Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:
FraMI, 24/06/2009 13.15:
Io ci provo.... Qual'è il tuo sogno?
QUESTO:
(leggere attentamente per capire)
LE ORIGINI
La nascita delle filosofie giusnaturaliste, segna l'inizio di una nuova epoca: si smise, infatti, di concepire la società come un insieme di corpi sociali per far emergere due nuovi attori: lo stato e gli individui. Punto focale della filosofia giusnaturalista è il concetto di “stato di natura” che è una condizione ipotetica in cui si troverebbero i singoli individui se vivessero “allo stato brado”. In tale situazione gli individui sono slegati da qualsiasi vincolo sociale per vivere secondo quelle che sono le loro vere caratteristiche. Questa concezione viene ripresa da tutti i filosofi liberali e non liberali.
La nascita dei regimi liberali vede quindi emergere il concetto di individuo e quello di proprietà: quest'ultima è vista come lo spazio giuridicamente intangibile in cui l'individuo soddisfa le proprie esigenze. Nasce il concetto di capitalista (homo oeconomicus) cioè colui che considera la proprietà come un proprio spazio intangibile dove esercitare la propria libertà. L'importanza dell'impresa non verte sulla cosa prodotta ma sul capitalista proprietario. Questi, scritti in poche righe, sono le basi fondanti di tutto lo stato liberale (assieme alla rappresentanza parlamentare ed al governo della legge). Gli schieramenti politici tipici dello stato liberale sono i partiti conservatori ed i partiti liberali che si affrontano in una dialettica parlamentare.
Verso la fine del '800 lo stato liberale entra in crisi a causa della industrializzazione e della entrata delle masse in politica. Nascono i primi partiti politici di massa che rappresenteranno, rispettivamente, il capitale ed il lavoro. Tali partiti si differenziano dai loro predecessori per essere meglio radicati nella società e per avere una base ideologica molto più forte. Nasce la destra e la sinistra. Questi due schieramenti troveranno, nel tempo un comune accordo dando il via ad una sempre più ampia democratizzazione basata sul numero. Dopo la seconda guerra mondiale destra e sinistra (capitale e lavoro) condivideranno di convivere entrambe sotto lo stesso regime: lo stato sociale liberal-democratico.
Un aprte abbastanza consistente della cultura europea però cominciò a criticare fortemente gli ideali del liberalismo e gli ideali di quella che poi sarà la democrazia liberale. Il primo movimento a proporre critiche liberali sarà quello socialista che ad una visione individualista opporrà una visione sociale e comunitaria degli individui in società. Il socialismo comincia a dividersi in tre frazione con l'avvento della filosofia di Marx: nasce il socialismo scientifico (che si basa sul marxismo), l'anarchismo (che si basa sulle teorie di Bakunin) e il socialismo utopista (Proudon, Mazzini ecc).
Contemporaneamente le scienze sociali mettono in guardia da pericolo derivante dall'accesso in politica delle masse denunciando la possibilità che tutto ciò verso il regresso culturale e sociale. Il libro più celebre è “La Psicologia delle Folle” di Le Bon che mette in evidenza l'anima irrazionale delle folle, nella quale la coscienza individuale perde di significato e si fonde in una unica coscienza collettiva, sensibile alle emozioni ed agli istinti anziché alla razionalità.
Cominciano a nascere in Europa i primi movimenti dichiaratamente anti-liberali ed antidemocratici: questi movimenti rifiutano il concetto di “stato di natura” e recuperano la filosofia aristotelica, secondo la quale nessun individuo può essere concepito al di fuori delle relazioni sociali in cui è inserito. La società non viene più concepiti come un insieme di individui che si sono uniti tramite un “contratto” per meglio perseguire i propri fini ma come un insieme organico di individui e gruppi che collaborano tra di loro per raggiungere il benessere della comunità. Il perseguimento egoistico dei propri fini non è considerato degno di tutela giuridica: nasce quella che i sociologi e gli ideologi chiameranno società total-unitaria (abbreviazione totalitaria). Il primo movimento importante e ben organizzato di questo tipo sarà il PCUS leninista. Nel 1919 nasce il PNF mussoliniano-gentilianiano. Il PNF nasce dall'incontro delle teorie elitiste di Mosca e Pareto con il sindacalismo nazionale ed il nazionalismo italiano di Enrico Corradini.
COME INQUADRARE I MOVIMENTI TOTAL-UNITARI.
L'errore che si commette più di frequente è di classificare come “sinistra” il leninismo e come “destra” il fascismo. Tale errore deriva dal fatto che si considerano tali movimenti come l'estremizzazione dei concetti di capitale e lavoro. I moderni studi politologici condotti sopratutto dal professor A.J. Gregor e dal politologo J.J. Linz smentiscono questa intepretazione. Fascismo e Comunismo non nascono per confermare il concetto di destra e sinistra ma per superarlo definitivamente. Destra e sinistra sono schieramenti prodotti dalle democrazie liberali che entrembe le ideologie vogliono superare per creare l'una la democrazia socialista e l'altra la democrazia corporativa. Conseguenza di tutto ciò è che i termini destra e sinistra non sono validi per descrivere queste realtà. Le ideologie total-unitarie respingono il concetto di democrazia liberale e promettono la creazione di un nuovo mondo, nel quale vigeranno nuove regole. In questo nuovo mondo non ci sarà posto per distinzioni come destra e sinistra, figlie di realtà che si considera superate.
