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Veneto: case sufficienti fino al 2022

Ultimo Aggiornamento: 03/01/2013 21:36
20/03/2009 08:54
 
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Fonte: corriere.it - di Gian Antonio Stella - 20/03/2009

Il Veneto e il piano inutile: case sufficienti fino al 2022

In cinque anni già dati permessi per 94 milioni di metri cubi

Negli anni Ottanta si costruivano 10 milioni di metri cubi di capannoni, saliti fino a 38 milioni nel 2002


MILANO - Tirar su l'equivalente d'una palazzina di tre piani alta dieci metri, larga 10 e lunga 1.800 chilometri può davvero rilanciare l'Italia «nel pieno rispetto dell'ambiente», come dice Claudio Scajola? In un paese dove solo lo 0,97% degli abusi «non sanabili» è stato demolito? Auguri. Tanto più che una regione simbolo qual è il Veneto, stando a uno studio universitario, ha già oggi tante abitazioni e cantieri aperti da soddisfare la domanda di case, onda immigratoria compresa, fino al 2022. Se poi dovesse calare l'immigrazione, fino al 2034. Quando l'oggi giovanissimo Pato sarà già in marcia verso la cinquantina.

Prendiamo la tabella dei metri quadri a disposizione oggi degli europei. Ogni italiano ha in questo momento 36,3 metri quadri di casa. Cioè quasi il doppio di un ceco o di un ungherese, più o meno quanto un francese o uno spagnolo (che vivono in territori enormemente più vasti), un po' più di un greco o di un belga. Davanti a noi stanno più comodi i tedeschi (41,3 metri quadrati a testa), gli svedesi (43,6) gli olandesi (48,3), gli austriaci (50,4), i danesi (53) e gli inarrivabili abitanti del Lussemburgo, uno staterello urbanizzato che svetta con 62,7 metri pro capite, ma per la particolarità e dimensione non andrebbe manco messo nel mazzo. Si dirà: «Visto? Siamo nella media». Vero. Tutti gli europei che hanno case più grandi, però, hanno due caratteristiche. O godono di spazi molto maggiori dei nostri, come gli austriaci che hanno il doppio di territorio pro capite di noi o gli svedesi che ne hanno quasi il decuplo. Oppure, a differenza di noi che abbiamo il 33% della superficie montagnosa e forestale, vivono in territori molto più pianeggianti, quali i tedeschi, gli olandesi o i danesi, il cui cucuzzolo più alto, il Moellehoi, svetta a 170 metri e 86 centimetri sul livello del mare.

Per capire quanto pesino queste differenze basta rileggere gli atti di un seminario di qualche anno fa promosso tra gli altri dalla allora presidente provinciale leghista Manuela Dal Lago sul consumo del suolo in una delle province forti dell'Italia, Vicenza. Seminario dal quale emerse che l'uomo, in tutta la sua storia, aveva occupato dall'età della pietra ai primi anni Cinquanta 8.674 ettari. Per poi occuparne, nell'ultimo mezzo secolo, molto più del doppio: 19.463. Una colata di cemento che ha stravolto la campagna descritta da Goffredo Parise e Luigi Meneghello fino al punto che il calcolo della «impronta ecologica» (un indice che attraverso sistemi complessi misura il livello dei nostri consumi) ogni vicentino si ritrova oggi a disporre di poco più di tremila metri quadri di territorio, ma ne consuma per 39.000.

Una scelta obbligata per uscire da secoli di fame, miseria, emigrazione? In parte, se è vero che nella seconda metà del Novecento l'aumento della popolazione non ha superato il 32% e la superficie urbanizzata è aumentata dieci volte di più: 324%. Un'accelerazione spettacolare, ma accompagnata da contraccolpi sul paesaggio, sull'inquinamento, sulla viabilità. E addirittura accentuata nell'ultimo decennio del Novecento con un aumento della popolazione del 3% (52 mila abitanti in più dei quali 37 mila immigrati) e un'impennata dell'edilizia abitativa del 13%. Per non dire della parallela impennata industriale che, seminando dubbi perfino fra i più eccitati esaltatori del mitico Nordest, portò a un dato paradossale: ogni neonato vicentino arrivato nel decennio si ritrovava in dote un blocco di 3.718 metri cubi di calcestruzzo. Il tutto distribuito non uniformemente, ma quasi sempre in pianura. Esattamente come nel resto del Veneto dove, tolti quelli di montagna e larga parte di quelli collinari, i 444 comuni adagiati nell'ormai ex campagna hanno quattro o cinque aree industriali ciascuno se non, in certi casi, otto o nove.

