De Margerie (Total): «Petrolio, prezzi troppo bassi»
PARIGI - Christophe de Margerie avrebbe potuto fare il diplomatico, rispettando la tradizione della famiglia paterna. Oppure avrebbe potuto prendere in mano le redini dell'azienda di famiglia, stavolta materna: Taittinger, marchio prestigioso che fa pensare al lusso e allo champagne. Invece ha preferito l'oro nero alle bollicine e alla mondanità. Una carriera professionale tutta dentro Total, quarto colosso petrolifero mondiale, della quale è diventato nel 2007 amministratore delegato. A cinquantasette anni, questo manager dall'aspetto bonario e dotato di un grande senso dell'umorismo (i suoi collaboratori l'hanno soprannominato Big Moustache), è uno dei meno in vista del jet set parigino, ma uno dei più importanti. Rifugge i salotti e non ostenta alcun legame politico preferenziale, salvo ascoltare i consigli di Hubert Védrine, l'ex ministro degli Esteri di Lionel Jospin. Ha concesso questa intervista al Sole 24 Ore in occasione della conferenza italo-francese sull'ambiente e l'energia che si tiene oggi a Sciences Po, a Parigi. Il numero uno di Total, che sarà uno dei relatori, ritiene pericoloso l'attuale ribasso del petrolio, poiché potrebbe costringere le compagnie a ridurre gli investimenti: la capacità produttiva, già insufficiente, sarebbe ancora più penalizzata e nel caso di una ripresa economica ci sarebbe una nuova fiammata dei prezzi energetici.
Contro alcuni aspetti del piano europeo sul clima, molte imprese europee si sono lamentate, in particolare per quanto riguarda il fatto di dover acquistare (e pagare) i diritti alle emissioni di Co2, visto come un costo aggiuntivo inutile e dannoso per la competititività. Qual è la vostra posizione? Noi di Total siamo pienamente d'accordo con gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (-21% entro il 2020, ndr) e dunque con il fatto di avere delle quote che corrispondano a questa riduzione. Non vediamo però per quale motivo dovremmo pagarli (i diritti alle emissioni, ndr) o metterli all'asta, tantopiù che andremmo ad alimentare un prodotto finanziario piuttosto pericoloso. Sarebbe inoltre la prima volta che uno strumento finanziario, che perlatro assomiglia molto a un derivato, rientra nei costi di un'azienda. Osservavo ultimamente che il mercato delle emissioni di Co2 non è meno volatile di quello azionario: siamo passati in breve tempo da 20 euro per tonnellata a 18 euro per tonnellata. Tutto ciò rientra nel prezzo di costo delle società costrette ad acquistarle. E' normale? A me sembra proprio di no. Non ci sono ragioni per inventare un sistema complicato e i cui criteri d'applicazione non sono chiari.
L'Agenzia internazionale energetica ha rivisto recentemente al ribasso i prezzi del petrolio. Sui mercati le quotazioni del greggio fanno fatica a restare sopra i 50 dollari al barile. Che impatto può avere questa dinamica su un gruppo come Total e quali sono le vostre previsioni sui prezzi?
Oggi è difficilissimo fare stime sul prezzo fino a quando non si comprenderà bene la portata della crisi economica. Riusciamo ancora a controllare le cifre sulla produzione, ma per quanto riguarda la domanda, ad esempio, è decisamente più complicato. Perché? Perché dipende dall'India, dalla Cina, dall'effetto dei piani di rilancio economico dei vari Paesi e infine anche dalla politica dell'Opec. In questo momento solo di due cose possiamo essere sicuri: innanzitutto che a medio-lungo termine i prezzi delle materie prime energetiche si manterranno elevati; poi, che più lunga sarà la crisi – e dunque più bassi saranno i prezzi – più alte saranno le quotazioni a medio periodo quando riprenderà la crescita e con essa la fiducia. La nostra politica, per il momento, è quella di continuare a investire. I grandi progetti di Total, come la partecipazione allo sviluppo dei giacimenti di Shtokman in Russia e delle sabbie bituminose in Canada, dovranno essere esaminati tra la fine dell'anno prossimo e l'inizio del 2010. Se entro un anno, all'approssimarsi del momento della decisione, intravediamo una ripresa dei prezzi e segnali di risveglio dell'economia, allora andremo avanti. In caso contrario, dovremo tirare le debite conseguenze. Al momento, però, lo ripeto, la nostra politica di investimenti, che è una politica di medio-lungo termine, non cambia.
