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Ipercostruito e malcostruito: cominciamo a parlarne ...

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2012 13:16
28/05/2011 19:37
 
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"... in Italia costruiamo 38 volte di piu' del numero delle nascite ..."
Grazie a koken [SM=g1747536]

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28/05/2011 19:50
 
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Grazie Syl,

di qua sono Ioviseguirò [SM=g7576]
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Re:
ioviseguiro, 28/05/2011 19.50:

Grazie Syl,

di qua sono Ioviseguirò [SM=g7576]




[SM=g7840] [SM=g7576] [SM=g1750483] [SM=g1747536] [SM=g1747529] [SM=g1750152]
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Un'ottima e seria testimonianza di quanto è a accaduto negli ultimi anni nell'ambito delle costruzioni, complimenti! [SM=g1750826]

p.s. Ho spostato questo 3D nella sezione video.

Marco
28/05/2011 22:58
 
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Re:
marco---, 28/05/2011 21.36:

Un'ottima e seria testimonianza di quanto è a accaduto negli ultimi anni nell'ambito delle costruzioni, complimenti! [SM=g1750826]

p.s. Ho spostato questo 3D nella sezione video.

Marco




piu' che appropriato, visto l'ottimo contributo

[SM=g1747536]
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02 Giugno 2011

Pomigliano come Milano: i cittadini scappano ma il cemento aumenta.

di Antonio Malfi


Milano ha un tasso demografico che crolla a picco e nonostante gli appartamenti sfitti e invenduti la Moratti prima e Pisapia ora consentiranno la costruzione mostruosa dell'EXPO 2015 insieme a quella di City Life: migliaia di nuovi appartamenti e posti auto. Che senso ha se cala la richiesta abitativa? Anche perchè è sempre più difficile accedere ai mutui in quanto le banche chiedono sempre maggiori garanzie. I cittadini scappano ma il cemento aumenta. Milano come Roma come Bari come Bologna come Pomigliano d'Arco. Pomigliano ha perso oltre 2000 residenti in 10 anni. Il primo trimestre del 2011 è ancora in calo, ma intanto si è deciso di costruire oltre 600 nuove unità abitative. Il grosso (circa 500) verrà dai comparti edilizi, megaparchi abitativi che saranno costruiti da aziende con disponibilità economiche a sei zeri. La vicina Acerra non ci ha insegnato nulla: negli ultimi 6 anni è stata costruita una città nella città, centinaia di appartamenti molti dei quali sfitti o invenduti e nonostante questo i prezzi non scendono. A Pomigliano ci aspetta un destino simile: le aziende che costruiranno i comparti sono tre o quattro o forse decine riconducibili sempre alle stesse. C'è il pericolo che i prezzi saranno controllati da un unico "cartello". Chiunque abbia intenzione di comprare aspetti qualche anno, magari saranno costretti ad abbassare i prezzi. Quella dei comparti è pura speculazione del partito del cemento. Ha iniziato il centro sinistra (DS, Comunisti italiani, Udeur, Verdi e Rifondazione Comunista) con il nuovo PRG del 2004 che il PDL oggi sta portando avanti. Ma in campagna elettorale il Sindaco Russo non era contrario ai comparti? Il Piano Regolatore Generale di Pomigliano è già vecchio. Non prevede neppure gli obblighi minimi di salvaguardia dell'ambiente: il doppio circuito nelle nuove costruzioni, acqua potabile per gli usi alimentari e non potabile per gli altri usi e l'obbligo di usare l'acqua piovana per gli sciacquoni. Inoltre la concessione delle licenze dovrebbe essere vincolata al raggiungimento degli standard di consumo previsti dalla Provincia autonoma di Bolzano (Classe C: 70 kwh al metro quadrato all'anno) prevista da un allegato energetico-ambientale al regolamento edilizio che oggi non esiste. Questi nuovi insediamenti abitativi, per niente virtuosi, satureranno il territorio cittadino. Ci ritroveremo la città invasa dal cemento, con sempre meno verde, chi vorrà comprare sarà ostaggio dei prezzi imposti dal monopolio dei costruttori e come sempre invece di guadagnarci ci avremo perso tutti, tutti tranne qualcuno.
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08/11/2011 13:53
 
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Quante case

Postato il 26 ottobre 2011 da fausto / fardiconto

Ho notato qualche giorno fa dei titoloni sulle locandine dei giornali: pare che a Modena si siano scatenate liti furibonde attorno ad un nuovo piano per realizzare abitazioni civili. Palazzoni, ce ne manca ancora qualcuno.