L'estremizzazione dei concetti di capitale e lavoro assumono il nome di autoritarismo e produranno regimi “di destra” e di “sinistra” (Spagna Franchista e le dittature di sinistra sudamericane). I regimi autoritari non godono di una legittimazione culturale e politica come i regimi total-unitari e si basano sulla estermizzazione di concetti già presenti nei regimi liberali o liberal-democratici. I regimi autoritari sono delle “zone grige” perchè sono costretti ad evolversi o in regimi totalitari o in regimi liberaldemocratici: dipende da che percorso prenderanno le elite culturali di quel paese. Così, ad esempio, la Spagna franchista è diventata a pieno titolo una democrazia liberale dopo aver trasformato il suo pluralismo limitato in pluralismo competitivo. Allo stesso modo i paesi dell'est Europa diventarono, nel tempo, da regimi a partito egemonici, regimi autoritari e poi regimi totalitari.
In definitiva possiamo dire che le ideologie total-unitarie possono essere considerate come la più grossa proposta alternativa organizzata ai regimi liberali e liberademocratici. Cercare, a tutti i costi, di far rientrare i totalitarismi nelle categorie “destra e sinistra” è il modo migliore per non comprenderne la natura e per togliergli l'elemento rivoluzionario di cui sono dotati.
PUNTO PRIMO: LA STORIA
Fare un esempio pratico di corporazione è un po' difficile perchè, al giorno d'oggi, non esistono più. Nella tradizione americana il termine "corporate" significa lobby e sta ad indicare tutti qui gruppi di potere che fanno pressione e che appoggiano un singolo politico (in usa si considerano i singoli non i partiti). Tale pratica è legale e regolamentata negli Stati uniti ma non ha niente a che fare con la democrazia corporativa.
Il termine corporazione nasce nel medioevo ed indica un insieme di persone che condividono lo stesso mestiere. Esempi di corporazioni nel mondo medioevale ce ne sono parecchi ma qui indicherò i due più significativi: quello di Alessandria d'Egitto e quello di Bologna.
Ad Alessandria d'Egitto, nel periodo bizantino, le corporazioni assunsero un potere enorme tanto che, prima di cominciare dei lavori, i capi delle corporazioni si accordavano tra di loro sui tempi dei lavori, sulle misure di sicurezza e sulla quantità di denaro da destinare a chi si accingeva a costruire una infrastruttura.
Ad Alessandria tale sistema era davvero molto potente tanto che i governatori imperiali spesso assunsero il ruolo di mediatori tra le parti.
Tutto questo sparì con l'arrivo degli arabi.
In Italia, invece, la città di Bologna vide l'ascesa al potere delle corporazioni al posto degli aristocratici. Le corporazioni avevano un capo chiamato capitano del popolo.
A Bologna le corporazioni emanarono il liber paradisus, un documento che, per la prima volta in Europa, aboliva la servitù ed il lusso sfrenato.
Bologna non è l'unico esempio perchè in altri comuni italiani si affermò questo tipo di governance ma il tutto fu spazzato via dall'avvento delle signorie che ridussero notevolmente il potere politico delle corporazioni.
In età industriale il primo a parlare di corporazioni fu il sociologo francese e membro del partito socialista riformista, Emile Durkheim.
Egli però non concepì la corporazione come una soluzione politica ma come una soluzione sociologica ai problemi di disgregazione sociale presentatisi con la rivoluzione industriale.
La concezione di corporazione come soluzione politica l'abbiamo espressa chiaramente da Alceste De Ambris che si occupò della stesura della Carta del Carnaro, nella quale tale sistema appare per la prima volta in un documento costituzionale.
Il primo a teorizzare uno stato corporativo fu Mussolini che cercò, nel corso della storia del ventennio, di introdurlo in Italia: non ci riuscì completamente ma la legislazione del tempo dimostra chiaramente che furono mossi molti passi in quella direzione.
Fuori dall'Italia altri paesi cercarono di emulare il progetto corporativo: il Brasile, il Portogallo e l'Austria dettero vita a delle costituzioni corporative ma va ricordato che, nei primi due paesi citati, il sistema rimase prevalentemente liberista ed il progetto fallì. In Austria invece il progetto fu interrotto dall'annessione alla Germania di Hitler, il quale abolì la costituzione austriaca.
Dopo la guerra l'Austria fu di nuovo indipendente ed, anche se non istituì uno stato corporativo, tale esperienza lasciò un segno profondo tanto che, ancora oggi, ne notiamo alcune tracce nella composizione dei sindacati e nella contrattazione sindacale.
