenta soltanto un tentativo disperato di tenere in piedi un sistema finanziario decotto. La politica dell'austerità, della deregulation e del disinvestimento nell'economia reale è la causa della crisi, e non si potrà cambiare direzione senza un taglio netto con il passato (la creazione degli Stati Uniti d'America, infatti, avvenne su basi ben diverse, mirate all'investimento nell'economia reale). Eppure ad ogni ulteriore manifestazione del problema i capi di governo europei - incoraggiati da Obama e Geithner che temono per le banche americane - raddoppiano: altri salvataggi, altri tagli al tenore di vita della popolazione.

Ormai è evidente che la ricetta non funziona, ma bisogna avere il coraggio di cambiare, prima che sia troppo tardi. Gli stati possono ancora decidere di riappropriarsi del futuro, ma per fare ciò dobbiamo porre fine al circolo infinito di salvataggi bancari. La soluzione comincia con la Glass-Steagall, cioè la separazione tra banche ordinarie e banche speculative, proposta che trova nuovi sostenitori ogni giorno. In Italia ci sono proposte di legge in entrambe le Camere del Parlamento (Peterlini, Tremonti, Lega Nord), come negli USA con il ddl della deputata democratica Marcy Kaptur. E lo scandalo Libor di questi giorni ha messo paura addirittura ad una fazione della City di Londra, che ora chiede di andare in questa direzione, con un editoriale sul Financial Times a favore della Glass-Steagall.

I trattati draconiani dell'UE si possono ancora fermare, sia a livello politico perché devono passare ancora per la Camera dei Deputati in Italia, sia a livello giudiziario, per esempio con i ricorsi costituzionali in Germania. La vera svolta però dipende dalla mobilitazione popolare, per costringere le istituzioni a guardare in faccia alla realtà e cominciare a costruire un futuro di progresso.

Vedi anche: La Camera approva Fiscal Compact e Mes: inizia la dittatura europea (Fonte: stampalibera.com - di Italo Romano - 20/07/2012)
[Modificato da marco--- 23/07/2012 11:45]
04/10/2012 20:55
 
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Fermate il trattato fiscale: l'appello di oltre 120 economisti (Fonte: wallstreetitalia.com - 04/10/2012)

Più di 120 economisti hanno pubblicato un appello sul quotidiano francese Le Monde in cui si pronunciano contro il Fiscal compact: "portatore di una logica recessiva che aggraverà gli squilibri attuali".

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Megafono Quotidiano - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

New York - Più di 120 economisti hanno pubblicato un appello sul quotidiano francese Le Monde in cui si pronunciano contro il Trattato fiscale europeo. Denunciano un trattato "portatore di una logica recessiva che aggraverà gli squilibri attuali" e chiedono a François Holland di non seguire la politica di austerità dei suoi predecessori. I firmatari provengono da scuole accademiche diverse e tra loro ci sono economisti molto noti come: Frédéric Boccara, Marc Bousseyrol, Laurent Cordonnier, Denis Durand, Guillaume Etievant, David Flacher, Bernard Friot, Jean Gadrey, Jacques Généreux, Bernard Guerrien, Jean-Marie Harribey, Michel Husson, Sabina Issehnane, Florence Jany-Catrice, Esther Jeffers, Paul Jorion. E ancora Pierre Khalfa, Dany Lang, Philippe Légé, Frédéric Lordon, Christiane Marty, François Morin, André Orléan, Dominique Plihon, Christophe Ramaux, Gilles Raveaud, Jacques Rigaudiat, Dominique Taddéi, Stéphanie Treillet.

No al Fiscal compact

Dal 2008, l'Unione europea è di fronte a una crisi economica senza precedenti. Contrariamente a quanto preteso dagli economisti liberali, questa crisi non è dovuta al debito pubblico. La Spagna e l'Irlanda, ad esempio, subiscono gli odierni attacchi dei mercati finanziari nonostante questi paesi abbiano sempre rispettato i criteri di Maastricht. L'aumento dei deficit pubblici è una conseguenza della caduta delle entrate fiscali dovuta in parte ai regali fiscali fatti alle classi più agiate, all'aiuto pubblico apportato alle banche commerciali e al ricorso ai mercati finanziari per detenere il debito a tassi di interesse molto elevati.

La crisi si spiega anche per l'assenza totale di un regolamentazione del credito e dei flussi di capitali a spese del lavoro, dei servizi pubblici e delle attività produttive. Essa è gestita dalla Banca centrale europa che appoggia senza condizioni le banche private ed esige al momento una "stretta condizionalità" all'austerity dagli Stati quando si tratta di svolgere il ruolo di "prestatore in ultima istanza". Ed impone loro delle politiche di austerità che si rivelano incapaci di combattere la speculazione sui debiti sovrani dato che la sua sola missione riconosciuta dai trattati e quella di mantenere la stabilità dei prezzi. Inoltre, questa crisi è aggravata dal dumping fiscale intra-europeo e dal divieto imposto alla Bce di prestare direttamente agli Stati per le spese future, al contrario di altre banche centrali del mondo come la Federal Reserve Usa. Infine, la crisi è rafforzata dall'estrema debolezza del bilancio europeo e dal suo sprofondamento al tasso ridicolmente basso dell'1,24% del Pil, con un orientamento che rende impossibile qualsiasi espansione coordinata e ambiziosa dell'attività in Europa.'

