"L'affitto langue anche con la cedolare secca"
di Raffaele Lungarella, collaboratore
www.lavoce.com
20/05/2010
- Riuscirà l'introduzione di una tassazione con cedolare secca del 20 per cento a ridare fiato al mercato delle case in affitto in Italia?
Sarà molto difficile.
Le simulazioni mostrano
qualche vantaggio solo per i proprietari collocati negli scaglioni di redditi Irpef più elevati, mentre
per quelli degli scaglioni più bassi il nuovo sistema potrebbe risultare addirittura svantaggioso.
I guadagni sarebbero ancora più limitati se i vincoli di gettito portassero a un aumento del canone imponibile.
L’introduzione della cosiddetta cedolare secca su redditi da locazione, cioè di una imposta sostitutiva con un’aliquota unica del 20 per cento al posto dell’attuale tassazione ad aliquota progressiva, trova un consenso diffuso.
I suoi sostenitori ritengono che possa generare diversi effetti positivi: ridare ossigeno a un mercato dell’affitto divenuto troppo asfittico a causa della scarsa redditività dei capitali in esso investiti; accrescere le possibilità per le famiglie di prendere in affitto un alloggio, come conseguenza della riduzione dei canoni che accompagna l’aumento dell’offerta; aumentare la trasparenza del mercato rendendo poco conveniente affittare senza contratto ed evadere il fisco.
Ci soffermiamo qui esclusivamente sul primo punto, per valutare, sulla base dei risultati di alcune elementari elaborazioni, se e a quali condizioni l’introduzione del nuovo sistema di tassazione dei canoni può aumentare il rendimento (al netto delle imposte) dell’investimento immobiliare e, per questa via, stimolare l’offerta di alloggi in affitto.
Per semplificare, si ipotizza che 1) i proprietari degli alloggi da affittare assumano le loro decisioni unicamente considerando il rendimento al netto della tassazione dell’investimento, trascurando altri importati fattori, come rischio di morosità o incertezza dei tempi necessari per rientrare in possesso dei beni; 2) i canoni restino agli stessi livelli precedenti - il che rende conflittuali tra di loro i primi due benefici indicati sopra.
Il regime che chiamiamo concordato riguarda le città classificate ad alta tensione abitativa e tassa il 59,5 per cento del canone, il cui importo viene determinato applicando criteri stabiliti in via generale da accordi tra le associazioni dei proprietari e quelle degli inquilini.
I canoni devono essere più bassi di quelli di mercato, ma ai nostri fini ciò è irrilevante.
Per valutare in che misura l’introduzione della cedolare secca potrebbe stimolare i proprietari ad accrescere l’offerta di alloggi in affitto, si può fare riferimento a un canone annuo di 9.600 euro per un appartamento del valore di 240mila euro (rendimento lordo del 4 per cento).
Applicando al canone ipotizzato di 9.600 euro il regime di tassazione ordinario, il reddito al netto delle imposte oscilla tra i 7.723 euro per i proprietari collocati nello scaglione di reddito più basso ai 6.091 per quelli collocati nell’ultimo scaglione; con il regime concordato questi valori estremi sarebbero rispettivamente 8.286 e 7.144 euro.
Con la cedolare secca il reddito netto sarebbe uguale per tutti i proprietari, a prescindere dal loro livello di reddito.
Sarebbe però fortemente influenzato dalla percentuale del canone assoggettata a imposta. Tassando l’intero canone si avrebbe un reddito al netto dell’imposta di 7.680 euro che diverrebbe di 7.968 euro tassandone l’85 per cento e salirebbe a 8.458 euro sottoponendo a imposta il 59,5 per cento del canone (i dettagli nella tabella 1, si veda in allegato).
Come si nota dalla tabella 2 (si veda in allegato), che evidenzia le differenze di reddito nelle varie ipotesi contemplate nella tabella 1, affinché gli effetti del nuovo regime impositivo assumano un qualche rilievo è necessario che il locatore sia negli scaglioni di reddito più elevati e che a fronte della riduzione di aliquota non vi sia un aumento del canone assoggettato a tassazione.
Ad esempio, nel caso di regime concordato (tassazione del solo 59,5 per cento del canone), un contribuente con un reddito di oltre 75mila euro avrebbe un risparmio di imposta di circa 1.300 euro, se la base imponibile a cui si applica la cedolare rimanesse il 59,5 per cento del canone, ma il risparmio si ridurrebbe a meno di 550 euro se il canone fosse interamente tassato (i dettagli nella tabella 2).
I guadagni sarebbero più elevati con il regime ordinario, superando però i duemila euro l’anno solo nel caso estremo e ben poco realistico in cui, assieme all’introduzione della cedolare, il canone imponibile passasse dal regime ordinario (85 per cento del canone) a quello concordato (59,5 per cento del canone).
L’incremento, al netto dell’imposta, che ci si può attendere dal ricorso alla cedolare secca non sembra essere tale da eliminare l’ostacolo dello scarso rendimento che, si ritiene, comprime l’offerta di alloggi in locazione.
L’ aumento massimo che può verificarsi non raggiunge il punto percentuale neppure nel caso estremo e poco realistico di un contribuente che attualmente paga l’aliquota più elevata (43 per cento) su una base imponibile pari all’85 per cento del canone, e che sarebbe invece tassato, dopo la riforma, con una cedolare secca del 20 per cento su una base imponibile del 59,5 per cento del canone (vedi tabella 3, si veda in allegato).
Se il passaggio dalla tassazione progressiva alla cedolare secca si accompagnasse, invece, a una abolizione delle deduzioni dall’imponibile (ossia se fosse tassato, dopo la riforma, il 100 per cento del canone), il maggior rendimento, per un contribuente nello scaglione più elevato, sarebbe solo di 0,22 punti percentuali o di 0,66, a seconda che il regime vigente fosse, rispettivamente, il regime concordato o regime ordinario.
Naturalmente, scivolando negli scaglioni di reddito più bassi, la crescita del rendimento si riduce fino a diventare, in taluni casi, perfino negativa (i dettagli sempre in tabella 3).
tabelle