Italiani ricchi, ma fino a quando?
di Paolo Forcellini
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Sembra il mondo alla rovescia, dove i ricchi per definizione cedono il passo agli straccioni anch’essi per definizione. Ma non è tutto oro quel che luccica. Innanzitutto perché se si va a guardare la composizione della ricchezza delle nostre famiglie si nota che è sostanzialmente diversa da quella degli altri maggiori paesi: solo in Francia la parte del patrimonio costituita da attività “reali” (leggi: immobiliari) supera di poco quella italiana (5,66 volte il reddito disponibile annuo contro 5,41), mentre per gli altri paesi considerati è largamente inferiore, fino ad arrivare al 2,21 degli Stati Uniti.
Ora è noto che una delle caratteristiche principali della crisi di questi anni è stato lo scoppio della “bolla” immobiliare: in Italia, invece, vi è stata tutt’al più una limatura dei prezzi, i valori nominali sono rimasti fermi o leggermente in calo e la bassa inflazione ha moderatamente eroso quelli reali. Ma niente di paragonabile a quanto successo negli States.
Delle due l’una: o in Italia la bolla immobiliare non c’è mai stata, e quindi non poteva scoppiare, oppure l’esplosione o lo sgonfiamento progressivo ma sostanzioso debbono ancora arrivare. Se fosse buona la seconda ipotesi, allora il primato nella ricchezza delle famiglie italiane sarebbe assai effimero, destinato a venir meno in breve tempo. Ma per stabilirlo occorrerebbe un’analisi approfondita di qualità e quantità del patrimonio immobiliare e un confronto fra i diversi paesi che al momento adottano criteri di valutazione disomogenei. Lasciamo quindi aperto l’interrogativo, per la verità piuttosto inquietante.
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Bolla o non bolla, le prospettive per la ricchezza delle famiglie italiane, comparata con quella degli altri paesi, non sono rosee: non tanto per i piccoli segnali ricordati all’inizio, quanto per un’importante tendenza di fondo che si sta manifestando ormai da quasi un paio di decenni, la riduzione del risparmio.
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Ancora nel 1990 le famiglie mettevano da parte quasi il 22 per cento del loro reddito. Da allora sta avvenendo una metamorfosi di massa: le formiche si stanno trasformando in cicale. Oggi il tasso di risparmio è al 6,8 per cento, meno di un terzo di vent’anni fa.
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Inevitabile, prima di concludere l’escursione nella ricchezza degli italiani, evocare i polli di Trilussa (“secondo le statistiche d’adesso/risurta che te tocca un pollo all’anno:/e, se nun entra ne le spese tue,/t’entra ne la statistica lo stesso/perché c’è un antro che ne magna due”): anche il patrimonio si distribuisce in modo del tutto sperequato tra le famiglie come i pennuti del poeta romanesco? La crisi ha indubbiamente contribuito ad accelerare un processo di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Secondo Bankitalia, nel 2009 il decile superiore delle famiglie (il dieci per cento più benestante) possedeva il 45 per cento della ricchezza, mentre ai cinque decili inferiori (il 50 per cento delle famiglie con meno mezzi) ne possedevano solo il 10 per cento.
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Morale della “favola”: non fasciamoci la testa solo perché i depositi bancari sono leggermente diminuiti e crescono un po’ i debiti (fra l’altro le famiglie italiane hanno le più basse passività finanziarie), cioè prima di essercela rotta;
cerchiamo però di procurarci un casco che ci protegga dai veri pericoli incombenti: la caduta del risparmio e il crollo dei valori immobiliari. Un casco che non potrà chiamarsi altrimenti che “crescita”.