Borsa, il calo dei bancari riaccende i timori

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Pepin la Bulle
00domenica 11 maggio 2008 16:21
Borsa, il calo dei bancari riaccende i timori

Pubblicato dal Sole 24ore il 10 maggio 2008

Borsa, il calo dei bancari riaccende i timori
di Walter Riolfi


Strano quel calo di Wall Street di quasi il 2%, mercoledì, senza aver visto un dato macroeconomico particolarmente significativo o un brutto risultato aziendale. Forse è stato per colpa del petrolio volato a 123 (126 ieri); ma la Borsa non aveva mai reagito così alle bizze del greggio. E invece il brutto segnale c'era davvero, osserva il gestore di un hedge fund americano: il dato sul credito al consumo Usa, salito a marzo di 15,3 miliardi contro i 6,5 di febbraio: se ci si indebita a questi ritmi, con i consumi che crescono appena dell'1% (e quasi solo per il maggior costo della benzina), c'è poco di promettente nell'economia americana.
In effetti si coglie un mutamento d'umore sui mercati da una decina di giorni a questa parte: in apparenza senza che nulla di particolare sia accaduto. Le perdite sui mutui di Fannie Mae? Se le immaginavano tutti a Wall Street, al punto che il disagio di martedì, prima dell'apertura di Borsa, s'era quasi del tutto dileguato nel prosieguo della seduta. Preoccupazioni sulla crisi del credito? Ma no, rispondevano gli operatori dopo aver visto BlackRock acquistare 15 miliardi di mutui subprime da Ubs: a un prezzo basso fin che si vuole, ma dimostrando che c'è un mercato anche per quella carta straccia. O no?

Il credito non migliora
No, sostiene il gestore di un importante hedge fund, perché quell'operazione ha più il sapore di un contratto di gestione che di una effettiva vendita. Quindi non ci sarebbe ancora un mercato. Ma visto che le banche continuano a fare un po' di cartolarizzazioni sui mutui, non è forse il segnale che qualcosa si sta muovendo? È vero risponde il direttore di una media banca italiana: le abbiamo fatte anche noi – dice – ma ce le siamo tenute in casa perché nessuno le compera e servono solo da collaterale a garanzia dei prestiti della Bce. E così, pare che succeda anche negli Usa.
E l'iniezione di fiducia operata dalla Fed con il salvataggio di Bear Stearns? Un'iniezione di liquidità: 30 miliardi che vanno ad aumentare la massa monetaria. Punto e basta, conclude il gestore. La fiducia tra gli operatori deve ancora arrivare. Può darsi che il gestore abbia interesse a non alimentare eccessivo ottimismo perché, forse, è ancora al ribasso sui titoli del credito. Ma siccome si tratta di un personaggio di grande credibilità che amministra uno degli hedge più prestigiosi al mondo (Paulson & Co), è meglio non sottovalutare le sua affermazioni.
Secondo lui (come secondo Michael Karsch dell'omonimo hedge fund), la crisi del credito non avrebbe ancora toccato il fondo. Forse c'è vicina. Ci si può consolare coltivando l'idea che il peggio in Europa e soprattutto in Italia l'abbiamo visto nel primo trimestre; se non fosse che un banchiere d'affari rivela un diverso giudizio: Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia, sarebbe molto preoccupato sulla salute delle banche del Paese. Il vero motivo di questa preoccupazione non lo conosce nemmeno la nostra fonte che è del mestiere. «Forse – abbozza – non è vero che tutto sia stato spesato nel primo trimestre».
Finanziari in difficoltà
Il gestore di Paulson rincara la dose e mostra un grafico che sintetizza tutte le possibili perdite legate alla crisi del credito. In totale potrebbero raggiungere i 1.300 miliardi di $ (945 quelli stimati dal Fondo monetario). Oltre ai circa 600 originati dai mutui casa (Cdo, subprime e prime), bisogna aggiungere altri 250 circa legati agli immobili commerciali, 200 circa provenienti dal credito al consumo e 250 da insolvenze societarie. Considerando che fino a marzo 2008 s'erano viste svalutazioni per appena 312 miliardi e che un altro centinaio è emerso nelle ultime settimane, mancherebbe all'appello ancora la maggior parte delle potenziali perdite, anche ammettendo che quella tabella pecchi per eccesso.
Tuttavia, del cambiamento d'umore sui mercati del credito ci sono poche tracce: a parte un lieve recupero nel costo dei Credit default swap. Semmai, a guardare la piccola ulteriore riduzione nel differenziale di rendimento tra Fannie Mae e i T-bond, si direbbe che le cose continuino a migliorare. In realtà anche i rendimenti dei Treasury Usa hanno ripreso a calare: appena 10 centesimi per il decennale ma 23 per il titolo a due anni, imitato nell'area euro dal Bund sceso di 16 centesimi. L'altro segnale d'allarme s'è acceso in settimana con la caduta dei titoli bancari: -6,5% a Wall Street (riducendo al 5% circa i guadagni dal 17 marzo), -4% quelli europei che conservano ancora un abbondante recupero (+16,6%). E poi che strane le vendite sui titoli bancari italiani nella seduta di giovedì, con perdite medie che sono state il doppio di quelle dell'indice settoriale europeo. Che sia davvero fondata la voce di un Governatore fortemente preoccupato?Infine ci sono motivi per non stare tranquilli nemmeno sul fronte economico: un po' per la continua debolezza dei consumi Usa, come s'è detto all'inizio, è un po' per la crescita dell'inflazione internazionale: lenta fin che si vuole, ma con le caratteristiche di un processo strutturale non alimentato solo dall'esplosione dei prezzi dell'energia e degli alimentari. Per questo, dai commenti degli analisti e degli operatori americani, pare d'aver visto qualche proselite in più tra le file (largamente minoritarie a dire il vero) di chi s'aspetta ancora una recessione negli Usa.
In settimana l'S&P ha perso l'1,8%, il Nasdaq l'1,3%, come lo Stoxx (-2,2% Parigi, -2,3% Milano, -0,6% Francoforte e -0,2% Londra).



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