Limitando più che mai la capacità dei paesi a rilanciare le loro economie e imponendo loro l'equilibrio dei conti pubblici, il trattato è portatore di una logica recessiva che aggraverà meccanicamente gli squilibri attuali. I paesi che soffrono un affossamento della loro domanda interna saranno condotti a ridurre ancora più fortemente la loro domanda pubblica. Mentre diversi Stati membri sono già in recessione, questa minaccerà ancora l'attività produttiva e il lavoro, dunque le entrate pubbliche, il che accentuerà alla fine i deficit. Così, l'Ocse prevede già 300 mila disoccupati in più, in Francia, alla fine del 2013 dovuti all'austerità. A medio e lungo termine, il dato ipotecherà la transione sociale ed ecologica che ha bisogno di investimenti considerevoli.

In nome di una pretesa "solidarietà europea", il trattato organizza di fatto la garanzia da parte degli Stati dei grandi patrimoni finanziari privati. Scolpisce nel marmo misure di austerità automatiche, imposte ai rappresentanti dei popoli, costringendo le loro decisioni di bilancio, dettate da un organismo non eletto. Il Meccanismo di stabilità europea (l'Esm), instituzione anti democratica per eccellenza, potrebbe proporre prestiti a tassi un po' meno elevati (5% in media). Ma questi prestiti sarebbero condizionati all'applicazione di una austerità drastica imposta ai popoli!

La garanzia pubblica degli investitori privati non fa che incoraggiare la speculazione mentre bisognerebbe spezzarla togliendole dalle mani il debito pubblico. L'insieme dell'edificio risposa così su delle condizionalità anti-sociali imposte a qualsiasi aiuto o intervento, e il rifiuto di intervento diretto della Bce per le nuove spese. Questa si accontenterà di un riacquisto restrittivo dei titoli di stato sul mercato secondario come già annunciato recentemente da Mario Draghi.

Centinaia di economisti nel mondo, tra cui alcuni premi Nobel come Joseph Stiglitz e Paul Krugman, hanno ampiamente criticato il non senso economico della politica attualmente in campo in Europa. Il risultato è senza appello: l'austerità è ingiusta, inefficace, anti-democratica.

Noi possiamo fare diversamente. L'avvenire dell'Europa merita un dibattito democratico sulle soluzioni di uscita dalla crisi. Un'espansione coordinata dell'attività produttiva, del lavoro e dei servizi pubblici sarebbe possibile, in particolare tramite il finanziamento diretto selettivo e a basso tasso da parte della Bce degli organismi pubblici di credito pubblici. Perché la Ue metta in azione queste politiche è urgente riformare e democratizzare le sue istituzioni. Un Fondo europeo di sviluppo sociale ed ecologico, a gestione democratica, potrebbe accentuare questa dinamica. In più, potrebbe mettere in pratica un controllo della finanza, in particolare vietando gli scambi di obbligazioni sovrane sui mercati secondari, limitando strettamente la cartolarizzazione e i prodotti derivati e tassando i movimenti di capitali speculativi.

Le sfide sociali ed ecologiche sono attualmente immense. È urgente una svolta per uscire dalla crisi dall'alto. È possibile disfarsi del bilancio oscuro delle politiche liberiste di una Francia che comprende 5 milioni di disoccupati e 10 milioni di poveri. Per darsi i mezzi adeguati occorre spezzare la morsa dei mercati finanziari e non dare loro maggior forza. È per questo che rifiutiamo la ratifica del Trattato europeo sulla stabilità, il coordinamento e la governante (Tscg).

I firmatari:

• Louis Adam, commissaire aux comptes,
• Matthieu Agostini, expert RSE,
• Pierre Alary, maître de conférences, Université Lille 1,
• Daniel Bachet, professeur, Université d'Evry,
• Emmanuel Barret, expert, banque d'investissement,
• Philippe Batifoulier, maître de conférences, Université Paris 10,
• Michel Bellet, professeur, Université de Saint-Etienne,
• Nicolas Beniès, économiste, université populaire de Caen,
• Matthieu Béraud, maître de conférences, Université de Lorraine,
• Eric Berr, maître de conférences, Université Bordeaux 4,
• Jacques Berthelot, INP Toulouse,
• Pierre Bezbakh, maître de conférences, Paris IX-Dauphine,
• Pierre Bitoun, INRA,
• Frédéric Boccara, maître de conférence associé, Université Paris XIII,
• Paul Boccara, maître de conférence honoraire, université de Picardie,
• François Bojzcuk, conseiller en développement socio économique des territoires,
• Serge Bornet, agrégé SES,
• Marc Bousseyrol, maître de conférences, IEP de Paris,
• Mireille Bruyère, maître de conférences, Toulouse 2,
• Claude Calame, directeur d'étude, EHESS, Paris
• Christophe Carrincazeaux, maître de conférences, Université Bordeaux 4,
• Pierre Causse, économiste,
• David Cayla maître de conférences, Université d'Angers,
• Christian Celdran, administrateur civil honoraire,
• Gabriel Colletis, professeur, Université de Toulouse 1,
• Christian Corneliau, économiste, EHESS,
• Laurent Cordonnier, maître de conférences, Université Lille 1,
• Jacques Cossart, économiste,
• Yves Dimicoli, économiste, ancien membre du conseil ďanalyse économique,
• Vanessa Di-Paola, maître de conférences, Université d'Aix-Marseille
• Jean-Paul Domin, maître de conférences, Université de Reims,
• Alain Dontaine, Université Stendhal-Grenoble,
• Ali Douai, maître de conférences, Université Bordeaux 4,
• Denis Durand, économiste, membre du Conseil économique, social et environnemental,
• Jean-Marc Durand, économiste,
• Guillaume Etievant, expert économique auprès des CE,
• David Flacher, maître de conférences, Université Paris 13,
• Mathieu Forgues, professeur agrégé de SES,
• Anne Fretel, maître de conférences, Université Lille 1,
• Bernard Friot, Université Paris-X, institut européen du salariat,
• Maryse Gadreau, professeur émérite, Université de Bourgogne,
• Jean Gadrey, professeur, Université Lille I,
• Véronique Gallais, économiste,
• Jacques Généreux, professeur, IEP de Paris,
• Ariane Ghirardello, maître de conférences, Université Paris 13,
• Patrick Gianfaldoni, maître de conférences, université d'Avignon et des Pays de Vaucluse,
• Jean-Pierre Gilly, professeur, Université de Toulouse 1
• Gael Giraud, CNRS, Ecole d'Economie de Paris, ESCP-Europe
• Bernard Guerrien, SAMM, Centre d'économie de la Sorbonne,
• Alain Guéry, Histoire économique, CNRS
• Bernard Guibert, économiste-statisticien,
• Hector Guillen-Romo, université Paris 8,
• Ozur Gun, maître de conférence, université de Reims,
• Jean-Marie Harribey, maître de conférences, Université Bordeaux 4,
• Michel Husson, économiste,
• Sabina Issehnane, maître de conférences, Université Rennes 2,
• Florence Jany-Catrice, professeur, Université Lille 1
• Esther Jeffers, maître de conférences, Paris 8
• Paul Jorion, titulaire de la chaire « Stewardship of Finance » à la Vrije Universiteit Brussel,
• Andrée Kartchevsky, professeur, université de Reims,
• Pierre Khalfa, syndicaliste, membre du Conseil économique, social et environnemental,
• Thierry Kirat, directeur de recherche au CNRS, Paris Dauphine
• Robert Kissous, statisticien économiste,
• Agnès Labrousse, maître de conférences, Université de Picardie,
• Stéphanie Laguérodie, maître de conférences, Paris 1,
• Dany Lang, maître de conférences, Université Paris 13,
• Catherine Lebrun, économiste,
• Cécile Lefevre, professeur, Université Paris Descartes,
• Pierre Le Masne, maître de conférences, Université de Poitiers
• Philippe Légé, maître de conférences, Université de Picardie,
• Pierre Lévy, maître de conférences, Université Paris Dauphine,
• Frédéric Lordon, directeur de recherche au CNRS,
• Jérôme Maucourant, maître de conférences, Université Jean Monnet - IUT de Saint-Etienne
• Jean Magniadas, membre honoraire du Conseil économique et social,
• Marc Mangenot, économiste,
• Jonathan Marie, maître de conférences, Université Paris XIII,
• Christiane Marty, économiste,
• Pierre Mascomère, actuaire,
• Gustave Massiah, économiste,
• Antoine Math, économiste,
• Thierry Méot, statisticien-économiste,
• Nicolas Meunier, économiste,
• Sandrine Michel, maître de conférences, Université Montpellier 1
• Catherine Mills, maître de conférences, Université Paris 1,
• Matthieu Montalban, maître de conférences, Université Bordeaux 4,
• Alain Morin, directeur de la revue Economie et Politique,
• François Morin, professeur, Université Toulouse 1,
• Nolwenn Neveu, professeur agrégé de SES,
• Alain Obadia, membre du Conseil économique social et environnemental
• André Orléan, directeur de recherches, CNRS-EHESS,
• Fabienne Orsi, IRD,
• Gilles Orzoni, économiste,
• Bernard Paranque, économiste, euromed management,
• Pascal Petit, économiste, université Paris 13,
• Henry Philipson, économiste,
• Dominique Plihon, professeur, Université Paris 13,
• Jean-François Ponsot, maître de conférences, Université Grenoble 2,
• Nicolas Prokovas, maître de conférences, Université Paris 13,
• Christophe Ramaux, professeur, Université Paris 1
• Gilles Rasselet, professeur, Université de Reims,
• Frédéric Rauch, rédacteur en chef de la Revue Economie et Politique,
• Gilles Raveaud, Institut d'Etudes Européennes, maître de conférence Paris 8 St-Denis,
• Jacques Rigaudiat, ancien conseiller social des Premiers ministres Rocard et Jospin,
• Bertrand Rothé, professeur agrégé d'économie gestion, Université de Cergy Pontoise,
• Gilles Rotillon, professeur, université Paris X,
• Jean-Marie Roux, économiste,
• Catherine Samary, maître de conférences, Paris Dauphine,
• Bertrand Seys, maître de conférences Télécom Bretagne,
• Richard Sobel, maître de conférences Université Lille 1,
• Bernard Sujobert, statisticien-économiste,
• Dominique Taddéi, ancien président d'université, ancien Président de la Caisse des dépots et consignations,
• Bernard Teper, économiste,
• Bruno Tinel, maître de conférences, Université Paris I,
• Stéphanie Treillet, maître de conférences des universités,
• Sébastien Villemot, économiste,
• Philippe Zarifian, professeur, Université Paris Est-Marne la vallée,
09/01/2013 15:57
 