La Gazzetta offre un titolo rassicurante: “le case restano 70“. Il problema è che, nel campo sportivo che i nostri palazzinari si apprestano a sotterrare, di case non ce ne doveva finire nemmeno una. Da quel che ho capito, la giunta ha minacciato di aumentare a 110 il numero di alloggi; per poi “concedere” un rientro ai 70 richiesti da chi sa farsi obbedire, un evento che si può sbandierare come una vittoria. Ed ecco ottenuti i 70 appartamenti: via col cemento.

Edificante storiella, ma che significa da sola? Per comprendere il contesto, possiamo leggere sul Carlino che “…Le nuove palazzine di edilizia sociale che sono sorte in città, vedi l’imponente realizzazione di via Salvo d’Acquisto, sono solo una piccola parte del super piano che in quarant’anni ha sfornato 13 mila alloggi Peep, circa il 15% dei 90 mila appartamenti presenti ad oggi nel territorio comunale…”. Novantamila.

Il comune di Modena conta oggi 184.800 abitanti e rotti. La famiglia italiana media com’è oggi? Cambia di continuo; credevo che avessimo a che fare con 24 milioni di nuclei familiari, ed invece a fine 2010 siamo già a 25.175.793. O almeno così dice Istat; che ci informa anche del fatto che alla stessa data eravamo 60.626.442. La famiglia tipica conterebbe dunque 2,408 componenti, meno di quanti pensassi.

Ammettendo di suddividere i residenti di Modena in nuclei familiari di quella taglia, i 90.000 appartamenti disponibili potrebbero fornire un riparo a 216.700 persone. Il 17 % in più rispetto alla popolazione esistente. Attenzione però: si parla solo di appartamenti! Le casette dei quartieri bene forse sono sfuggite agli estensori dell’articolo, o magari sono ritenute un bene inarrivabile per chi i soldi li deve guadagnare lavorando. E’ probabile che le disponibilità di abitazioni civili inutilizzate siano ancora più ampie.

Per allargare lo sguardo può servire l’analisi realizzata dall’Agenzia del Territorio (catasto per gli amici). In fondo a questa pagina il pdf che riassume la situazione per la prima parte del 2011, almeno per quanto riguarda i dati più elementari; le restanti parti dello studio sul patrimonio immobiliare italiano si trovano qui. In realtà buona parte dei dati di base presentati sono quelli relativi a dicembre 2009; a questi l’Agenzia ha aggiunto correzioni, estrapolazioni ed analisi ulteriori.

A pagina 15 del rapporto possiamo leggere che le abitazioni civili in Italia sono 33.073.889; di questi 33 milioni di unità abitative dichiarate, 30 milioni circa appartengono a persone fisiche e 3 milioni a PNF, che sono poi enti o società di varia natura. Immaginando che le abitazioni dichiarate siano occupate ancora una volta da 2,408 persone ciascuna, potremmo ospitare senza problemi 79,6 milioni di abitanti. Nella nostra nazione abbiamo spazio – ufficialmente accertato – per quasi 19 milioni di persone in più rispetto ai residenti attualmente presenti: parliamo di Angola, Camerun o Costa d’Avorio. In realtà credevo che disponessimo di spazi abitativi maggiori tra le case sfitte, tipo quel che basta ad ospitare la Romania. E invece no, potremmo dare ospitalità solo agli abitanti di qualche nazione africana di media taglia. Comunque anche così di metri quadri inutilizzati ne abbiamo tanti lo stesso: il 31% in più rispetto al necessario, in media.