PUNTO DUE: COS' E' UNA CORPORAZIONE
Per far capire cosa si intende per corporazione userò il termine di "sindacato associativo di categoria".
Cosa significa?
I sindacati sono di due tipi: di classe ed associativi.
I sindacati associativi sono dei sindacati, di solito divisi per categoria (cioè tipo di lavoro), in cui si rappresentano soltanto gli iscritti. Questi tipi di sindacati sono diffusi in USA. Altro paese con sindacati associativi è l'Austria.
I sindacati di classe sono dei sindacati che rappresentano l'intera classe operaia, senza differenze di categoria o di iscrizione, in quanto essi seguono la dottrina marxista. Per loro non vi è alcuna differenza tra i lavoratori se non quelle del fatto che sono tutte persone che vendono la propria forza lavoro. Gli iscritti sono considerati come avanguardia di interessi che riguardano tutti. I sindacati italiani sono un esempio di questo tipo di sindacato.
La corporazione è una associazione di lavoratori aventi in comune lo stesso lavoro: si tratta quindi di una associazione divisa per categoria. Ha però dei poteri maggiori di un sindacato: la corporazione per come si intende in democrazia corporativa diventa un organo istituzionale e viene inserito all'interno di una specifica camera, composta dai rappresentanti delle varie categorie. I rappresentanti sono scelti per elezioni: in breve, ogni lavoratore sceglie il rappresentante del suo lavoro e lo manda direttamente in parlamento.
PUNTO TRE: LA CAMERA CORPORATIVA.
Fino ad ora abbiamo parlato della singola corporazione, abbiamo detto che si tratta di un sindacato associativo di categoria ma con poteri più ampi, sopratutto nel campo della rappresentanza, ma come funzionano tutte insieme le corporazioni?
La cosa è piuttosto semplice: ogni corporazione corrisponde ad una determinata categoria di lavoratori, i quali eleggono dei loro rappresentanti. questi rappresentanti vanno in una camera istituzionale denominata, appunto, camera delle corporazioni.
I numeri dei rappresentanti sono determinati da parametrici economici in base al loro numero ed alla loro importanza all'interno della nazione: ovvio che tale sistema deve essere elastico cioè permettere l'emergere di nuove corporazioni (se necessarie) nonchè la modifica del numero di rappresentanti di una corporazione (anche qui se necessaria).
Questa camera non ha semplici funzioni consultive ma ha vere e proprie funzioni legislative nei campi in cui è considerata competente. Quali sono questi campi? L'economia, il lavoro, i servizi pubblici ecc.
Concepita in questo modo, la camera corporativa lavora vicina ad un'altra camera dei rappresentanti: si tratta di rappresentanti politici che si occupano di questioni quali il diritto, la diplomazia, l'ordine pubblico ecc.
L'organizzazione secondo la quale avviene la suddivisione dei rappresentanti, all'interno di quest'ultima camera, non è soggetta a particolari regole e può variare a seconda delle circostanze storiche. Gli intellettuali fascisti come Bottai hanno, tuttavia, a più riprese sostenuto la creazione di una camera di rappresentanza basata sulle divisioni regionali.
Questo sistema "bicamerale" può tranquillamente esistere sotto qualsiasi forma di repubblica o monarchia anche se la forma di governo preferenziale è quella della repubblica presidenziale: le due camere, elette dalle persone viste sia nel loro ruolo di cittadini che nel loro ruolo di lavoratori, si riuniscono per eleggere un presidente che rimane in carica per un certo periodo di tempo e che ha poteri ampi (tipo quello americano per intenderci). Tuttavia non è obbligatorio usare la repubblica presidenziale: si può usare quello che più aggrada a unica condizione di non stravolgere i ruoli delle due camere.
PUNTO QUATTRO LA SOCIALIZZAZIONE DELLE IMPRESE.
Il corporativismo serve a dare la giusta rappresentanza e forza al lavoro ed ai lavoratori in sede istituzionale. La socializzazione, potremo dire, garantisce una equa ripartizione degli utili all'interno della azienda. Contemporaneamente si vuole dare voce a tutti i componenti di una azienda in modo da evitare gli scontri nonchè si vuole mettere nelle mani dei cittadini-lavoratori un potere concreto.
Il modo in cui è gestita un'azienda socializzata dipende da che tipo di azienda e dal numero delle persone da cui è composta. Il principio generale rimane SEMPRE quello di dare una rappresentanza adeguata ai vari componenti dell'impresa da qui le differenze.
L'impresa pubblica, per esempio, è gestita da un consiglio di gestione eletto dai lavoratori di quella impresa e da un capo nominato,invece, dal governo.
L'impresa privata è gestita da un organo collegiale composto dai rappresentanti dei lavoratori e dei tecnici, dai rappresentanti dei portatori del capitale sociale, dall'imprenditore privato e dallo stato (se questo partecipa alla formazione del capitale).
Ad ogni modo c'è un principio che accomuna tutto: il fatto che, tendenzialmente, vi sia un forma di "rappresentanza a tre" (lavoratori-datori di lavoro-stato) all'interno della quale discutere i problemi.