Il prezzo? Elevatissimo, rispondono gli esperti: ogni miliardo di euro di crescita reale in più sarebbe costato un consumo di mille ettari di campagna. Il che significherebbe, appunto, che se avesse ragione il ministro Scajola a sostenere che il «piano casa» può mettere in moto 60 miliardi di euro, questo porterebbe a occupare come minimo 60 mila ettari di territorio con l'equivalente in cemento d'un mostro come quello calcolato all'inizio. Ne vale la pena? Mah... Una ricerca di Tiziano Tempesta, ordinario del Dipartimento Territorio dell'Università di Padova, lascia qualche perplessità. Almeno nel Veneto. E non solo sul piano dell'ambiente, del paesaggio, delle margherite e delle violette.

Spiega il professore che non solo una nuova colata di cemento rischia di dare il colpo di grazia a una pianura dove negli anni Ottanta si costruivano mediamente 10 milioni di metri cubi di capannoni l'anno saliti via via fino a una mostruosa quota di 38 milioni nel 2002, tirati su spesso solo per approfittare della Tremonti Bis e oggi malinconicamente vuoti. Ma che la case a disposizione sono già più che abbondanti. Se è vero che lo standard di riferimento per ogni programmazione di questi anni è stato di 120 metri cubi per abitante (cioè 40 metri quadri: quattro più dell'attuale media nazionale), «tra 2001 e 2006 sono state rilasciate concessioni edilizie per nuove abitazioni o ampliamenti per un volume pari a 94,6 milioni di metri cubi» contro un aumento della popolazione intorno all'1% l'anno. Risultato: sono già state costruite in questi anni «abitazioni sufficienti a dare alloggio a circa 788.000 persone». Il triplo delle 243.000 in più (in buona parte straniere) registrate.

Morale: se anche proseguissero (difficile, di questi tempi) gli «elevatissimi tassi d'immigrazione degli ultimi anni, le concessioni edilizie» già rilasciate saranno «sufficienti a soddisfare la domanda di case per i prossimi 13 anni». Con un tasso immigratorio ridotto a quello (che già era alto) degli anni Novanta, basterebbero per altri 25. Fino, appunto, al lontano 2034. Non basta. Nello studio di Tempesta si sottolinea una contraddizione che farà drizzare le orecchie a diversi: negli ultimi anni di risacca segnati da un calo del manifatturiero del 5,6%, «uno dei motori dell'immigrazione è stato il boom edilizio: il 65% dei nuovi posti di lavoro creati nel Veneto dal 2001 al 2006 ha riguardato il settore delle costruzioni».


Non basta ancora: «Analizzando i dati Istat sul rilascio di concessioni edilizie e sul valore aggiunto del settore costruzioni, si può stimare che nel Veneto, per aumentare dell'1% il prodotto interno lordo, sia necessario realizzare ogni anno non meno di 6,5 milioni di metri cubi di abitazioni, pari a una capacità insediativa aggiuntiva di circa 55.000 abitanti». Irreale, secondo i demografi. Tanto più se qualcuno puntasse a 55 mila neonati di «pura razza Piave». E allora? Allora «non sembra plausibile che, in una situazione di crisi del credito e di eccesso di offerta di abitazioni» la faccenda possa tradursi davvero in un affare. Se poi ci mettiamo anche le ferite che rischiano di essere inferte al patrimonio artistico e monumentale che è il tesoro dell'Italia...
[Modificato da marco--- 03/01/2013 21:36]
20/03/2009 18:01
 
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Nuove case per chi?
Prof. Tiziano Tempesta- Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali – Università di Padova
Padova, 11 marzo 2009.


