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Il mattone Italiano: Trilussa è tra noi

Ultimo Aggiornamento: 16/10/2012 16:14
16/10/2012 16:14
 
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Chi lo va a spiegare a Buzzetti?

Tanto di cappello all'autore [SM=g1747536]


Il mattone italiano: Trilussa è tra noi

Posted on 15 ottobre 2012

Dopo lunga inattività, a vendemmia finita, è il momento di tornare ad ammorbarsi con un po di cronaca italiana. Il presidente dell’Ance, Buzzetti, ha rilasciato interviste per reclamare la costruzione di 600.000 nuove case in Italia. Dice che mancano all’appello. Negli ultimi tempi quelli di Repubblica insistono con energia sul tema, sfornano con cadenza settimanale articoli come questo. Avranno le loro buone ragioni. C’è anche qualche voce di segno diverso, vedi qui o qui; la differenza immagino rappresenti la categoria di azionisti che sostiene il giornale scelto. Fa piacere sapere che almeno quelli di Confindustria si rendono conto di quale sia la situazione. Al momento gli italiani non sembrano comunque percepire – in media – l’esistenza di grossi rischi nel comparto delle speculazioni immobiliari.

Buzzetti in particolare dice che “…i soldi ci sono? «Certo che ci sono, solo che quelli dedicati all’edilizia sono stati usati altrove: gli italiani, per esempio, hanno pagato 60 miliardi per il fotovoltaico, ma ne hanno tratto vantaggio solo le produzioni cinesi e tedesche…”. Intelligente ed accorto: gli italiani mica sanno che in realtà i fondi destinati alle rinnovabili sono stati in parte mangiati dai gestori di inceneritori di scorie tossiche di raffineria. L’ignoranza rende deboli. Comunque la proposta sarebbe poi quella di eliminare le spese in rinnovabili per riprendersi indietro i soldi e spenderli in cemento e catrame.

Il ministro Passera, alcuni mesi fa, aveva detto che sarebbe stato il caso di rivedere il sistema degli incentivi alle rinnovabili più o meno per le stesse ragioni: sono soldi che spendiamo per acquistare prodotti in gran parte stranieri. E la revisione degli incentivi c’è stata, vedere la cronistoria; il ministro aveva affermato di voler mettere l’accento sul solare termico e sulle riqualificazioni energetiche. Un po lo capisco: i nostri imprenditori, raffazzonata armata di nipoti dei fondatori delle rispettive aziende che occupano la propria posizione per mero diritto dinastico, hanno in larga misura mancato l’occasione offerta dalle rinnovabili. In special modo quelle più innovative, come il fotovoltaico. Il ministro avrà pensato – e lo penso pure io – che questi signori dovrebbero essere almeno in grado di piegare dei tubi, coprirli con un pezzo di plastica e collegarli al boiler della nonna. Ho come la vaga impressione che insistiamo a difendere non tanto aziende decotte – come dicono i leghisti quando si parla di fabbriche collocate nel sud Italia – quanto piuttosto categorie sociali totalmente decotte; e la locazione geografica in questo caso potrebbe essere rappresentata da latitudini leggermente più elevate.

Lasciamo perdere. Per quel che riguarda le case, la proposta di Buzzetti si dovrebbe basare su una qualche analisi sensata. Nella mia provincia le case sfitte sono presenti ovunque in numero spropositato, ne avevo già parlato. Ma in generale in Italia come va? Mi pare utile provare ad impiegare il dato fornito dalle serie storiche Istat raccolte per i 150 anni dell’unità d’Italia, assieme ad un po di altra roba targata Istat e catasto, o come lo chiamano oggi. Sono poi cose già note e discusse, ma se questi signori ritengono di poter insistere all’infinito sulla linea che hanno scelto come potrei tirarmi indietro io?


Permessi a costruire ed abitazioni realizzate. Fonte: Serie Storiche Istat.