Questo sistema si prefigge l'obiettivo di raggiungere una maggiore trasparenza nonchè la possibilità di evidenziare i problemi all'interno della azienda stessa senza giungere in maniera sistematica allo scontro. Questo succede perchè la "formula a tre" lascia la possibilità che una delle parti in causa si ponga come mediatrice (di solito lo stato ma dipende dalle situazioni).
Di fatto la socializzazione si pone come alternativa alla governance di impresa tradizionali (quella monistica e quella dualistica), proponendo una sua soluzione ai problemi di gestione dell'azienda.
E' importante ricordare che il numero dei rappresentanti dei lavoratori deve raggiungere almeno il 50% dei posti disponibili nel consiglio.
Per concludere ritengo sia fondamentale ricordare alcune cose:
1) la socializzazione non accentra i poteri di gestione allo stato ma li distribuisce.
2) l'imprenditore non perde la titolarità dell'azienda che rimane sua: ne è solo responsabile della gestione davanti alla società.
3) la socializzazione, esattamente come il corporativismo, non vogliono dare vita ad una economia pianificata ma cerca soltanto un giusto compromesso tra libertà e sicurezza.
PUNTO CINQUE: L'UOMO NUOVO.
Ecco arrivati al punto più delicato: pare che, in questo campo, ogni gruppo si sia sbizzarrito nelle interpretazioni più disparate ma tutte ugualmente false.
Si tratta di un punto delicato perchè sotto le "insegne" dell'uomo nuovo molti gruppi politici si sono lasciati andare a crimini inauditi.
Ma cos'è un uomo nuovo?
Si tratta di una cosa semplicissima: colui che ha cambiato il modo di vedere le cose!
Il concetto di uomo nuovo è indissolubilmente legato a quello di rivoluzione sia essa politica, culturale, religiosa ecc.
La rivoluzione è un periodo di transizione in cui gli uomini cambiano il modo di vedere le cose e di rapportarsi tra di loro e con il mondo.
L'esempio più classico è la rivoluzione francese: prima di allora furono molte le rivolte contro un singolo monarca ma mai nessuno aveva osato mettere in discussione il "diritto divino" ed il ruolo del re: si contestavano il modo di gestire il potere non il potere in se. Nel 1789 qualcosa cambiò ed i re furono deposti non perchè incapaci (almeno non solo) ma anche perchè considerati illegittimi e si diede vita a nuove istituzioni ed ad una riorganizzazione dello stato. Agli occhi della gente le vecchie tradizioni e regole della società feudale apparivano ora come ingiuste e la stessa società cambiò radicalmente. Le persone cominciarono a guardarsi tra di loro in modo diverso: non più dall'alto verso il basso o viceversa (dipende dal ceto) ma su un piano paritetico. Comincia a diffondersi l'idea che ciò che conta è il merito non il il titolo o altri status ascritti simili.
Stessa ragionamento vale per tutte le altre rivoluzioni come quella scientifica (diverso modo di spiegare la realtà) e quella industriale (diverso modo di produrre).
Per quel che riguarda il fascismo si può dire che l'uomo nuovo è colui che mette da parte la morale perbenista ed ipocrita (tipica di un predominio culturale della borghesia) e decide di adottare una prospettiva votata alla trasparenza ed alla integrità. Un punto fondamentale (e rivoluzionario) sta nell'abbandono del materialismo, il quale sostiene che i bisogni materiali vengono prima di ogni altra cosa. qui si sostiene invece (vedi Mazzini ed altri) che l'uomo è un essere razionale, diverso dagli animali, avente esigenze di diversa natura, tra le quali vi risiede anche quella del pensare e delle idee(vedi Gentile), la quale non è affatto secondaria.
L'uomo nuovo cambia anche il suo modo di vedere gli altri non più incentrato sull'egoismo ma sull'altruismo: gli uomini non si vedono come delle bestie in lotta tra loro per un fantomatico "posto al sole" ma collaborano attivamente tra di loro per cercare di garantire una vita decente a tutti, su tutti piani della realtà (non solo economia). La società, quindi, non si basa ne sull'individualismo ne sul collettivismo ma sulla collaborazione o meglio sull'esaltazione del singolo all'interno della compagine della società. La creatività del singolo è vista come il miglior mezzo per garantire il benessere della società ma il singolo non può dimenticare di avere delle responsabilità nei confronti degli altri.
In questa visione della società assume un ruolo fondamentale l'educazione: per educazione non si intende indottrinamento ma formazione delle persone in quanto uomini(socializzazione primaria e secondaria), cittadini (valori della società) e lavoratori (competenze tecniche).
Non si intende in alcun modo lavare il cervello alle persone o renderle dei burattini in mano ai mezzi di comunicazione di massa. Ancora di meno si vuole abolire l'individualità ed il pensiero individuale.
Al contrario si vuole formare cittadini coscienziosi e preparati ad affrontare la realtà nel migliore dei modi: i babbei indottrinati sono dannosi per l'intera società e la loro formazione non deve essere in alcun modo incoraggiata per scopi di natura demagogica.