La Giunta Regionale del Veneto il 10 marzo ha approvato un provvedimento volto al rilancio dell’attività edilizia e, per questa via, anche dell’economia dell’intera regione. In sintesi la proposta di legge prevede la possibilità di ampliare tutti gli edifici per una cubatura del 20%,mentre, per quelli realizzati prima del 1989, vi è la possibilità di abbatterli e ricostruirli con aumento di cubatura del 30% (35% se la ricostruzione avverrà con tecniche di bioedilizia).
Per valutare l’efficacia e gli effetti dell’iniziativa è necessario analizzare la situazione del mercato immobiliare nel Veneto dell’attività edilizia nel recente passato.Nel 2001, stando ai dati del censimento della popolazione, il numero di abitazioni occupate nel Veneto era sostanzialmente eguale a quello delle famiglie. Se trascuriamo i comuni turistici, sempre a quella data vi era circa il 10% delle abitazioni non occupate. Pur non trascurando la presenza di alcune situazioni di disagio a livello locale, questi dati evidenziano che nel Veneto la domanda residenziale nel 2001 era pienamente soddisfatta. In questa situazione, al fine di evitare tensioni sul mercato delle abitazioni, le nuove costruzioni
avrebbero dovuto essere circa pari alla crescita della popolazione. In realtà, come noto, si è avuto un vero e proprio boom edilizio, solo in parte motivato dalla forte immigrazione di lavoratori dall’estero. Tra 2001 e 2006 sono state rilasciate concessioni edilizie per nuove abitazioni o ampliamenti per un volume pari a 94,6 milioni di metri cubi. Nello stesso periodo la popolazione è aumentata di 243.000 abitanti (+5,37%) con una crescita media annua di
oltre 40.000 persone.
Il tasso di crescita è stato più che doppio rispetto a quello del periodo 1995-2000 quando si era attestato sul +2,44%. Considerando che ogni abitante abbia una
richiesta di 120 metri cubi, dal 2001 al 2006 sono state realizzate abitazioni sufficienti a dare alloggio a circa 788.000 persone. Questo significa che nel 2006 nel Veneto vi era una dotazione di abitazioni che eccedeva notevolmente il fabbisogno dei cittadini
. Si può stimare che agli elevatissimi tassi d’immigrazione degli ultimi anni, le concessioni edilizie rilasciate per la realizzazione di nuove case siano sufficienti a soddisfare la domanda di case per i prossimi 13 anni. Ai pur elevati tassi di immigrazione del periodo 1995 – 2000, le abitazioni sarebbero sufficienti per circa 25 anni. Ma è ipotizzabile che in futuro l’immigrazione possa proseguire ai ritmi del periodo 2001 -2006? Con ogni probabilità no, poiché buona parte dei nuovi posti di lavoro creati nel Veneto in questo periodo ha riguardato proprio l’edilizia. In altri termini, uno dei motori dell’immigrazione è stato il boom edilizio: il 65% dei nuovi posti di lavoro creati nel Veneto dal 2001 al 2006 ha riguardato il settore delle costruzioni. L’incidenza sul Valore Aggiunto della Regione delle costruzioni è passata dal 5,2% del 2001 al 7,15 del 2006. In un periodo in cui la produzione dell’industria manifatturiera è diminuita del 5,6%, di fatto è stata l’attività edilizia a garantire la crescita economica alla regione. A fronte di una crescita del prodotto interno lordo regionale dell’8,6% in sei anni, quasi 2,7 punti sono da ascrivere alle costruzioni.Questa distorsione nell’economia regionale ha portato ad esiti per certi versi paradossali e indesiderabili. Ad esempio, mentre nell’industria diminuiva l’occupazione ed il fatturato,sono state rilasciate concessioni edilizie per la realizzazione di 110 milioni di metri cubi di capannoni. Chi li utilizzerà mai, considerando anche le incertezze generate dall’attuale crisi economica che sta colpendo in prevalenza il settore manifatturiero? In secondo luogo, quale sarà l’effetto sui valori immobiliari di questo enorme eccesso di offerta abitativa? Di quanto si ridurrà la ricchezza (il patrimonio) dei cittadini veneti? Una regola dell’economia afferma che, per beni che hanno una funzione di domanda rigida (tendenzialmente quelli di prima necessità quali la casa) se la crescita dell’offerta sopravanza di molto quella della domanda, il valore totale della produzione tenderà diminuire. Alla luce di questi dati è ora possibile cercare di comprendere se, ed in che misura, il provvedimento della Giunta Regionale del Veneto potrà avere gli esiti attesi. In primo luogo,in base a quanto osservato, sembra del tutto evidente che la realizzazione di nuove cubature residenziali andrà ad aggravare la situazione di un settore già notevolmente in difficoltà. Si potrebbe forse obiettare che gli ampliamenti non dovrebbero interferire con il mercato immobiliare, poiché si tratterebbe in prevalenza di interventi di miglioramento dell’esistente.
