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Diario della crisi economica

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2020 11:31
08/08/2016 08:25
 
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Le tre ferite dell’economia globale (Fonte: lastampa.it - di Francesco Guerrera - 08/08/2016)

Magari quando sono sotto l’ombrellone, Mario Draghi, Janet Yellen e i colleghi inglesi e giapponesi rifletteranno sulle circostanze balzane che li hanno messi sul trono della finanza mondiale.
Sul potere che hanno ottenuto dopo la crisi del 2008, quando i politici si sono rintanati nel bunker della nulla-facenza per proteggersi dall’ implosione delle banche.
E magari, tra un cocktail con l’ombrellino e l’ultimo libro di Harry Potter, i signori e la signora delle monete penseranno a cosa fare a Settembre con quest’economia così fragile. Che ha paura della sua ombra e che potrebbe essere destabilizzata da fattori imprevedibili, come Brexit, o incomprensibili, come un pazzo che lancia un camion sulla Promenade di Nizza.
«Dovevamo far perdere il lavoro a più persone? Dovevamo far aumentare l’incertezza?» così ha risposto il capo della Banca d’Inghilterra Mark Carney, a chi gli chiedeva se le autorità inglesi avessero esagerato questa settimana tagliando i tassi d’interesse ai livelli più bassi degli ultimi 322 anni.
Se Carney, che è sempre zen, ha i nervi, vuol dire che ci sono dei problemi seri all’orizzonte. E non solo per la Vecchia Signora di Threadneedle Street (nel Regno Unito di vecchia signora ce n’è una sola e non veste bianconero…), che deve salvare l’economia dalla probabile recessione creata dalla Brexit. I grattacapi ci sono pure per Draghi, la Yellen e Haruhiko Kuroda, il taciturno capo della Banca del Giappone.
L’economia mondiale è stanca, debole e sfilacciata. Ha bisogno di locomotive ma trova solo ostacoli. Ci sono tre spaccature fondamentali nel panorama economico del momento: una tra gli Usa e il resto dei Paesi sviluppati, la seconda all’interno dell’Europa, e la terza tra la zona euro e la Gran Bretagna.
La prima divisione è un problema per la Yellen. L’economia Usa cresce più delle altre, come si è visto venerdì con i numeri sulla disoccupazione, e questo obbliga la Federal Reserve a contemplare un aumento dei tassi. Ma se la Fed alza mentre le altre tre «grandi» - Banca Centrale Europea, Banca d’Inghilterra e Banca del Giappone - tagliano, il dollaro salirà alle stelle, mettendo in difficoltà le multinazionali Usa e riducendo la crescita. Ma se la Yellen non fa nulla, lo spettro dell’inflazione tornerà ad aleggiare sull’America.
Il secondo quesito è per Draghi. La zona euro ha almeno due velocità: quella della Germania e quella degli altri, più lenti, Paesi. Ma la Bce ha un tasso d’interesse solo e ogni volta che stimola l’economia, a guadagnarci di più è la secchionissima Germania invece dei pierini spagnoli, portoghesi e italiani. Il terzo problema è l’autogol inglese di Brexit, che ha fatto scomparire una crescita economica che sarebbe stata tra le migliori al mondo nel 2017. Invece, Carney si trova costretto a fare il catenaccio per evitare un rovinoso crollo economico.
Per carità, è il loro mestiere: i banchieri centrali devono sempre risolvere i rompicapo dell’economia.
Ma Draghi, Yellen e compagnia lo stanno facendo da quasi un decennio e sono a corto di munizioni. In Europa, i tassi sono ormai negativi, in Inghilterra sono quasi a zero, mentre il Giappone sta stimolando la propria economia da circa vent’anni, senza grande esito.
Dalla fine della crisi, ci sono stati 666 tagli dei tassi da parte delle banche centrali del pianeta, secondo gli analisti di Bank of America. Non c’è molto spazio per fare di più, mentre la leva fiscale - tagli di tasse, aumenti di spesa ecc. ecc. - è nelle mani di politici che non la vogliono utilizzare per paura di essere puniti dall’elettorato.

Il vero problema per gli eroi economici dei nostri tempi non è cosa fare, ma con cosa.
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