Non si vuole quindi creare una dittatura del pensiero ma dotare la società di una coscienza civica necessaria la buon funzionamento delle istituzioni che la società stessa si è data.
Decade anche il concetto di "ideologia" intesa nel senso classico come la visione distorta della realtà oppure, come una "verità impazzita". Qui si intende come un mezzo per risolvere dei problemi pratici.
La militanza violenta e la "fede ceca" non sono in alcun modo proposte per i motivi che sono deducibili dal discorso fatto sopra.
Ultima cosa qui per "fede" e "credenza" son si intende in alcun modo la religione ma, con tali parole, si intende indicare la naturale tendenza degli uomini a credere in delle idee ed a cercare di realizzarle.
Si può dunque dire che il fascismo è una rivoluzione culturale (oltre che politica ed economica) che mira a cambiare il modo in cui gli uomini vedono la società ed anche se stessi. Tale rivoluzione mira a creare una nuova etica pubblica coerente con il sistema produttivo corporativo. Questo è necessario perchè il capitalismo, nel momento in cui si sviluppò, impose anche una sua etica (di tipo individualista e basata sull'egoismo): se il sistema produttivo e quello politico vengono cambiati in senso corporativo ma l'etica pubblica rimane quella imposta dal capitalismo, allora si crea una grossa frizione tra la sfera politica ed economica e quella culturale che porterà al degrado delle istituzioni ed al fallimento della rivoluzione. Le rivoluzioni culturali richiedono per forza di cose tempi lunghi e quindi la rivoluzione fascista si caratterizza come "rivoluzione permanente" nel senso che non avviene attraverso un colpo di mano in una data precisa ma in tempi lunghi. Questo tratto dell'ideologia spiega perchè, a livello storico, le istituzioni corporative furono introdotte gradualmente nel corso del ventennio.
PER RIASSUMERE:
- NON SI VUOLE CREARE UNO STATO DI POLIZIA.
- NON SI VUOLE INDOTTRINARE LE PERSONE.
- NON SI VUOLE ERGERE LO STATO A DIVINITA'.
- NON SI VUOLE SOPPRIMERE L'INDIVIDUO ALL'INTERNO DELLA SOCIETA'.
Si vuole, invece, educare uomini e cittadini coscienziosi, rispettosi degli altri e quindi realmente liberi!
IL FASCISMO, LA PROPRIETA' E LE LIBERTA' CIVILI
Il fascismo, pur rispettando la proprietà, muta in maniera evidente ciò che si intende con la parola proprietà. Ciò che caratterizza il capitalismo è il particolare significato che assume la parola proprietà: essa rappresenta uno spazio giuridico intangibile dell'individuo. Essa non è riferita tanto alla cosa prodotta quanto all'individuo proprietario. Nel fascismo si sostiene l'esatto contrario: non conta tanto l'individuo proprietario (considerato un depositario) quanto la cosa prodotta. Si privilegia la produzione alla proprietà. Questo implica una visione dell'impresa come ente avente finalità sociale. Queste finalità sociali appartengono alla natura stessa dell'impresa. L'impresa diventa un ente collettivo composta da diversi membri(proprietario, azionisti, lavoratori), i quali devono avere determinate garanzie per rendere produttiva l'impresa. Nessuno di questi membri può esercitare un potere assoluto sugli altri membri. Possiamo dire che ognuno di loro ha dei diritti e dei doveri. Il proprietario, per esempio, ha il diritto di trarre sostentamento dalla attività di cui è titolare ma ha il dovere di mantenere produttiva l'impresa pena la perdita di esso. Il lavoratore ha il diritto ad un trattamento umano ed a partecipare alla gestione dell'impresa ma ha anche il dovere di lavorare in maniera scrupolosa ed efficiente.
Per quanto riguarda le libertà civili, il fascismo non si distacca molto dal socialismo: le istanze della rivoluzione francese sono recepite ma declinate in senso sociale. Gli individui, vengono rispettati, ma non staccati dalla collettività e non è accettata ne permessa nessuna condotta individuale che possa ledere la collettività. In linea teorica il potere non dovrebbe essere di tipo autoritario ma la dittatura è accettata nel caso in cui la rivoluzione venga messa in pericolo oppure come fase di intermezzo per arrivare alla realizzazione di uno stato corporativo.
Il concetto di libertà è diverso da quello attualmente vigente: se oggi per libertà si intende la non presenza di regole e l'emancipazione dai vincoli sociali, nella filosofia di Gentile per libertà si intende il darsi delle regole e poi rispettarle in maniera coerente. Il distacco dai vincoli sociali non è contemplato perchè l'uomo è considerato animale sociale quindi per natura portato a vivere all'interno di alcuni legami sociali.
Secondo Gentile l'oppositore politico va rispettato a patto che rispetti la legge e l'ordine corporativo: nessuno va forzato a “convertirsi” ma occorre lasciare che ogni persona segua un proprio percorso politico individuale individuale. Secondo gentile tale atteggiamento può portare ad un avvicinamento dell'oppositore al regime o, comunque, ad una sorta di “neutralità” che porta con se il rispetto della legge e dell'ordine corporativo.
