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Ipercostruito e malcostruito: cominciamo a parlarne ...

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2012 13:16
11/07/2012 14:19
 
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Sono le banche che gonfiano la bolla immobiliare


Gli italiani sono specialisti, fra le tante cose, anche di quello che possiamo chiamare “il pensiero autoconsolatorio”, una forma di paradiso artificiale ottenuto senza assunzione di droghe, alcool, ecc., e quindi senza criminalità, delitti, allarme sociale, ecc., ma con effetti pratici spesso altrettanto devastanti, se non addirittura di più.

Uno dei mantra, ma io preferisco dire ritornelli, dei nostri politici, economisti, giornalisti economici fino a pochi giorni fa è stato: “in Italia non abbiamo / non possiamo avere una bolla immobiliare come in Spagna”. Ora, che in Italia vi sia una bolla immobiliare caratterizzata da prezzi eccessivamente ed irrazionalmente alti e da un eccesso di offerta rispetto alla domanda (sia per le prime case che per le seconde case che per i locali commerciali ed i capannoni industriali) a cui non conseguiva fino a circa un anno fa una logica diminuzione dei prezzi degli immobili è sotto gli occhi di tutti.
Basta farsi un giro per le periferie di Bari o di Milano o della città che preferite per vedere palazzi e palazzi nuovi o seminuovi sconsolatamente vuoti. Vuoti perché in vendita a prezzi troppo elevati oppure perché non servivano proprio, vista la domanda di immobili. Ma quasi tutte le città italiane continuano a predisporre piani regolatori con enormi quantità di volumetrie nuove basate su ipotesi di crescita della popolazione palesemente irrealizzabili e quindi del tutto fasulle.

Eppure mi ricordo che più di venti anni fa c’era già chi, come il Professor Gianfranco Dioguardi, uno dei decani degli studi di organizzazione aziendale in Italia, ed in particolare proprio di quella delle imprese edili, in “La manutenzione urbana” diceva che il mercato immobiliare italiano si trovava in una situazione, come direbbero gli americani, di “overbuilding”, cioè di eccesso di offerta rispetto alla domanda di edifici. Per questo motivo l’attività dell’industria edile doveva riorientarsi principalmente verso la manutenzione / riqualificazione degli immobili esistenti piuttosto che concentrarsi sulla realizzazione di nuovi edifici. Una previsione che all’epoca io trovai del tutto razionale e convincente, che si è verificata in questi anni nei paesi del nord Europa, ma non in Italia, dove si è verificato esattamente il contrario. Cerchiamo di capire perché.

Sul fatto che la misura e la pericolosità della bolla immobiliare italiana siano uguali a quelli della bolla spagnola si può discutere dato che l’edilizia produce il 12% del PIL spagnolo contro il 5 – 6% del PIL italiano (ma con il vastissimo indotto dell’edilizia questi valori salgono di molto: si stima che all’incirca raddoppino) e questo perché il nostro settore manifatturiero incide sul PIL in misura molto maggiore di quello spagnolo. Segnaliamo, inoltre, che venti anni fa questi valori dell’industria edile erano il 3-4% del PIL in Italia ed il 5-6% del PIL in Spagna. Come si è giunti a questo? Per parecchi motivi:
- perché il numero delle famiglie è aumentato di molto anche se la popolazione non lo fatto (e quindi la famiglia italiana ha un numero medio di componenti sempre minore),
- perché in molte città i centri storici (ma anche molte zone semicentrali)si sono svuotati e la gente è andata ad abitare in periferia,
- per assorbire la diminuzione dell’occupazione nell’industria manifatturiera,
- per la diminuzione dei tassi di interesse alla fine degli anni novanta che ha reso più convenienti i mutui,
- per la radicata convinzione che il mattone è sempre il migliore investimento,
- per i margini di guadagno maggiori che si realizzano sui fabbricati nuovi rispetto alle ristrutturazioni
- e, ultimo ma non meno importante, per la crescita di quello che io proporrei di chiamare “il modello di business ediliziocentrico” delle banche italiane.

Infatti, queste trovano molto più facile, garantito (sicuro) e redditizio prestare soldi ad una impresa che vuole realizzare, per esempio, un bel palazzo per uffici oppure una schiera di villette vista mare piuttosto che ad una impresa industriale che intende acquistare macchinari a tecnologia avanzata o partecipare a qualche fiera in estremo oriente. I concetti di appartamento o di villetta li capiscono tutti, mentre una macchina a controllo numerico pochi sanno cos’è, in particolar modo i bancari(ma io auspico che lo apprendano e che le banche investano in formazione seria).

In questo modo ci ritroviamo con le banche italiane che oggi hanno mediamente il 40% degli impieghi rappresentato da prestiti ad imprese edili che hanno costruito o devono costruire degli immobili da rivendere ed a famiglie che vogliono acquistare una casa (mutui fondiari). Senza le banche, cioè senza la vera e propria droga rappresentata dall’enorme valore dei crediti fondiari da esse concessi, il boom edilizio italiano 1996 – 2010 non si sarebbe mai verificato, almeno in questa misura. E che tale quantità di credito sia sproporzionata lo si vede dal fatto che l’edilizia, rappresentando il 6% del PIL italiano ha assorbito una percentuale sette volte maggiore del totale dei crediti concessi in Italia da tutte le banche a tutti i settori economici. E’ chiaro che se poi i prezzi degli immobili da vendere scendono, scende anche la capacità di essi di garantire i prestiti, scendono i margini di guadagno che le imprese edili contavano di realizzare e su cui si basavano per rimborsare i finanziamenti, ecc. Insomma, la crisi attuale dell’immobiliare rischia di derubricare ad una crisi quasi leggera, l’ultima profonda recessione del mercato immobiliare in Italia, quella del biennio 1993 – 94.

Ciò che è avvenuto in Italia con le banche italiane in Spagna è successo in misura ancora maggiore con le banche spagnole, additate dalla stampa negli anni scorsi a fulgidi esempi da seguire per solidità e capacità di sviluppo delle loro quote di mercato. Ma ciò non significa che in Italia il problema non ci sia e non rischi di essere profondamente destabilizzante per l’economia nazionale e per la tenuta del nostro sistema bancario. A questo punto, ritengo che solo il recupero dell’idea del riorientamento dell’industria edile dalla costruzione del nuovo alla manutenzione dell’esistente e, conseguentemente, anche il reindirizzamento del credito bancario in questo senso rappresentano l’unica strada possibile per mantenere in vita l’industria edile italiana, non fare registrare alle banche italiane perdite pericolosissime e dare qualche chance in più di crescita all’economia italiana. Alcuni embrioni di politiche pubbliche in questo senso si vedono, ma sono ancora pochi e spesso contraddittori.

Pubblicato Wednesday, 11 July 2012 |
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