Interessante ed incompleto, il dato fornito dalle serie storiche che Istat ha pubblicato in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia parla anche con le proprie evidenti lacune. Prima questione: fino alla fine degli anni ’70 qualcuno si prendeva la briga di censire sia le richieste di permessi per costruire che le abitazioni effettivamente realizzate. Logicamente non coincidono, dato che esiste sempre un ritardo tra concessione edilizia e conclusione dei lavori; e comunque non tutti i progetti arrivano a conclusione. Illuminanti i valori anomali nelle concessioni che si registrano a fine anni ’60, e che non troveranno compimento pratico. Il fatto che negli ultimi trent’anni nessuno si sia curato di verificare l’esito effettivo delle varie avventure edificatorie intraprese è certamente strano; non se ne capisce bene la ragione. Probabilmente qualcuno ci ha guadagnato qualcosa.

Seconda questione: dopo una relativa stazionarietà, avviata dagli anni ’80, i permessi a costruire hanno subito una impennata. Una impennata violenta. I grafici pubblicati, che so, da Global Property disegnano un mercato che viaggia tra alti e bassi. Un tonfo notorio nel settore degli immobili si verificò nei primi anni ’90. Eppure non ci sono tracce evidenti di queste oscillazioni nelle concessioni edilizie: sembra che tutto proceda regolare, almeno fino al 2001 / 2002. Poi improvvisamente si cambia: i costruttori italiani si fanno approvare molti più progetti, fin oltre i 300.000 all’anno. Intendiamoci: equivarrebbe a dare un tetto a un milione di persone, se si stringono leggermente. Ovviamente non è dato sapere quanti di questi permessi corrispondano ad edifici realmente ultimati, ma è lecito supporre che gli andamenti relativi siano abbastanza simili. Negli ultimi cinque anni si assiste ad un crollo delle richieste: avrete visto tutti quanti scomparire i tralicci delle gru che nei primi anni ’00 dominavano il paesaggio delle città italiane. Nel complesso, parrebbe di vedere una bolla.


Abitazioni occupate e non occupate in Italia. Fonte: Istat.

Altra vicenda: le abitazioni esistenti. Nel grafico sopra un riassunto semplice della situazione: si registra un incremento abbastanza lineare a partire dall’immediato dopoguerra. Ad oggi le abitazioni sarebbero più di 29 milioni, di cui quasi 5 milioni non occupate; o meglio, non occupate da residenti. Anche qui c’è una certa nebbiolina. Secondo i dati dei censimenti, nel decennio 2001 – 2011 sarebbero apparse all’incirca 1,78 milioni di abitazioni. Nel decennio precedente l’incremento registrato era stato di 2,26 milioni di unità.

Che cosa curiosa, non trovate? Nel decennio precedente si era riscontrato un forte incremento nel numero delle unità disponibili; nell’ultima decina di anni, a fronte di una furia edificatoria nota a tutti noi e visibile nell’andamento delle concessioni, l’incremento sarebbe stato più contenuto. Il dato del censimento è forse ancora instabile, incompleto? Non credo, dato che la raccolta dei dati è terminata da più di un semestre. Forse in anni recenti a prevalere sono state non le costruzioni ex novo, ma piuttosto le demolizioni con ricostruzione. Non so che dire, non ho risposte per questo.


Abitazioni occupate e non occupate in Italia per abitante. Fonte: Istat.

La disponibilità di abitazioni per persona ha anch’essa qualcosa da raccontare. I dati Istat al momento sembrano disegnare un incremento regolare delle disponibilità per tutto il dopoguerra, sia per gli immobili occupati che per quelli non occupati; con una interruzione improvvisa negli ultimi anni. Il fenomeno sarebbe dovuto alla ripresa della crescita della popolazione italiana, a partire dal 2003: in parte per effetto di una famosa legge che avrebbe dovuto sbarrare le porte agli immigrati, e che invece con una sanatoria memorabile aprì la via ad un flusso in ingresso prima sconosciuto. L’Italia….

Ad ogni modo avremmo un patrimonio in abitazioni civili che cresce con calma, più o meno linearmente; ed una popolazione che nell’ultimo decennio si è allargata più di quanto non si creda, ben oltre la stazionarietà sperimentata negli anni ’80 e ’90. O almeno sembrerebbe così, stando ad Istat. Vediamo ora una banca dati diversa, giusto per fare qualche paragone: il catasto. Anzi, Agenzia del Territorio, come lo chiamano oggi. In particolare tra le pubblicazioni troviamo i rapporti sulla consistenza del patrimonio immobiliare italiano negli ultimi anni: sono dati limitati ad anni recenti, ma possono servire ugualmente.