Qual è allora il prezzo d'equilibrio, ammesso che ce ne sia uno, perché le compagnie continuino ad investire anche in un contesto macroeconomico difficile?
E' sempre difficile parlare di prezzi, ma ci sono dei progetti che al di sotto degli 80-90 dollari al barile fanno davvero fatica ad essere finanziati. In più c'è un problema generale, che non riguarda direttamente noi, ma altre compagnie del settore poiché, non dimentichiamolo, non ci sono solo Total e le major: se i prezzi scendono troppo e troppo rapidamente, è chiaro che società meno solide della nostra da un punto di vista finanziario faranno presto fatica a reperire le risorse necessarie per gli investimenti. E anche se volessero non potranno farlo: da un lato perché il cash flow che ricevono dalla produzione attuale si ridurrà; dall'altro, perché la crisi rende più difficile il loro accesso ai finanziamenti. Di questo passo c'è il rischio che una produzione già debole si presenti ancora più indebolita all'appuntamento con la ripresa economica causando una nuova fiammata dei prezzi e, quel che è peggio, compromettendo le possibilità di rilancio.
Sia al rialzo sia al ribasso, le oscillazioni negli ultimi mesi sono state molto violente. Che ruolo ha avuto la speculazione nel balzo dei prezzi delle materie prime energetiche che ha conosciuto il suo picco in luglio?
Non credo che sui prezzi del greggio ci sia stata una speculazione, non almeno nel senso disonesto del termine. E' vero invece che a un certo punto c'è stata una certa ‘'infatuazione'' per il petrolio. Gli investitori sapevano bene che c'era uno squilibrio tra domanda e offerta a lungo termine e dunque quando si è trattato di collocare i loro soldi in una fase di crisi economica, il petrolio ha assunto lo status di un bene rifugio. Tutti, ad un certo punto, si sono messi a fare la stessa cosa. E il sistema è entrato in cortocircuito. Abbiamo assistitito, cosa piuttosto rara, ad un aumento dei prezzi petroliferi nel momento in cui erano già evidenti i segnali della crisi economica, mentre quella finanziaria era, di fatto, partita. La sequenza tra queste due crisi è diventata a un certo punto confusa, ma credo che lo scoppio della bolla sui mutui subprime, che ha fatto a sua volta da detonatore alla crisi economica, abbia innescato l'inversione di tendenza sui prezzi delle materie prime energetiche. Quando società come Lehman Brothers o altre falliscono, devono chiudere tutte le loro posizioni, tutto ciò che hanno di liquido. Ebbene, alla fine il petrolio è entrato in questa follia collettiva.
L'aumento non solo è stato troppo rapido, ma troppo elevato. Ora, il ribasso è ancora più rapido, più forte, anomalo, e soprattutto pericoloso, per le ragioni che ho già citato.
Che cosa le fa prevedere, allora, che a medio e lungo termine i prezzi torneranno, non solo a salire, ma resteranno elevati?
Innanzitutto non ci troviamo all'inizio di un ciclo, tenuto conto sia delle tensioni geopolitiche sia delle limitazioni nella produzione, che restano forti. E non ci sono nemmeno problemi di riserve. Scoperte recenti ci permettono di affermare che il petrolio è assicurato almeno per i prossimi cent'anni. Però continuiamo ad avere un livello di produzione insufficiente e quindi, globalmente, abbiamo in concreto un deficit energetico. Non oggi, perché c'è una crisi della domanda. Ma di sicuro a medio-lungo termine, soprattutto con il fabbisogno dei grandi Paesi emergenti.
Anche Cina e India pero' stanno rallentando, e non di poco.
Rallentano, appunto, ma non smettono di crescere. Le faccio un esempio, citando alcune cifre tra due realtà quasi estreme. Negli Stati Uniti ci sono 800 vetture per ogni mille abitanti, In Cina questo rapporto è di 30 per ogni mille. Anche ammettendo che negli Usa, con i nuovi comportamenti legati alla crisi, questa densità si riduca e anche ammettendo che la Cina non toccherà mai lo stesso livello fermandosi, diciamo, a 300 vetture per abitante, siamo sempre a un fattore di uno a dieci. Quindi, di fronte a tali necessità, i livelli di produzione restano insufficienti. E' qui la grande differenza, che ci farà restare a lungo in un contesto di limitazione dell'offerta e non della domanda. Da qui, l'importanza di continuare a lavorare sulla riduzione dei consumi.