A livello storico questo principio non fu sempre rispettato e spesso la sua applicazione dipendeva dal gerarca con cui si aveva a che fare. C'è anche da ricordare però, che alcuni personaggi del mondo culturale antifascista si avvicinarono al regime siglando una specie di neutralità: l'esempio più illustre è Antonio Labriola.
FASCISMO E FENOMENI RELIGIOSI
l'ideologia fascista sta ai fenomeni religiosi esattamente come il romanticismo sta alla religione.
Un articolo di Bottai apparso su “Il Popolo di Trieste” disciplina in maniera generica quelli che sono i rapporti tra lo stato e le chiese. La religione viene concepita come un elemento della cultura di un popolo e vien quindi rispettata per il ruolo che essa svolge nella società. Tradotto in termini pratici, laddove la religione ricopre un ruolo marginale, un ipotetico regime fascista terrà conto in maniera marginale della religione mentre laddove essa ricopre un ruolo importante essa verrà tenuta in maggiore considerazione. Diciamo che il fascismo interpreta il principio della libertà religiosa limitandosi a “fotografare” quella che è la situazione nella società senza forzare la mano ne in direzione favorevole ne in direzione contraria. La differenza fondamentale con i regimi di tipo comunista è che mentre in questi la religione (al di la che vi sia o meno la libertà religiosa) è vista in maniera negativa (questo perchè il materialismo ha una concezione negativa della religione), nei regimi fascisti essa è vista in maniera positiva (perchè l'idealismo non ha una visione negativa della religione). Va comunque ricordato che qualora la religione perdesse importanza nella società, almeno secondo Bottai, il regime non dovrebbe intervenire in materia religiosa ma limitarsi a registrare l'avvenuto cambiamento. Altra cosa da ricordare è che alla influenza della religione vengono posti comunque dei limiti quali il carattere secolare delle istituzioni, il divieto di discriminazioni di tipo religioso e la non ingerenza del potere religioso negli affari dello stato (e viceversa).
A livello storico si arrivò ad una compromesso tra il mondo cattolico e quello fascista per due motivi: anzitutto motivi politici (risoluzione questione romana) ed in secondo luogo, negli anni 30, i partiti d'ispirazione cattolica presero come modello l'economia corporativa rifiutando il liberismo. Quest'ultima variabile influì non poco nell'avvicinamento dei due mondi.
FASCISMO, COMUNITA', INTEGRAZIONE E MODERNIZZAZIONE.
Alcune teorie sostengono che il fascismo sia stato un movimento che si è opposto alla modernità e ciò si sarebbe palesato nella politica di ruralizzazione e di deproletarizzazione applicata dal regime verso la fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta. Uno studio sulla politica economica fascista condotto dal prof. A.J. Gregor smentisce questa interpretazione dei fatti poiché il regime fu spinto ad adottare queste politiche non per evitare la modernizzazione ma per favorirla. Il programma economico fascista, infatti, prevedeva, appunto, la modernizzazione dell'Italia denunciando lo scarso sviluppo dell'industria italiana dovuto alla mancanza di risorse e di capitale. Tuttavia la modernizzazione che l'Italia avrebbe dovuto raggiungere sarebbe stata una modernizzazione alternativa rispetto al classico significato che si da a questa parola. Per far capire questa differenza i fascisti parlarono di “via italiana alla modernità” in contrapposizione alla modernità anglosassone. La differenza tra le due è che mentre quest'ultima è caratterizzata da una concezione individualista della società, la seconda è caratterizzata da una concezione organicista e “socialista” della società.
In particolare il fascismo si basa molto sul concetto di comunità nazionale (popolo), la quale è una entità storico-culturale che comprende tutti gli individui vissuti, viventi e che vivranno all'interno della società. Tale entità, dunque, non è solo politica ma contiene anche dei tratti peculiari non determinati e determinabili dal potere politico. Il ruolo della legge e della costituzione è quello di “catturare” lo spirito di un popolo (concetto preso dal romanticismo). Questa è una differenza radicale rispetto al concetto di “popolo” oggi vigente: infatti nella concezione odierna il popolo è una entità esclusivamente politica determinata dalla costituzione e sempre modificabile per via legale.
I fascisti riconoscono nel leninismo una alternativa alla modernità anglosassone tuttavia ritengono che il leninismo abbia abdicato ai suoi doveri storici tentando di introdurre il socialismo in una società ancora feudale. Secondo i fascisti, prima di introdurre il socialismo occorre lasciare che il capitalismo compia tutte le sue tappe storiche ed arrivi alla sua fase matura. Questa concezione spiega perchè la politica economica del regime, per i primi otto anni sia stata orientata verso un programma tendenzialmente non interventista per poi cambiare bruscamente, e sempre più radicalmente, nel corso degli anni trenta.