Tale ipotesi non pare però plausibile, poiché uno dei fattori che alimentano la domanda immobiliare è costituito dalla tendenza delle famiglie ad acquistare nuove abitazioni mano a mano che cambiano le esigenze del nucleo familiare. Quindi, se il provvedimento riuscisse effettivamente a rilanciare l’attività edilizia aumentando la capacità insediativa del patrimonio edilizio del Veneto, l’effetto sui valori immobiliari potrebbe essere molto pesante, anche
perché andrebbe a sommarsi al fisiologico declino dei valori in atto, causato dall’andamento ciclico dei mercati immobiliari.
Questo potrebbe anche aumentare i rischi per il sistema creditizio, poiché le banche, in caso di difficoltà di coloro che hanno acceso dei mutui per comperarsi la casa, potrebbero rientrare solo di una frazione del capitale prestato. Si potrebbe obiettare che la riduzione dei prezzi potrebbe favorire una ripresa del mercato. Si è però vistoche il mercato delle abitazioni nel Veneto era sostanzialmente in equilibrio nel 2001, e la domanda è stata alimentata in prevalenza dall’immigrazione. L’enorme stock abitativo accumulato va molto oltre le attuali esigenze dei residenti nella regione.
Un altro dato su cui si dovrebbe meditare è che certe tipologie edilizie, e in particolare le abitazioni singole, potrebbero usufruire più facilmente dell’opportunità di ampliare i volumi
esistenti. Si tratta di edifici che sono prevalentemente sparsi nel territorio. Ne deriva che questo provvedimento finirebbe per aumentare l’elevatissima dispersione insediativa della popolazione che causa costi sociali e ambientali ingentissimi, rendendo inoltre del tutto inefficaci alcuni strumenti di pianificazione territoriale. L’intervento della Giunta Regionale potrebbe, infatti, comportare una tendenziale de-pianificazione del territorio, poiché gli ampliamenti delle abitazioni sparse non sono in genere considerati dimensionamento degli strumenti urbanistici, né si vede come potrebbero esserlo.Da ultimo, è opportuno cercare di capire se effettivamente un rilancio dell’attività edilizia possa fare da volano alla crescita economica della regione. Un dato utile al riguardo è costituito dalla quantità di metri cubi di abitazioni che sarebbero necessari per determinare un aumento dell’1% del prodotto interno lordo della regione. Analizzando i dati ISTAT sul rilascio di concessioni edilizie e sul valore aggiunto del settore costruzioni, si può stimare che nel Veneto, per aumentare dell’1% il prodotto interno lordo, sia necessario realizzare ogni anno non meno di 6,5 milioni di metri cubi di abitazioni, pari a una capacità insediativa aggiuntiva di circa 55.000 abitanti. Secondo questi dati, non sembra plausibile che, in una situazione di crisi del credito e di eccesso di offerta di abitazioni, il provvedimento della regione sia in grado di far aumentare ogni anno la produzione di case di un’entità tale da sopperire alla perdita di produzione causata dalla crisi dell’industria.Concludendo, perciò, pare si possa affermare che se la proposta della Giunta Regionale fosse efficace, e fosse quindi in grado di stimolare una massiccia ripresa dell’edilizia residenziale,ne potrebbero derivare problemi rilevanti per il mercato immobiliare, per l’ambiente e, in una certa misura, per la stabilità finanziaria degli istituti di credito.Qualora non lo fosse, e la realizzazione di nuove cubature fosse molto contenuta, avrebbe avuto l’effetto di minare la fiducia sulla stabilità della politica urbanistica regionale, favorendo implicitamente rendite speculative che, a lungo andare, potrebbero finire per condizionare la crescita del nostro territorio.In ogni caso, in un periodo di grande incertezza, quale quello attuale, sarebbe auspicabile da
parte degli organi di governo, una maggiore cautela e una minore estemporaneità nella formulazione di politiche volte a fronteggiare la grave crisi economica in corso