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Il baratro fiscale dell'agenda Monti (Fonte: iltafano.typepad.com - di Luciano Gallino - 09/01/2013)

[...] Per memoria: il fiscal compact impone un deficit massimo dello 0,5%, e per i paesi che superano il 60% di indebitamento, prevede che il debito sia ridotto di un ventesimo all'anno

[...] Mentre il debito accumulato ha superato i 2000. Al fine di farlo scendere al 60 per cento del Pil come prescrive il Trattato, si dovrebbe quindi ridurre il debito di 50 miliardi l'anno per un ventennio. La cifra è di per sé paurosa, tale da immiserire tre quarti della popolazione. Ma il problema non è solo questo. È che l'interesse sul debito, al tasso medio del 4 per cento, comporta una spesa di 80 miliardi l'anno, la quale si somma ogni anno al debito pregresso. Ne segue che quest'ultimo non smette di crescere. Ora, se riduco il debito di 50 miliardi, avrò sì risparmiato 2 miliardi di interessi; però sui restanti 1950 miliardi dovrò pur sempre pagarne 78. Risultato: il debito è salito a 2028 miliardi (2000-50+78). L'anno dopo taglio il debito di altri 50 miliardi e gli interessi di 2. Però devo pagarne 76, per cui il debito risulterà salito a 2054. Chi vuole può continuare. Magari inserendo nel calcoletto un dettaglio: l'art. 4 del Trattato prescinde del fatto che il debito di un paese potrebbe col tempo aumentare di molto, per cui l'entità del ventesimo di rientro andrebbe alle stelle.

L'Italia, per dire, potrebbe ritrovarsi a fine 2015 con un Pil di poco superiore all'attuale, ma con un debito che a causa dell'accumulo degli interessi ha raggiunto i 2200 miliardi. Così i miliardi annui da tagliare passerebbero da 50 a 60

[...] una Bce che presta migliaia di miliardi alle banche (lo ha fatto, per citare un solo caso, tra novembre 2011 e febbraio 2012) all'1 per cento, ma non può fare altrettanto con gli stati.

Per cui questi vendono obbligazioni alle banche, sulle quali esse percepiscono interessi tripli o quadrupli. È vero, l'art. 123 del Trattato Ue vieta alla Bce di prestare denaro direttamente agli Stati. Ma a parte il fatto che prima o poi tale articolo dovrà essere modificato, posto che esso fa della Bce l'unica banca centrale al mondo che non può svolgere le funzioni proprie di una banca centrale, si dovrebbe d'urgenza porre rimedio a tale inaudita contraddizione. Con il baratro fiscale di mezzo, la riduzione del debito pubblico a meno della metà è inconcepibile. Ma se l'Italia, per dire, potesse prendere in prestito dalla Bce, in forma obbligazionaria o altra, 1000 miliardi al tasso dell'1 per cento, come han fatto le banche europee nel caso precitato, allora potrebbe diventarlo. Pensiamoci.

E magari proviamo a spiegare ai cittadini come si pone realmente per il prossimo futuro la questione del debito pubblico.
[Modificato da marco--- 09/01/2013 16:06]
03/09/2013 11:26
 
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I paradossi della Merkel. La Germania rifiuta il Fiscal Compact (Fonte: net1news.org - 11/04/2013)

Dopo aver imposto a Paesi come l'Italia il Fiscal Compact, la Germania fa dietrofront. La Bundesrat rifiuta il Trattato sulla stabilità. I salassi fiscali valgono solo per i più piccoli?