Il processo di deproletarizzazione, invece, è conseguenza delle riforme agricole operate dal regime con la “battaglia del grano”: tali riforme segnarono la fine del già morente latifondo al nord, facendo emergere tutta una serie di piccoli proprietari che influenzeranno la politica agricola italiana attraverso le cooperative fasciste. Per quanto riguarda il sud la situazione è un po' più complicata e l'attacco al latifondo cominciò, in maniera massiccia, nel 1942.
Poco più sopra si è parlato di comunità nazionale come ente storico culturale e non solo politico ma è possibile integrarsi in questa comunità? La risposta è sì anche se, per motivi che risultino evidenti, tale integrazione non è immediata. Ciò che viene richiesto a coloro i quali si vogliono integrare è l'accettazione dell'universo dei valori della comunità ed un profondo rispetto per le istituzioni corporative. L'adesione attiva ai principi della rivoluzione è, sicuramente, un catalizzatore nel processo di integrazione.
Il modello del “melitng pot” americano non è accettato sia perchè considerato il risultato della particolare situazione di un popolo sia perchè esso si basa su una concezione puramente politica di popolo diversa dal concetto di comunità nazionale sopra esposto.
In maniera molto semplicista ma efficace potremo dire che il modello di integrazione fascista è simile al modello di integrazione francese e quindi non compatibile con quello americano.
Storicamente il regime fascista cercò di integrare tutte quelle popolazioni che non si dimostrarono disponibili a trattare con le autorità italiane: Nelle colonie vennero creati parecchi movimenti militari come gli ascari o i Dubat che cercarono di integrare effettivamente la popolazione indigena. Ancora più importante, in Libia, la fondazione della Gioventù del Littorio Araba, la quale si pose l'ambizioso obiettivo di trovare una integrazione tra fascismo ed islam. Non meno importante fu il Partito Fascista albanese (Partia Fashiste Shquitare), il quale raggiunse un livello di organizzazione molto capillare e prevedeva l'inserimento degli albanesi nelle istituzioni centrali a Roma e la nomina di un governatore albanese che sarebbe stato affiancato da un'altro governatore italiano.
Il doloroso episodio delle leggi razziali merita qui di essere menzionato: come mai una minoranza addirittura dotata di una sua sezione all'interno del PNF diventa, all'improvviso, un nemico?
I motivi che hanno portato a questa decisione sono due: la convinzione da parte di Mussolini che la Germania avrebbe dominato il mondo del futuro e la sconfitta degli ebrei fascisti all'interno del consiglio israelitico italiano. Per quanto riguarda il primo punto, Mussolini era convinto che Hitler avrebbe facilmente piegato gli alleati e che quindi occorreva adeguarsi per non venire invasi. Il secondo punto è più importante perchè i fascisti ebrei fallirono la presa del potere all'interno delle strutture di rappresentanza ebraiche. Essi non ottennero la maggioranza e questo fu visto come uno schiaffo al regime. Quest'ultimo decise di reagire mettendo fuorilegge quella che ora era considerata una minoranza sovversiva. In conclusione, si può dire che le leggi razziali italiane furono concepite con la volontà di operare una discriminazione politica nei confronti di una determinata comunità e non ebbero caratteri persecutori e di razzismo biologico. Queste rende le leggi razziali del 1938 incompatibili con le leggi di persecuzione razziali vigenti in Germania sin dal 1933.
FASCISMO E RAPPORTI INTERNAZIONALI
Spesso si accusa il fascismo di portare avanti una politica aggressiva e di tipo bellicista ma ciò non corrisponde ne al comportamento tenuto dall'italia nel corso degli anni venti e trenta tanto meno alle teorie politiche elaborate dagli intellettuali fascisti. I rapporti tra le nazioni sono genericamente visti attraverso la teoria della lotta di classe internazionale elaborata da Enrico Corradini. Secondo questa teoria, il mondo è composto da nazioni plutocratiche (che detengono le risorse ed i territori strategici) e nazioni proletarie (che hanno poche risorse e dipendono dalla nazioni più forti). Compito dell'Italia è riuscire ad acquisire i territori e le risorse necessari per diventare una grande potenza e potersi quindi emancipare dal controllo straniero. Sul lungo termine il compito dell'Italia è anche quello di assumere un ruolo internazionale sempre più ampio in modo da poter equilibrare la redistribuzione delle risorse e dei territori (vedere Vilfredo Pareto e la teoria della distribuzione equilibrata delle risorse).
FASCISMO E DESTRA RADICALE
Con la fine della seconda guerra mondiale sparisce dalla circolazione il PNF: in nessun frangente della storia d'Italia troveremo mai più un partito fascista nell'arco dei partiti esistenti.