www.tesaf.unipd.it/people/Tempesta/Articoli%20per%20sito%20TT/Nuove_case_per...
[Modificato da stelafe 20/03/2009 18:34]
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Se si ferma l'immobile (Fonte: Il Giornale - inserto tempi)

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Viaggio nel quartiere delle case invendute
(di Luciano Purgato, da "L'Arena" del 22/01/2011)

Viaggio nel quartiere delle case invendute
EDILIZIA «FANTASMA». Nel territorio della settima circoscrizione si continua a costruire nonostante la risposta del mercato immobiliare sia debole. O assente. A San Michele sono oltre 300 le abitazioni nuove ma senza inquilini, e un migliaio quelle che saranno realizzate nel giro di pochi anni. Di pregio e popolari. Ma per chi?


«Palazzine nuove ma disabitate in via Cernisone.»


«Troppa offerta rispetto alla domanda»
(di M.B., ibidem)

I COSTRUTTORI. Il presidente del Collegio, Andrea Marani: «La politica deve pianificare meglio le necessità delle zone»
La proposta: «Ater e Agec intervengano per assorbire l'invenduto» Verona sud: «Prudenza»
23/09/2011 10:42
 
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Ringraziando stelafe per questa segnalazione.

La metropoli fantasma: in Veneto almeno 150.000 le case vuote (Fonte: lavitadelpopolo.glauco.it - di Bruno Desidera - 15/09/2011)

Mercato immobiliare fermo, grandi progetti di recupero bloccati, come a Paese e Silea
Non c’è quasi anima viva, verso il tardo pomeriggio, in quella che diventerà (o meglio, sarebbe dovuta diventare) la più grande urbanizzazione della provincia di Treviso, nell’area dell’ex fabbrica di armi Simmel, a Castagnole di Paese, tra la ferrovia e la Feltrina. Le auto parcheggiate saranno sì e no una decina. Un po’ di più gli appartamenti abitati. Attorno all’asilo, già funzionante, sono una dozzina i condomini edificati, molti dei quali ancora al grezzo e senza serramenti. Si parla di 75.000 metri cubi in tutto. Un po’ poco, visto che quando fu presentato dalla società Emerald spa, all’inizio dello scorso decennio, il piruea ex Simmel prevedeva numeri altisonanti: 600 mila metri cubi e 3-4.000 nuovi abitanti. Invece i lavori procedono molto a rilento, l’Edilbasso, che detiene il 49% della Emerald, ha chiesto nei mesi scorsi il concordato preventivo. E il destino della società appare incerto, così come quello dell’ex Simmel (già si parla di convertire in parco commerciale una parte dell’area). Il Piruea è azzoppato dalla congiuntura sfavorevole: poca liquidità, mercato immobiliare fermo, crisi dell’edilizia.
Ma quello di Castagnole è un caso tutt’altro che isolato. Come si può leggere nell’intervista pubblicata qui sotto, si stima siano almeno 150.000 in Veneto gli alloggi “nuovi” - costruiti durante il boom immobiliare di fine anni Novanta e inizio Duemila - che sono attualmente vuoti. E a questi si aggiungono i molti altri ipotizzati sulla carta e ancora ben lungi dall’essere costruiti, come nel caso dell’ex Simmel. Nella città metropolitana diffusa, insomma, c’è una vera e propria “metropoli fantasma”, costruita o progettata in momenti di euforia e bolla speculativa.
A farne le spese, in questo momento, sono anche e soprattutto i grandi progetti di recupero (i famosi piruea, appunto), che, riutilizzando aziende e aree dismesse, promettevano di cambiare il volto di molti centri del nostro territorio.
Se da Castagnole ci spostiamo a Silea, ad esempio, la differenza è la solidità economica dei costruttori. Ma il colosso Caltagirone, peraltro impegnato in costosi lavori di bonifica in importanti cantieri milanesi, non sembra avere molta voglia di iniziare i lavori all’ex Chiari e Forti: un investimento da 220 milioni, per la costruzione di 250 mila metri cubi tra appartamenti, uffici e negozi. La prima pietra è stata posta nel maggio 2008, poi tutto si è fermato. “E’ vero, lo stallo è totale - conferma l’assessore ai Lavori pubblici Gianluca Vendrame -. Noi speriamo nel frattempo di migliorare l’accordo tra proprietà ed amministrazione per i benefici pubblici. Intanto però, le opere pubbliche da costruire contemporaneamente al piruea sono ferme. C’è da dire comunque che in questo momento di stasi, Silea continua ad avere un certo richiamo”. La conferma arriva dall’altra vasta urbanizzazione costruita da Carron spa nei pressi del casello autostradale, quasi completata pur con qualche fatica.
Un altro esempio illustre è quello di Mogliano Veneto, dove il dibattito sul futuro dell’area ex Macevi (previsti 70.000 metri cubi in pieno centro) ha fatto cadere come birilli diverse giunte comunali. I soci privati si stanno defilando e anche il Comune vuole cedere la sua quota nella società creata gli scorsi anni. Insomma, siamo all’anno zero. Sei torri e 1.700 nuovi abitanti dovrebbero arrivare a Castelfranco Veneto nell’area ex Fram. Un’operazione fortemente voluta dall’ex sindaco Maria Gomierato e parzialmente rivista, per quanto riguarda i benefici pubblici, dall’attuale sindaco Luciano Dussin. Tempi lunghi anche in questo caso. A Breda di Piave, dei quattro piruea previsti, sei anni fa, uno solo è in fase di realizzazione. Gru di nuovo in azione, invece, a Carità di Villorba, dove il piano di recupero ex Mondial, lungo la Pontebbana, prevede la nascita di quattro torri da 30 metri, 150 appartamenti di lusso e 60 uffici.