Il Fiscal Compact – abbreviazione del Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governante nell’Unione economica e monetaria – è stato rifiutato dal suo principale promotore: la Germania. La riforma che obbliga i Paesi a garantire un bilancio delle amministrazioni pubbliche «in equilibrio o in avanzo» è stato rimandato alla Commissione di mediazione dal Bundesrat tedesco nell’inizio del marzo 2013.

La notizia ha dell’incredibile per due motivi principali. Innanzitutto perché Paesi come l’Italia sono stato indotti a ratificare il Fiscal Compact e ad accettare persino un Premier imposto – checché se ne dica – dalla BCE e dai piani alti della finanza internazionale proprio a causa del pressing merkeliano. Ma soprattutto il fatto in sé, a prescindere dalle sue implicazioni nazionali, risulta paradossale perché nessuno ne ha parlato nel resto del mondo tranne qualche singola testata online, ovviamente lontanissima dai canali mainstream. E non ci si riferisce in questa sede ad una velata disinformazione o a qualche raro accenno. Si parla di un silenzio assoluto da parte di un apparato mediale che sembra aver avuto tutto l’interesse a far passare in sordina una notizia che, a conti fatti, avrebbe delegittimato mesi – se non anni – di moralizzazioni a sfondo finanziario da parte di Paesi che, in primis, non hanno sostenuto le soluzioni propagandate come “necessarie”. Necessarie, sì. Ma per gli altri.

Il Fiscal Compact, nel suo articolo 3.1 sancisce che «il deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche» deve risultare «inferiore allo 0,5% del Pil» per considerare garantito l’obiettivo prefissato. Paesi come l’Italia hanno dovuto ridurre la spesa pubblica ed aumentare le entrate – indovinate un po’, attraverso la tassazione – con l’effetto devastante di aver fatto crollare la domanda, i consumi affossando dunque le imprese. La Germania, dopo aver preso in mano le redini dell’Europa, sembra imporre le regole ai più “piccoli” senza l’obbligo morale di doverle rispettare. L’Unione Europea, mano mano che il tempo passa, si sta svelando per quello che è: un’abnorme pressione esterna che poggia semplicemente sugli interessi di pochi oligarchi a discapito di tutti gli altri. Quanto potrà durare questo inganno non ci è dato saperlo.
[Modificato da marco--- 03/09/2013 11:28]
03/09/2013 11:42
 
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Le bugie sul Fiscal Compact (voluto poi rinnegato) di Epifani (Fonte: fanpage.it - 07/08/2013)

Il Fiscal Compact prevede il taglio di almeno 50miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni. Soldi sottratti a scuole, ospedali, infrastrutture, case popolari, creazione di nuovi posti di lavoro. Oggi Epifani dice che venne votato dal centrodestra. Ma non è vero: anche il PD lo approvò alla Camera e al Senato con entusiasmo solo un anno fa...

Tutto ciò è alla base delle politiche di austerity condotte dal Governo Monti prima, e da quello Letta oggi, con buona pace del ruolo pubblico in economia. L'Italia è obbligata al rientro del 50% dell’ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60% del PIL. Attualmente il nostro debito è pari a a 2.034 miliardi Euro. Che vuol dire, grossomodo, un taglio complessivo di circa 1.000 miliardi di euro (entro il 2043) e quindi una cinquantina di miliardi di euro all'anno. Naturalmente a questo va sommato il pagamento degli interessi sul debito (di circa 95 miliardi di euro all'anno. Fonte: il Sole 24 Ore). Ma non è ancora tutto: il Fiscal Compact viene applicato solo negli anni di non-recessione, così il termine dei vent'anni è destinato a slittare. Il periodo di applicazione sarà molto più lungo.

Che vuol dire tutto ciò? Vuol dire tagli ai servizi pubblici: scuole, ospedali, case popolari, infrastrutture, servizi di assistenza ai malati, ecc. Ma anche impossibilità a creare nuovi posti di lavoro veri.
Oggi Guglielmo Epifani si accorge che il Fiscal Compact è disastroso e condanna l'Italia alla recessione. Ma dov'era il suo partito quando, oltre un anno fa, il provvedimento venne varato?
18/10/2013 10:32
 
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Report - Il Fiscal compact è peggio di un'atomica... Ma che cos'è? 14/10/2013 (Pubblicato in data 15/10/2013)



Classicamente si stima il debito eccedente il 60% del PIL pari a circa 900 miliardi, dunque per abbassare il debito e portarlo al 60% del PIL, mettendo per un attimo da parte miglioramenti/peggioramenti negli ambiti PIL/spesa pubblica, occorrerà pagare 900 miliardi.
Questi signori invitano a ricalcolare il ventesimo ogni anno, bene, nella tabella che segue vi è la successione numerica nei prossimi 20 anni, emergono 2 aspetti:

- le quote da pagare nei prossimi anni non sembrano essere così leggere come sostengono nel video
- alla fine dei 20 anni il debito non ha raggiunto il 60% del PIL, mancano quasi 340 miliardi, è un po' come nel Paradosso di Achille e la tartaruga