I partiti della destra radicale, soppressi durante il ventennio, si riorganizzarono in un periodo compreso tra gli ultimi anni della guerra civile e i primi anni della repubblica. Tali partiti evidenziano fin da subito grosse differenze dal fascismo: in primo luogo questi partiti si rifanno al filosofo julius evola, il quale predicava l'abbandono della modernità ed il ritorno ad una mitica “età dell'oro”. In secondo luogo la destra radicale non adotta il principio della comunità nazionale ma quello della comunità razziale. In terzo luogo la destra radicale disprezza la rivoluzione francese ed i suoi ideali mentre il fascismo apprezza la rivoluzione francese (sopratutto nel personaggio di Robespierre) pur non condividendone gli sbocchi (il regime liberale). I movimenti de destra radicale sono privi di una forte ideologia e di un programma politico di lungo termine mentre il fascismo è sia dotato di una forte di ideologia che di un programma politico di lungo termine. Per concludere la destra radicale non è dotata di una ideologia organica ed unica a differenza del fascismo che invece è dotato di una ideologia ufficiale. Quest'ultimo punto è importante poiche spesso, proprio perchè si confonde la destra radicale con il fascismo, si tende a negare l'unità ideologica del fascismo. Ancora si può dire che la destra radicale esalta la violenza come “forza rigeneratrice” mwentre il fascismo considera quest'ultima soltanto un mezzo da utilizzare se strettamente necessario per difendere la rivoluzione. In ultima istanza si può dire che la destra radicale riprende alcuni elementi dal fascismo come la gerarchia e la disciplina ma, mentre nel fascismo sono visti come mezzi per giungere al fine della rivoluzione, nella destra radicale diventano fini essi stessi.
I movimenti di destra radicale, almeno in Italia hanno sfruttato il nome ed i simboli del fascismo per procurarsi voti ma non hanno mai veramente condiviso l'ideologia fascista ritenendola sorpassata ed incompleta con la conseguenza di inventarsi nuove ideologie politiche completamente estranee al percorso ideologico di Mussolini e Gentile.
I movimenti di destra radicale europea sono invece stati più coerenti dichiarandosi, in molti casi, antifascisti poiché il fascismo veniva e viene visto come una forma di socialismo.
CONCLUSIONE
In battuta conclusiva si vuole dimostrare che il fascismo fu una ideologia organica e compiuta che fu ideata con l'intento di risolvere il conflitto di classe e proporre un tipo di regime capace di neutralizzare le tensioni sociali derivate dalla questione sociale. Storicamente tale sistema non si è mai affermato a causa della sconfitta dell'Italia nella seconda guerra mondiale.
Dunque il fascismo fu una ideologia compiuta ed unica nel suo genere: essa non è scindibile e non è associabile a movimenti che, per natura, sono diversi dal fascismo stesso. L'uso della simbologia fascista fatto da alcuni movimenti politici di destra è puramente strumentale poiché essi seguono ed hanno seguito progetti politici completamente diversi. Tale strumentalizzazione è stata possibile per due motivi: anzitutto si è trattato di un modo per cooptare i fascisti in movimenti politici istituzionalizzati e quindi per assorbirli all'interno del sistema vigente (defascistizzazione retroattiva come dice Renzo De Felice). Il secondo punto è una conseguenza del primo: la defascistizzazione retroattiva ha imposto uno svuotamento ideologico del fascismo. Le elite politiche hanno creato delle spiegazioni ad hoc per giustificare la nascita del fascismo e tali giustificazioni sono state abbracciate dalla scienze sociali, le quali non si sono impegnate a cercare di capire veramente l'ideologia fascista. La conseguenza di tutto ciò è stato lo svuotamento della parola “fascismo” che è diventata sinonimo di nulla ideologico accostato ad alcune caratteristiche (violenza, irrazionalità ecc.) che indicano più un generico “nemico da abbattere” che una precisa ideologia politica. Si arriva, così, ai nostri giorni, come afferma A.J. Gregor, dove la parola fascismo è abusata ed utilizzata in circostanze non opportune.
Non tutte le scienze sociali si sono piegate a questa logica: Già negli anni 70 ed 80, lo storico Renzo De Felice pubblicò una serie di libri che mettevano in evidenza il fatto che il regime percorse una linea legislativa ben determinata. Poco più avanti il politologo Juan Linz pubblicò la sua classificazione dei regimi politici, la quale metteva bene in evidenzia le differenze tra regimi autoritari (comprensibili all'interno degli schemi destra/sinistra) e quelli totalitari (aventi una propria ideologia indipendente). Negli ultimi quaranta anni il politologo americano A.J. Gregor ha scritto tutta una serie di libri che dimostrano come il fascismo possa essere considerato come una ideologia politica compiuta. Essa è stata applicata in maniera progressiva durante tutto il ventennio fascista anche se non è mai stata portata a termine ma questo non per motivi di volontà politica quanto di tempo. Gregor ci mette anche in guarda dalle false interpretazioni determinate solamente dalla foga di voler chiudere con il traumatico periodo della seconda guerra mondiale. Gregor sostiene anche che non è possibile concepire i totalitarismi come appartenenti all'asse ideologico destra/sinistra perchè essi hanno l'aperta intenzione di superare tale dicotomia.
Quelli che possono essere considerati i pensatori fascisti più importanti sono: Benito Mussolini, Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Alfredo Rocco, Ugo Spirito, Arnaldo Mussolini, Niccolò Giani e Berto Ricci.