Total vuole giocare un ruolo sempre più importante anche nelle energie rinnovabili e sul nucleare in particolare. Di recente avete siglato una partnership con Areva e Suez per fornire agli Emirati Arabi Uniti due reattori nucleari Epr. Perché questa scelta? E dove volete arrivare?
E' una politica in linea con la nostra strategia e con la nostra visione delle cose. La strategia è chiaramente impostata sugli idrocarburi. Resta la priorità, il core business di Total. Ci sono grandi investimenti da fare per rendere gli idrocarburi meno inquinanti e ciò ci terrà occupati per molto tempo a venire. Siccome, però, siamo noi stessi a dire che quando la crisi sarà passata torneremo ad una situazione di squilibrio tra domanda e offerta, a detrimento della domanda, è perfettamente normale che ci posizioniamo nelle energie non sostitutive, ma nuove e rinnovabili. Perché è di un complemento energetico ciò di cui abbiamo bisogno e non di fonti sostitutive. Tantopiù, piccola parentesi, che con un prezzo del barile a 50 dollari, le stesse energie rinnovabili faranno fatica ad imporsi sul mercato.
Abbiamo dunque deciso di svilupparci nel nucleare, nella biomassa di seconda generazione, nel cosiddetto carbone pulito. Anche se ci sono ancora alcuni aspetti da mettere a punto per quanto riguarda la sicurezza delle scorie e del loro trattamento, il nucleare offre un vantaggio indiscutibile: quello di bassissime emissioni di Co2. E' dunque naturale posizionarsi nel medio termine per vedere se, indipendentemente dal nostro ruolo di ‘'petrolieri'', siamo in grado di giocare un ruolo come gruppo energetico: fornitore al tempo stesso di energie fossili ed energie rinnovabili.
I profitti di Total sono sempre oggetto di grandi polemiche. Di recente Ségolène Royal ha proposto una sovrattassa sul vostro utile per finanziare le pmi in difficoltà e gli investimenti nelle energie rinnovabili. Come reagisce a questo dibattito?
E' un dibattito vecchio, purtroppo, che risale alle fusioni. Prima tra Petrofina e Total, poi tra Total Fina ed Elf. Oggi siamo finalmente Total. Nei Paesi latini la taglia stessa dei profitti è un dibattito e si dimentica che i nostri risultati sono la somma delle parti, il frutto di più fusioni. Bisogna rapportare gli utili alla taglia degli investimenti, del capitale, degli impegni più in generale. Ci possono essere dei grandi profitti che sono in realtà dei cattivi risultati. Mi rendo conto che sul tema, da parte nostra, si debba compiere uno sforzo pedagogico. E far capire che i risultati di Total sono risultati che nascono da una politica di lungo termine, che necessita di prese di rischio, di lavoro in Paesi estremamente difficili, di tecnologie all'avanguardia. Non sono soldi che vengono dalla speculazione o dal trading.
Percio' chi si lamenta degli utili di Total ha torto. Sarebbe un peccato, durante una tale crisi economica, non ‘'approfittare'' delle opportunità che una società come la nostra puo' offrire con i suoi investimenti e con le ricadute economiche dei suoi investimenti. Il fatto di essere ancora in crescita è positivo, in Francia e direi a livello mondiale, poiché Total investe in 130 Paesi.
E la sovrattassa?
E' giusto pagare le tasse nei Paesi in cui guadagniamo. Guadagniamo ovviamente anche in Francia, ma è una parte molto piccola dei nostri ricavi. Sarebbe quantomeno curioso dover pagare le imposte sul reddito proveniente da un Paese nel quale siamo stati già tassati. Total ha pagato l'anno scorso complessivamente 17 miliardi di imposte. L'utile netto, a oltre 12 miliardi di euro, è la stessa cifra che abbiamo dedicato quest'anno ai nostri investimenti.
Nel vostro capitale vi sono dei fondi sovrani. Immagino siano benvenuti. Non è pericoloso accoglierli in un settore come quelle energetico, ad alta sensibilità politica e strategica?
Per un gruppo come il nostro i fondi sovrani sono piuttosto una buona notizia. Ne abbiamo tra i nostri investitori, ma non abbastanza.Il 95% del capitale di Total è in mano ad azionisti europei ed americani. Abbiamo solo il 5% per il resto del mondo, dove si concentra la maggior parte della popolazione e dove c'è ancora la crescita economica. Sono molto contento dei nostri azionisti attuali, nulla da dire per carità, ma non sarebbe male avere una migliore ripartizione del capitale. Non dobbiamo fare confusione tra fondi sovrani e prese di controllo ostili.