AnnoDebito eccedente il 60% del PILQuota fiscal compact dovuta
2015900,045,0
2016855,042,8
2017812,340,6
2018771,638,6
2019733,136,7
2020696,434,8
2021661,633,1
2022628,531,4
2023597,129,9
2024567,228,4
2025538,926,9
2026511,925,6
2027486,324,3
2028462,023,1
2029438,921,9
2030417,020,8
2031396,119,8
2032376,318,8
2033357,517,9
2034339,617,0


Report & Gabanelli, decisamente deludente... [SM=g6949]
[Modificato da marco--- 18/10/2013 14:47]
26/11/2013 10:41
 
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Il Fiscal Compact? Un atto illegale (Fonte: vita.it - 20/03/2013)

Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, un atto che contraddice il Trattato di Lisbona. E l’eurozona è vicina al collasso.

Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.

Il guaio, ha detto Guarino a Marco Valerio Lo Prete, che l’ha intervistato per il “Foglio”, è che nessuno, in Italia, osa neppure contraddirlo: semplicemente, i “malati” fingono di ignorare la diagnosi del “medico”. Il professor Guarino esibisce cifre imbarazzanti: l’Europa dell’Eurozona sta continuando a franare, fino a crollare. Un destino segnato in partenza: «Nel quarantennio che va dal 1950 al 1991, la media del tasso di crescita del Pil era stata del 3,86% in Francia, del 4,05 in Germania, del 4,36 in Italia». Le percentuali, dopo i primi sei anni del trattato dell’Unione Europea, sono invece impietose: «La Francia scese all’1,7%, la Germania all’1,4 e l’Italia passò all’ultimo posto». E i dati che vanno dal 1999 al 2011, aggiunge Guarino, sono addirittura drammatici: «La media per i tredici anni dell’euro è diminuita per la Francia all’1,61%, per la Germania all’1,32, per l’Italia allo 0,68. Un crollo verticale».

La causa? Va ricercata nella disciplina giuridica dell’Eurozona e dell’Unione Europea in generale: «Non esiste precedente storico di Stati che, per perseguire obiettivi di crescita, si siano rigidamente vincolati al rispetto della parità di bilancio». Vincoli – insiste Guarino – imposti illegalmente. Fino all’incredibile Fiscal Compact, firmato nel marzo 2012 dopo esser stato negoziato nel dicembre 2011, cioè nel momento di massima tensione sui mercati per le sorti dell’Europa. Fiscal Compact che, all’articolo 3, introduce l’obbligo, per gli Stati, di mantenere «in pareggio o in avanzo» la posizione di bilancio della pubblica amministrazione. Norma suicida, avvertono gli economisti neo-keynesiani come Krugman e Stiglitz: tagliando la spesa pubblica, va a rotoli l’intero sistema economico, incluso il settore privato, come la realtà quotidiana si sta incaricando di dimostrare. In più, aggiunge Guarino, il Fiscal Compact è addirittura «inapplicabile», alla lettera, perché è scritto che può essere davvero applicato «soltanto finché compatibile “con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea”».

Problema: pur molto restrittivi, i trattati costitutivi dell’Ue non arrivano a vietare la possibilità di indebitarsi.

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009 “fondendo” il trattato sull’Unione Europea e il trattato che istituisce la Comunità Europea, «fissa al 3% il limite che l’indebitamento non può superare», ricorda Guarino. e «sopprime la sovranità fiscale degli Stati firmatari, in violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama». Forse, osserva Guarino, il Fiscal Compact è stato una “scorciatoia”, visto che l’unanimità tra i 27 paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. «Fatto sta che questo trattato rimane illegale: non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona». Quell’obbrobrio giuridico, primo responsabile delle spietate politiche di rigore che stanno letteralmente piegando le economie del Sud Europa, è estraneo persino al diritto fondamentale europeo, perché «l’azzeramento del deficit non è previsto dal regolamento 1175 del 2011, vigente tuttora in materia di politica di bilancio».

Il parametro dell’indebitamento al 3% – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – è stato sostituito «con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio», archiviando Maastricht e il parametro precedente, cioè un “sano” debito pubblico fino al 60% del Pil, su cui si fondò la crescita del benessere reale in tutta Europa, per decenni.

E stato «un attentato alla Costituzione europea», ad opera di membri della stessa Commissione, tra i quali oltretutto figuravano Mario Monti, “ministro” europeo per le regole sulla concorrenza, e la stessa Emma Bonino: incaricata di occuparsi di politica dei consumatori, pesca e addirittura aiuti umanitari, proprio mentre Bruxelles varava misure che avrebbero provocato la catastrofe umanitaria della Grecia e il tracollo socio-economico degli altri Pigs, causando l’incredibile retrocessione di una potenza industriale come l’Italia. La motivazione di quella mossa? Forse doveva servire da “pungolo” per condizionare gli Stati meno rigorosi, in vista della convergenza verso l’adozione dell’euro: «Si trattò di consensi formalmente volontari ma sostanzialmente coatti», cioè estorti, e senza mai la necessaria trasparenza, né una vera validazione democratica, tantomeno referendaria.