Ora occorrerebbe qualche osservazione: la stratosferica quantità di immobili inutilizzati fotografata dai servizi statistici è costituita esclusivamente da abitazioni dichiarate. Nessuna menzione sui rustici da 5oo metri quadrati abitati da due vecchietti, e nemmeno sugli appartamenti nascosti e dichiarati come magazzini (situazioni simili si osservano anche tra gli immobili appartenenti ai miei familiari). Questo per dire che stiamo sottovalutando il problema; e già dai dati ufficiali sembra un problema grave. Le eccedenze di unità abitative a Modena sembrano meno grandi rispetto al totale, ma il dato riguardava in apparenza i soli appartamenti; scommetto che aggiungendo anche abitazioni di tipo diverso il dato tornerebbe ad allinearsi alle medie nazionali.

Il rapporto dell’Agenzia del Territorio, a pagina 16, segnala poi che il nostro patrimonio comprende un buon 11,6 % di “immobili a disposizione”, cioè privi di qualsiasi utilizzo ed intestati a persone fisiche. Le società nascondono meglio le case sfitte, al punto che riescono ad occultare oggi l’impiego del 95,6% del proprio patrimonio. Ed è qui che si celano, forse, le migliaia di appartamenti invenduti esistenti in ogni paesino della mia provincia. Prima o poi qualcuno dovrà mettere mano a queste montagne di case inutilizzate; in Italia le persone giovani non hanno accesso alla prima casa, e questo fatto stride pesantemente con i numeretti disponibili. Una delle tante stranezze italiane.
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Massimo Giuliani for president
Urbanista, consulente per il PGT di Segrate

"... un aspetto in piu' che viene poco pubblicizzato e' la crisi di sovrapproduzione edilizia ... negli ultimi dieci anni abbiamo costruito il 12% del patrimonio residenziale che i cittadini vedono andando in giro ... piu' che durante la ricostruzione post-bellica ... piu' che nel periodo del grande boom economico degli anni '60 e meta' di questi edifici, secondo i dati che sono stati divulgati di recente, sono inabitati ..."

[SM=g1750163]

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Sono le banche che gonfiano la bolla immobiliare


Gli italiani sono specialisti, fra le tante cose, anche di quello che possiamo chiamare “il pensiero autoconsolatorio”, una forma di paradiso artificiale ottenuto senza assunzione di droghe, alcool, ecc., e quindi senza criminalità, delitti, allarme sociale, ecc., ma con effetti pratici spesso altrettanto devastanti, se non addirittura di più.

Uno dei mantra, ma io preferisco dire ritornelli, dei nostri politici, economisti, giornalisti economici fino a pochi giorni fa è stato: “in Italia non abbiamo / non possiamo avere una bolla immobiliare come in Spagna”. Ora, che in Italia vi sia una bolla immobiliare caratterizzata da prezzi eccessivamente ed irrazionalmente alti e da un eccesso di offerta rispetto alla domanda (sia per le prime case che per le seconde case che per i locali commerciali ed i capannoni industriali) a cui non conseguiva fino a circa un anno fa una logica diminuzione dei prezzi degli immobili è sotto gli occhi di tutti.
Basta farsi un giro per le periferie di Bari o di Milano o della città che preferite per vedere palazzi e palazzi nuovi o seminuovi sconsolatamente vuoti. Vuoti perché in vendita a prezzi troppo elevati oppure perché non servivano proprio, vista la domanda di immobili. Ma quasi tutte le città italiane continuano a predisporre piani regolatori con enormi quantità di volumetrie nuove basate su ipotesi di crescita della popolazione palesemente irrealizzabili e quindi del tutto fasulle.

Eppure mi ricordo che più di venti anni fa c’era già chi, come il Professor Gianfranco Dioguardi, uno dei decani degli studi di organizzazione aziendale in Italia, ed in particolare proprio di quella delle imprese edili, in “La manutenzione urbana” diceva che il mercato immobiliare italiano si trovava in una situazione, come direbbero gli americani, di “overbuilding”, cioè di eccesso di offerta rispetto alla domanda di edifici. Per questo motivo l’attività dell’industria edile doveva riorientarsi principalmente verso la manutenzione / riqualificazione degli immobili esistenti piuttosto che concentrarsi sulla realizzazione di nuovi edifici. Una previsione che all’epoca io trovai del tutto razionale e convincente, che si è verificata in questi anni nei paesi del nord Europa, ma non in Italia, dove si è verificato esattamente il contrario. Cerchiamo di capire perché.