LA DURA ANALISI DI DELLA PUPPA: “INVENDUTO? NO, INVENDIBILE"

La grande quota di invenduto, nel mercato immobiliare è certamente un fenomeno preoccupante. Ma il vero problema è che le migliaia e migliaia di case rimaste vuote, rischiano di essere invendibili anche quando il mercato della casa si risveglierà.
La spietata analisi è di Federico Della Puppa, uno dei maggiori esperti di mercato immobiliare e politiche abitative in Veneto, già studioso del Cresme e docente allo Iuav di Venezia.
Il mercato della casa continua ad essere in stallo. Prezzi in calo, grosse quote di invenduto. Nessuno spiraglio all’orizzonte?
Qualche timido segnale di ripresa a dire il vero c’è, a livello di compravendite. Chiariamo fin da subito, però che non si potrà tornare ai livelli di qualche anno fa. Quella stagione è finita.
Quante case nuove ed invendute ci sono nel nostro territorio, secondo le sue stime?
Fare una stima di questo tipo è sempre complicato, In linea di massima, in Veneto, ci sono tra le 150.000 e le 200.000 unità abitative invendute, 15-20.000 nel veneziano, circa 30.000 in provincia di Treviso e altrettante in quella di Padova. Si badi bene, parlo di case nuove, lo possiamo definire l’invenduto della speculazione. Poi si devono aggiungere i vecchi alloggi non utilizzati, anche se da questo punto di vista il nostro territorio è parecchio virtuoso.
Praticamente case per un’intera provincia... Come sarà possibile riempirle?
Per la verità, negli ultimi dieci anni in Veneto la popolazione è aumentata del 7%, ancora di più in provincia di Treviso. E, attenzione, il numero di “nuclei famigliari” è aumentato del 14%. Se il trend rimane questo, ed è plausibile che ciò avvenga, dobbiamo aspettarci che, una volta usciti da questo momento di crisi, la domanda torni ad essere alta. Il punto è un altro...
Quale?
Che non tutto l’invenduto è “vendibile”. Negli anni scorsi, in piena bolla speculativa, si è costruito a caso, tanti si sono improvvisati immobiliaristi, spinti dalla speranza di realizzare facili guadagni. Così, sono state costruite case non in sintonia con le richieste del mercato, con criteri edilizi superati, pensiamo all’attenzione per le nuove fonti di energia. Se i nuclei famigliari sono aumentati del 14%, vuol dire che sono composti da meno persone e servono dunque alloggi con meno spazi, ma con avanzati standard qualitativi. Chi compra lo fa per andare a star meglio di dove abita ora.
In quest’ottica rischiano di essere bloccati anche i grandi progetti di recupero di aree dismesse, particolarmente numerosi nella nostra zona?
Molti di questi progetti avevano una loro logica, da punto di vista territoriale, meno coerenza invece con l’andamento del mercato. E soprattutto si sono scontrati con l’assalto improvvisato di chi ha tappezzato la campagna veneta di lottizzazioni. Tutti pensavano di essere premiati, invece abbiamo campagne devastate, lottizzazioni vuote, grandi progetti fermi.
Ma possiamo uscirne?
Molti progetti necessitano di una partnership pubblico-privata per essere ripensati ed essere appetibili a chi oggi ha bisogno di casa: il ceto medio, le giovani coppie, i single, che non sono agiati ma neppure così poveri per accedere all’edilizia convenzionata. Una fascia intermedia che oggi non è servita, e che potrebbe esserlo con progetti diversi, ad esempio con il “social housing”, che si pone a metà strada tra l’edilizia pubblica e la proprietà privata. Oppure incentivando un ritorno all’affitto. Certo, ripeto, nessuno pensi di tornare ai guadagni del passato.
Ci sono degli esempi positivi in merito?
Sì, le cito il caso di Vicenza, dove sono stati rimessi in gioco numerosi appartamenti e la popolazione è aumentata in pochi anni del 7-8%. Se incentivata, la gente, torna verso le città.
[Modificato da marco--- 23/09/2011 10:43]
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