È lo stesso schema che oggi si ripete per il giro di vite finale, quello più drammatico, imposto da Fiscal Compact che condanna l’Italia a tagliare di tutto, dalle pensioni alla scuola, dagli enti locali alla sanità, precipitando il paese nell’abisso della povertà e dell’insicurezza sociale. Nel 1997, ribadisce Guarino, fu un semplice regolamento burocratico ad avere la pretesa di correggere le norme di un trattato che pure era legalmente sovraordinato, con la Commissione Europea che si arrogò il diritto di inserire l’obiettivo del bilancio in pareggio o addirittura in attivo. Nel 2012, firmato il Fiscal Compact sul rigore assoluto di bilancio, grazie alle fortissime pressioni della Germania guidata da Angela Merkel, Bruxelles «ha tradito le norme vigenti del Trattato di Lisbona e quelle appena stabilite nel Regolamento 1175 del 2011». Ma attenzione, lo strapotere tedesco è miope: «Negli anni 90, nel momento in cui tutto il mondo accelerava per avvantaggiarsi della rivoluzione informatica, la Germania ha scelto di autovincolarsi, di immobilizzarsi per fare da modello a tutti gli altri, ed ecco i risultati. Così sta forse acquistando la preminenza in Europa perdendo quella nel mondo, un errore in cui è già incappata altre volte nella storia. Il punto è che oggi è tutta l’Europa a rischiare l’irrilevanza».

Secondo Guarino, si impone una svolta: per salvare l’economia, ma anche “in nome della legge”. Ovvero: «Il Fiscal Compact non si applica, se vogliamo rispettare i trattati europei. Né va portata avanti la sua trasposizione nella Costituzione italiana, con la riforma dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio». Quanto alla possibile reazione dei “mercati”, cioè il potere di ricatto dello spread, Guarino parla di «grande imbroglio» e rivela che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi si può far salire e scendere semplicemente «muovendo una decina di miliardi di euro». Speculazione pura, manipolazione politica persino a buon mercato. Così, Guarino suggerisce la prima mossa da compiere, per un esecutivo davvero responsabile: «Esigere l’applicazione dei trattati vigenti, cioè del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 e in vigore dal 2009. Quel trattato garantisce la possibilità di un indebitamento annuo pari al 3% del Pil». Questo, in base alle attuali norme – che il Fiscal Compact calpesta. Senza contare che i rivolgimenti politici in corso, a partire dall’Italia, potrebbero costringere la Germania e tutta l’Unione Europea ad archiviare per sempre l’ideologia suicida del taglio della spesa pubblica, se si vuole davvero una “ripresa” dell’economia e dell’occupazione”.
[Modificato da marco--- 26/11/2013 10:44]
05/05/2014 11:05
 
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Siete pronti al salasso del Fiscal Compact? (Fonte: formiche.net - di Domenico Cocopardo - 05/01/2014)

La prima e più grave delle notizie quest'anno è l'avvio, il 1° gennaio 2015, del Fiscal compact con l'obbligo per l'Italia di ridurre il proprio debito al 60% del Pil in vent'anni. Ciò significa che dalla finanziaria 2015 che sarà discussa nel prossimo autunno, noi dovremo avere un avanzo di 50 miliardi annui da destinare al taglio del debito.

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

L’anno che è appena iniziato è carico di promesse per gli italiani: un’annunciata ripresina da raccogliere e potenziare; l’abolizione del bicameralismo perfetto; una nuova legge elettorale; gli effetti dei vari provvedimenti sull’occupazione. Insomma, dopo tanti elementi negativi, una combinazione di positività.

Vedremo. Ma il fatto politico più rilevante, ai fini della proiezione comunitaria del Paese, è il semestre di presidenza italiana, che inizierà il 1° luglio. In realtà, le presidenze passano e nulla di speciale accade né per la nazione investita dalla responsabilità, né per l’Unione. Questa volta, però, ci sono questioni che non possono essere accantonate, né per l’Italia né per l’Europa.

L’AUTOLESIONISMO DI MONTI

La prima e più grave di tutte è l’avvio, il 1° gennaio 2015, del Fiscal compact con l’obbligo per l’Italia di ridurre il proprio debito al 60% del Pil in vent’anni. Ciò significa che dalla finanziaria 2015 che sarà discussa nel prossimo autunno, noi dovremo avere un avanzo di 50 miliardi annui da destinare al taglio del debito. Una follia sottoscritta per l’Italia da Mario Monti in un impeto autolesionistico. Non c’è altra spiegazione per la firma di un impegno insostenibile che, comunque, completerebbe l’affondamento dell’economia nazionale. Anche perché, il nostro Paese, come gli altri, ha poteri di veto sulle decisioni dell’Unione e dovrebbe esercitarlo ogni volta che sono in ballo i nostri interessi vitali. In questo fiscal compact c’è tutto lo sviamento dell’originario progetto europeista. Facciamo un breve passo indietro.