Il nostro immarcescibile catasto stimava, per gli immobili “A” escluso “A10″ – le abitazioni – un totale di 31.428.721 unità a fine 2007. Nella relazione del 2011 la stima, riferita a fine 2009, era lievitata a 33.073.889 abitazioni civili. Non si tratta di una crescita reale, ma semplicemente di un affinamento del metodo di indagine: secondo affermazioni dell’agenzia stessa è migliorata la capacità di incrociare e verificare i dati del catasto e delle dichiarazioni di cittadini ed aziende. A parte queste considerazioni, staremmo parlando di più di 30 milioni di unità abitative intestate a persone fisiche; e quasi 3 milioni di unità intestate ad aziende, enti e società varie. La discrepanza con il dato di 29 milioni e rotti fornito da Istat è lampante, e può avere varie origini: probabilmente i due diversi metodi di indagine incidono sul risultato. Può anche essere che Istat sia più severo nel definire strutture che possano essere considerate abitazioni.

Immaginando che il valore di affollamento medio delle abitazioni rilevato da Istat nel 2009 sia realistico – staremmo parlando di 2,7 persone per immobile effettivamente in uso – potremmo sistemare i circa 61 milioni di residenti odierni in poco meno di 22,7 milioni di abitazioni. Ed è già cosa discutibile, dato che lo stesso Istat fornisce una dimensione media delle famiglie differente; ma sorvoliamo. La distanza tra questo dato ed i 33 milioni di unità di cui sopra la lascio commentare ai lettori; anche immaginando di riferirsi ai 29 milioni bonariamente indicati da Istat le cose non vanno comunque benissimo. Si ricordi bene che questi censimenti non includono i cosiddetti “cantieri”, che sarebbero poi la torma di palazzine completate ed invendute sulle quali ai nostri palazzinari è stato recentemente concesso di continuare a non pagare le imposte. Il sospetto che gli immobili inutilizzati o sottoutilizzati siano presenti in quantità astronomica continua a serpeggiare.

Dato che le notizie sul numero e sulla distribuzione degli immobili di abitazione sono frammentarie, fumose e poco utili al fine di disegnare qualche andamento temporale credibile, potremmo provare a vedere come si è evoluto un ulteriore parametro: le compravendite. Almeno per le compravendite esiste una base di dati abbastanza valida, sempre opera del catasto: qui le tabelle. E’ un mare di roba, e per mancanza di tempo e spazio tratterò solo il caso dell’Emilia Romagna.


Compravendite di abitazioni in Emilia Romagna. Fonte: Agenzia del Territorio.

Il grafico sopra mostra gli andamenti delle transazioni rilevati tramite il dato catastale; avrà anche qualche difetto – ogni rilevazione statistica ne ha – ma è degno di interesse. I totali provinciali disegnano tutti quanti una salita che culmina nel 2006: a partire da quel momento inizia la discesa, assai marcata per alcune province. Si noti che il dato 2012 è una estrapolazione ottenuta sui primi due trimestri, per ora è solo una ipotesi. Ad ogni modo, una salita ed una discesa assai evidenti. Alcune realtà territoriali hanno mostrato variazioni più decise di altre: le province di Bologna e Modena sono forse il caso più problematico. Posso testimoniare, vivendoci, che le cose stanno precisamente in questa maniera. Il dato catastale fotografa purtroppo la nuda e cruda realtà, almeno dalle mie parti.

Anche i reggiani sono andati in giostra, e poi sono caduti; interessante il caso di Parma, che aveva retto fino al 2011 e poi ad inizio 2012 ha sperimentato un tracollo in piena regola. Nel complesso, in Emilia Romagna abbiamo un valore di avvio della parabola di circa 60.000 compravendite nei primi anni ’00 – ed era già un valore gonfiato – con una crescita successiva che culmina nel 2006 al valore di 80.000 passaggi di proprietà. Nel 2011 eravamo rientrati ad appena 50.000; casomai la mia balzana estrapolazione dei primi sei mesi del 2012 si rivelasse realistica, questa annata si chiuderebbe con appena 36.000 compravendite. Vi è sembrato di vedere una bolla? Sarà stata una impressione.

