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Perchè rimanere nell'euro

Ultimo Aggiornamento: 22/10/2013 12:27
08/09/2012 10:30
 
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Abbandonare l'euro? un disastro sottovalutato



TRIESTE

I titoli greci a 10 anni che toccano il record del 20% di rendimento, quelli a 2 che superano il 50%, numeri che annunciano il prossimo default di un Paese europeo. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi in altalena, il colpo di coda della crisi su industrie e occupazione in un’Europa divisa, dove i Paesi avanzati cercano scappatoie per evitare di aiutare la “periferia” in crisi. In un panorama del genere, il mantra «l’Europa non serve più», ripetuto da settimane dagli euroscettici, incontra sempre maggior favore. Default controllati e uscita dall’Eurozona, l’ultima panacea, queste sarebbero le soluzioni. Ma uno studio della banca svizzera Ubs ammonisce: abbandonare l’Euro sarebbe un disastro «considerevolmente sottostimato», non certo la via da seguire per far ripartire l’Ue.

Il rapporto «Euro break-up: the consequences» descrive nel dettaglio cosa succederebbe se un Paese Ue uscisse dalla zona euro. Gli analisti Ubs partono da un assunto: «L’euro, con la sua struttura attuale, non dovrebbe esistere (in questa forma)» perché «troppo alti sono i costi economici e troppo limitati i benefici». Questo vale «almeno per alcuni dei suoi membri», quelli più avanzati, spiega Ubs, costretti in un’Europa a due velocità, fatta di «economie disomogenee e politiche monetarie che non possono essere decise in maniera ottimale per l’intera unione». Ma anche se l’euro è lontano dalla perfezione, tutto è preferibile al «disaster scenario» di un collasso dell’Eurozona, di uno Stato forte che se ne va (secessione) o di uno debole che è obbligato ad abbandonare l’Euro perché espulso dagli altri membri.

«Le possibilità di una secessione sono basse, mentre l’espulsione è impossibile», perché non esistono norme che la consentano nel Trattato di Lisbona, mette le mani avanti Ubs. Ma i patti possono essere infranti. E se ciò avvenisse dopo una prova di forza da parte di qualche Paese Ue, che decidesse «volontariamente di ristabilire la sua moneta nazionale», le conseguenze sarebbero catastrofiche. Default del debito pubblico e bancarotta di migliaia di aziende, collasso del sistema bancario da arginare con una «chiusura degli istituti» o con un «limite ai prelievi», vedi Argentina 2001.

La svalutazione della nuova moneta toccherebbe il 60% rispetto all’euro, prevedono gli analisti. I promessi benefici sull’export sarebbero però nulli «perché l’Ue potrebbe imporre barriere tariffarie pari al 60% o superiori a danno del Paese secessionista». Alla fine, arriverebbero la disgregazione politica e il «disordine civile» che storicamente accompagnano la fine di un’unione monetaria, con l’emergere di alcune forze centrifughe che chiederebbero di rimanere nell’Eurozona, dividendo il proprio Paese: «Vari Stati Ue hanno fratture interne di questo tipo, in primis Spagna, Belgio e Italia».

E quanto costerebbe uno scenario del genere? «Il declino dei volumi commerciali si aggirerebbe intorno al 50%. Se il deprezzamento della moneta sarà del 60%, la stessa percentuale descriverà le perdite dei depositi bancari del sistema», mettono in guardia gli economisti. Che poi forniscono i numeri che rappresentano l’uscita dall’Eurozona di un «Paese del sud Europa». Solo i «costi iniziali» per cittadino varierebbero dai 9.500 agli 11.500 euro a persona, che si sommerebbero ad altri 3-4mila euro per ogni anno successivo. L’equivalente del 40-50% del Pil. E sono «stime conservative che non calcolano i costi dei disordini civili», si precisa.

E se fosse invece un “Paese forte” ad andarsene, come la Germania? Il quadro cambia abbastanza, anche se il crollo del Pil sarebbe nell’ordine del 20-25% nel primo anno: nessun default sul debito pubblico, nessun assalto alle banche, ma l’apprezzamento (40%) della nuova moneta nazionale «distruggerebbe l’industria esportatrice» (-20% l’export) con conseguenti tensioni economiche e sociali. Ogni tedesco, neonati inclusi, pagherebbe così 6-8mila euro. E altri 3-4.500 euro per ogni anno successivo all’uscita dall’Eurozona. Il costo totale di un default greco o portoghese peserebbe invece per soli mille euro “una tantum” a carico di ciascun tedesco. Infine, Ubs invita a riflettere sul fatto che se «i costi economici della fine dell’Euro sono alti, il prezzo politico è incalcolabile»: violenze, attacchi alle proprietà, svolte autoritarie, perfino guerre civili. Ma gli analisti alla fine tranquillizzano. Le possibilità di collasso dell’Euro sono ancora «vicine allo zero», ma si dovrà andare invece, «lentamente e dolorosamente», verso «un qualche modello d’integrazione fiscale». Alla faccia degli euroscettici e delle loro non-soluzioni.
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