Sul fatto che la misura e la pericolosità della bolla immobiliare italiana siano uguali a quelli della bolla spagnola si può discutere dato che l’edilizia produce il 12% del PIL spagnolo contro il 5 – 6% del PIL italiano (ma con il vastissimo indotto dell’edilizia questi valori salgono di molto: si stima che all’incirca raddoppino) e questo perché il nostro settore manifatturiero incide sul PIL in misura molto maggiore di quello spagnolo. Segnaliamo, inoltre, che venti anni fa questi valori dell’industria edile erano il 3-4% del PIL in Italia ed il 5-6% del PIL in Spagna. Come si è giunti a questo? Per parecchi motivi:
- perché il numero delle famiglie è aumentato di molto anche se la popolazione non lo fatto (e quindi la famiglia italiana ha un numero medio di componenti sempre minore),
- perché in molte città i centri storici (ma anche molte zone semicentrali)si sono svuotati e la gente è andata ad abitare in periferia,
- per assorbire la diminuzione dell’occupazione nell’industria manifatturiera,
- per la diminuzione dei tassi di interesse alla fine degli anni novanta che ha reso più convenienti i mutui,
- per la radicata convinzione che il mattone è sempre il migliore investimento,
- per i margini di guadagno maggiori che si realizzano sui fabbricati nuovi rispetto alle ristrutturazioni
- e, ultimo ma non meno importante, per la crescita di quello che io proporrei di chiamare “il modello di business ediliziocentrico” delle banche italiane.

Infatti, queste trovano molto più facile, garantito (sicuro) e redditizio prestare soldi ad una impresa che vuole realizzare, per esempio, un bel palazzo per uffici oppure una schiera di villette vista mare piuttosto che ad una impresa industriale che intende acquistare macchinari a tecnologia avanzata o partecipare a qualche fiera in estremo oriente. I concetti di appartamento o di villetta li capiscono tutti, mentre una macchina a controllo numerico pochi sanno cos’è, in particolar modo i bancari(ma io auspico che lo apprendano e che le banche investano in formazione seria).

In questo modo ci ritroviamo con le banche italiane che oggi hanno mediamente il 40% degli impieghi rappresentato da prestiti ad imprese edili che hanno costruito o devono costruire degli immobili da rivendere ed a famiglie che vogliono acquistare una casa (mutui fondiari). Senza le banche, cioè senza la vera e propria droga rappresentata dall’enorme valore dei crediti fondiari da esse concessi, il boom edilizio italiano 1996 – 2010 non si sarebbe mai verificato, almeno in questa misura. E che tale quantità di credito sia sproporzionata lo si vede dal fatto che l’edilizia, rappresentando il 6% del PIL italiano ha assorbito una percentuale sette volte maggiore del totale dei crediti concessi in Italia da tutte le banche a tutti i settori economici. E’ chiaro che se poi i prezzi degli immobili da vendere scendono, scende anche la capacità di essi di garantire i prestiti, scendono i margini di guadagno che le imprese edili contavano di realizzare e su cui si basavano per rimborsare i finanziamenti, ecc. Insomma, la crisi attuale dell’immobiliare rischia di derubricare ad una crisi quasi leggera, l’ultima profonda recessione del mercato immobiliare in Italia, quella del biennio 1993 – 94.

Ciò che è avvenuto in Italia con le banche italiane in Spagna è successo in misura ancora maggiore con le banche spagnole, additate dalla stampa negli anni scorsi a fulgidi esempi da seguire per solidità e capacità di sviluppo delle loro quote di mercato. Ma ciò non significa che in Italia il problema non ci sia e non rischi di essere profondamente destabilizzante per l’economia nazionale e per la tenuta del nostro sistema bancario. A questo punto, ritengo che solo il recupero dell’idea del riorientamento dell’industria edile dalla costruzione del nuovo alla manutenzione dell’esistente e, conseguentemente, anche il reindirizzamento del credito bancario in questo senso rappresentano l’unica strada possibile per mantenere in vita l’industria edile italiana, non fare registrare alle banche italiane perdite pericolosissime e dare qualche chance in più di crescita all’economia italiana. Alcuni embrioni di politiche pubbliche in questo senso si vedono, ma sono ancora pochi e spesso contraddittori.

Pubblicato Wednesday, 11 July 2012 |
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22/09/2012 21:17
 
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