Se c’è una lezione che abbiamo ormai imparato dalla famosa vicenda della recente bolla immobiliare Usa, è che le speculazioni sulle case colpiscono in maniera altamente disomogenea le varie aree geografiche, e a volte persino diversi quartieri di una stessa città. Un esempio di andamento per le aree urbane americane in questo articolo; se cercate nella rete trovate anche di meglio. Come dire: le cose vanno in un modo a Modena città, e magari vanno in un modo diverso nelle campagne del ravennate.


Compravendite di abitazioni in Emilia Romagna, solo capoluoghi. Fonte: Agenzia del Territorio.

Il pollo statistico di Trilussa qui ha davvero colpito con inusitata violenza. Nel caso dei soli comuni capoluogo di provincia gli andamenti si differenziano in maniera visibile rispetto a quanto accaduto con le intere province; anche qui estrapolazione marchiana per il 2012. La prima sorpresa è Bologna: il valore provinciale registra un declino marcato, ma la città ha retto bene. La discesa c’è, ma niente di tragico. Un fenomeno che si ripete anche nel caso di Parma. L’altra cosa interessante è lo scompiglio nelle posizioni: all’apice degli andamenti, nel 2006, città relativamente piccole come Ravenna o Reggio Emilia hanno sperimentato esplosioni delle transazioni. Al punto da scavalcare realtà dimensionalmente maggiori, come Modena. Il caso modenese è anch’esso interessante: a fronte di una bolla mostruosa nelle transazioni registrate a livello provinciale, non sembra esserci un andamento altrettanto eclatante nel comune capoluogo.

Le differenze riscontrate a livello di compravendite indicano che alcune realtà hanno sperimentato una certa euforia in tema di compravendite di abitazioni; mentre altre invece no. Nel complesso, l’apice del fenomeno è pur sempre nel 2006; con quasi 30.000 transazioni avvenute nei soli capoluoghi. La discesa dovrebbe essere meno drammatica, ma è possibile che a fine anno ci troviamo anche qui un dimezzamento delle operazioni. Aree come Piacenza, Rimini e Forlì, rimaste al margine della grande euforia di qualche anno fa, stanno comunque vivendo una caduta significativa in questi mesi; la crisi ha bussato alla porta di tutti.

Nel complesso, tra i vari indicatori di facile accessibilità, il numero di passaggi di proprietà sembra essere il migliore per capire come stanno andando le cose in tema di immobili. Vuoi perché in Emilia Romagna l’abusivismo, pur presente, altera le caratteristiche degli edifici ma non li fa sparire. Vuoi perché il dato catastale comincia a rappresentare un discreto lasso di tempo. E vuoi perché questa base di dati permette di fare qualche distinzione in più tra le varie realtà territoriali.

Al passaggio del millennio abbiamo assistito ad una incredibile ascesa nell’attività del comparto immobiliare; testimoniata con sicurezza almeno dal numero di permessi a costruire e dal volume delle compravendite. A partire dal 2006, inizia un declino importante; che apparentemente diviene più rapido proprio ad inizio 2012. Nonostante la forte difficoltà a reperire dati attendibili sullo stock di immobili in Italia, la parabola disegnata dai due indicatori citati rimane ben visibile. Ormai manca solo un elemento a concludere questa avventura: i prezzi. Su di essi non possiamo pontificare, a causa della forte ed insondabile presenza di pagamenti in nero; condita dalla consueta abitudine italiana di nascondere i dati. Possiamo però almeno immaginare quale sia il destino ultimo delle quotazioni dei palazzoni lanciati in mezzo ai campi della Bassa: il problema ormai non è più vedere se accadrà o meno l’inevitabile, ma semmai capire quando accadrà, e con quali danni collaterali. Anche qui, Trilussa colpirà con forza: il conto sarà salato, ma solo per qualcuno. Chi lo va a spiegare a Buzzetti?
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