L’EQUILIBRIO PERDUTO

La pace di Westfalia (1648) stabilì un principio di equilibrio tra gli Stati europei. Quando non è stato rispettato, è stata guerra sanguinosa. Oggi, l’Europa immaginata da Schuman, Adenauer, Spaak e De Gasperi ha rinnegato i propri fondamenti: parità ed equilibrio tra potenze per la lenta ma costante integrazione sino al momento in cui un ordinamento federale sarà maturo. Li ha rinnegati dal momento in cui la Francia ha cessato di essere il solido contrappeso alla volontà di potenza tedesca. E da quando l‘Italia ha smesso di fare politica estera e di essere uno dei protagonisti europei. Certo, ci sono stati altri fattori, a cominciare da un’imbarazzante presidenza Prodi che ha condotto l’Unione a un errato allargamento, capace di renderla ingovernabile. C’è stata l’unificazione tedesca (per la quale fu chiesto il permesso anche all’Italia; sembrano passati secoli da quando avevamo questo peso) e il suo successo che hanno conferito alla cancelleria di Berlino una indiscussa primazia.

L’EGEMONIA TEDESCA

Ma, in definitiva, è accaduto ciò che già gli europei del 1648 ritenevano deleterio: il passaggio da un sistema di equilibri a un sistema egemonico. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Le macerie che la strapotenza tedesca, non più militare, ma economica, sta provocando in tutto il continente rappresentano la prova di una politica sbagliata e dannosa. La Grecia costretta a un’economia di mera sussistenza con migliaia di persone assiepate, per Natale, nelle mense dei poveri. Il Portogallo, la Spagna e l’Italia alle prese con una disoccupazione biblica, fabbriche che continuano a chiudere, banche allo stremo e, anche qui, milioni di persone entrate nel cono tragico della povertà.

IL COLLASSO DELLA DEMOCRAZIA

Di fronte a questa situazione, da noi, la retorica nazionale, interpretata senza l’ombra di un dubbio da Giorgio Napolitano, insiste sulla necessità di seguire pedissequamente gli ordini di un’Europa egemonizzata dai tedeschi. Tanto egemonizzata che, ormai gli interessi dell’Unione equivalgono agli interessi della Germania. Continuando su questa strada non sarà in pericolo l’economia. Sarà in imminente pericolo di collasso la democrazia. E i vari Grillo, Le Pen e compagnia bella non dovranno fare sforzi particolari per raccogliere con lo sdegno della gente i voti per mandare all’aria l’euro e l’Europa.

COME SALVARE L’ITALIA

Se c’è un valore da difendere, è quello comunitario. Riportato alle origini, cioè all’equilibrio tra le nazioni, al rifiuto di ogni egemonia. Per ottenere questo risultato, occorrono coraggio e determinazione. Non deflettere un momento e porre tutti i veti necessari per salvaguardare l’Italia. L’euro, in questa situazione, è addirittura secondario. E, poi, il proseguimento della politica di restrizioni non ci metterebbe molto a farlo saltare in aria.

Il giovanotto fiorentino dall’agitata e inconsistente verbosità, messo a capo del partito di maggioranza relativa, non ha ruolo, per ora e per fortuna. Il compito spetta a Enrico Letta: dovrà scegliere se essere il De Gasperi del decennio o l’ennesimo Quisling in giro per l’Europa. Non è chiaro se se ne sia reso conto.
[Modificato da marco--- 05/05/2014 11:06]
28/05/2014 15:48
 
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Perché è impossibile rispettare il Fiscal Compact (Fonte: keynesblog.com - 17/03/2014)

...Su questa base, piuttosto ottimista, abbiamo calcolato a quanto dovrebbe ammontare l’avanzo primario nei conti pubblici per poter arrivare, nel 2035, all’obiettivo di rapporto debito / Pil pari al 60%.

l’ammontare assoluto del debito continuerebbe a crescere fino al 2021 per calare soltanto in seguito. Ma, soprattutto, per portare nell’arco del periodo esaminato l’incidenza del debito pubblico al 60% del Pil, occorrerebbe realizzare (e mantenere per quasi vent’anni) un avanzo primario non inferiore al 4,5% del prodotto (comunque supposto in crescita in termini monetari). E tale risultato dovrebbe essere ottenuto mediante un maggior prelievo fiscale ed una minore spesa pubblica con ricadute devastanti sulla dinamica del Pil, che ben difficilmente potrebbe mantenersi sul ritmo di crescita ipotizzato dell’1,6%.

In aggiunta alle considerazioni precedenti, va sottolineato come questi esiti andrebbero conseguiti nell’ipotesi che non si manifestino eventi traumatici sui mercati finanziari e sui sistemi economici che si interfacciano con l’Italia. Uno scenario che al momento non appare affatto verosimile.
[Modificato da marco--- 28/05/2014 15:49]
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