L’accordo generale su commercio e servizi (GATS)

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marco---
00venerdì 25 maggio 2012 12:06
L’accordo generale su commercio e servizi (GATS) (Fonte: dirittiumani.utet.it - Di Nicoletta Dentico)

Sul settore dei servizi si gioca la partita fondamentale nell’ambito dell’OMC, e anche nel settore sanitario è opinione comune che i sistemi sanitari nazionali debbano essere progressivamente condizionati dalle regole del commercio. I paesi industrialmente sviluppati mirano a penetrare con le proprie società di servizi i mercati emergenti, mentre i paesi in via di sviluppo sono spesso costretti a cedere i propri mercati a questo settore per ottenere la contropartita di una maggiore apertura dei paesi industrializzati ai prodotti agricoli e tessili.

L’accordo che regola la liberalizzazione dei servizi nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il GATS (General Agreement on Trade and Services) è entrato in vigore nel gennaio 1995. Il suo ruolo rispetto ai servizi sanitari e agli altri servizi pubblici è rimasto per ora limitato, in quanto in molti paesi questi vengono ancora erogati dai governi. Tuttavia la crescente privatizzazione dei servizi pubblici e l’aumento di flessibilità nelle condizioni contrattuali del settore pubblico potrebbero rapidamente modificare lo scenario, creando anche nel campo della salute il presupposto per un’affermazione degli attori privati in concorrenza con le forniture statali. Il GATS fa parte integrante dell’agenda concordata nel 1994 al momento della nascita dell’OMC. Ciò significa che, come avviene già per l’accordo sull’agricoltura, anche nel caso del GATS l’OMC si è assunta l’impegno formale di portare avanti ulteriori negoziati, a seguito dei quali il ruolo di questo accordo è destinato necessariamente a espandersi. Anche perché esso è soggetto a continua rinegoziazione ed estensione, secondo la logica per cui i membri dell’OMC sono obbligati a liberalizzare progressivamente il settore dei servizi, quali che essi siano. Il GATS ne riconosce per ora centosettanta: dalla sanità all’istruzione, dall’erogazione dell’acqua alla costruzione delle strade, dalle telecomunicazioni al turismo e alle assicurazioni. Il duplice obiettivo è quello di aprire al mercato settori ancora chiusi e abbattere la barriere all’espansione del commercio in quelli già aperti. Come per gli altri accordi OMC, i principali beneficiari di questo processo di inarrestabile liberalizzazione sono le industrie multinazionali. In questo senso, non desta sorpresa che siano stati proprio i rappresentanti del settore privato a spingere in direzione della nascita del GATS.

L’accordo identifica quattro diversi «modi di fornitura» nel commercio dei servizi: 1) movimento del fornitore (movement of natural persons): il fornitore del servizio (medico, infermiere, persona individuale) si sposta all’estero per offrire il servizio; 2) movimento del consumatore o consumo all’estero (consumption abroad): l’utente di un servizio si sposta dove il servizio viene offerto, per esempio un paziente va a farsi operare all’estero; 3) commercio interfrontaliero (crossborder suppli): il servizio attraversa le frontiere da un paese all’altro, come avviene con i servizi di telemedicina, le chiamate telefoniche internazionali, i trasferimenti bancari; 4) presenza commerciale (commercial presence): il fornitore dei servizi si stabilisce in un altro paese, tramite sedi distaccate o succursali, per esempio una multinazionale acquista o costruisce un ospedale in un paese terzo.

Quest’ultima modalità suscita particolare preoccupazione, in quanto effettivamente l’OMC fissa regole internazionali sull’investimento straniero, rimuovendo le regolamentazioni sui servizi che sono considerate ostacoli al commercio.


Praticamente tutti i governi del mondo stanno deregolando o privatizzando il finanziamento e l’erogazione dei servizi pubblici, di loro iniziativa o, in particolare nei paesi poveri, sotto la spinta dei programmi di aggiustamento strutturale voluti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Nel campo della sanità, alcuni governi, come quello della Gran Bretagna, e in Italia la regione Lombardia, hanno introdotto il cosiddetto «mercato interno» della sanità separando sistematicamente finanziatore (il governo) e produttore (ospedali e assistenza nel territorio), e mettendo i due attori in netta concorrenza tra loro. Un’altra modalità di privatizzazione passa attraverso l’infusione nel servizio pubblico della sanità di un approccio di gestione della salute improntato ai metodi e ai princìpi del mercato, con una logica di profitto piuttosto dannosa nel settore specifico della sanità, sia in termini di prestazioni che di servizio all’utente. Molti aspetti della salute pubblica – la qualità dell’aria, la sicurezza dell’acqua e degli alimenti, lo smaltimento dei rifiuti – sono da tempo minacciati dalle privatizzazioni. Con il GATS potrebbero essere smantellati pressoché definitivamente.

Concludendo questa lunga rassegna sull’OMC, notiamo che non è soltanto la tensione fra l’espansione del commercio e la sovranità nazionale che preoccupa, quanto piuttosto l’incompatibilità, a volte profonda, che esiste tra le finalità del mercato e l’interesse pubblico.
Appare sempre più chiaro come gli obiettivi di espansione del commercio possano spesso mettere in secondo ordine quelli della salute pubblica attraverso incentivi e meccanismi, a volte perversi, che riguardano i rispettivi diritti, le responsabilità e le capacità del settore privato e di quello pubblico. L’esplicita ammissione, da parte dell’OMC, del primato della salute sulle regole del mercato è un successo non marginale per chi si batte in questa direzione. Ma non basta. La sfida per il futuro sarà quella di sorvegliare, con estrema attenzione e capacità, che quanto enunciato sulla carta sia effettivamente messo in pratica.

Vedi anche:
Come spalancare le porte alla privatizzazione della sanità (Fonte: nelmovimento.altervista.org - di Angelo Stefanini - Dip. Medicina e Sanità Pubblica Univ. Bologna)
Privatizzazioni 2012: l'avvento della Catastroika sui Paesi europei
marco---
00venerdì 25 maggio 2012 12:07
Le privatizzazioni dei servizi sociali di base nei paesi in via di sviluppo (Fonte: didattica.spbo.unibo.it - di Daniela Cusmai - Anno Accademico 2005/2006)

3.2.2 Il GATS, l’acqua e le grandi società multinazionali

Il General Agreement on Trade in Services (GATS), di cui si è accennato nel primo capitolo, promuovendo il libero commercio dei servizi mira a liberalizzare l’acqua e i servizi idrici. All’interno dell’accordo generale, qualsiasi paese può richiedere a un altro che i servizi del settore pubblico vengano aperti anche ad altri attori, ossia a società private. Secondo l’accordo infatti, società locali e straniere dovrebbero essere libere di competere con uguali possibilità. Sebbene l’OMC sostenga che i paesi possano scegliere se e quando aprire i servizi pubblici alla concorrenza straniera, quello che accade realmente è che i paesi in via di sviluppo vengono sottoposti a pressioni da parte di banche e governi affinché aprano al settore privato. Al centro dei servizi ambientali del GATS c’è l’acqua, quest’ultima ha richiamato l’interesse non solo dell’OMC ma anche dell’ Unione Europea, infatti la Commissione Europea «vede il GATS come un modo di creare nuove opportunità commerciali per le società idriche europee» (Sjölander Holland 2006, 169).
Non sorprende, a questo punto, che i due principali protagonisti del settore idrico privato siano infatti le francesi Veolia Environnement (ex. Vivendi) e Suez (ex Lyonnaise des Eaux), le quali detengono più dei due terzi del mercato privato dell’acqua. Sempre europee sono poi le altre cinque maggiori compagnie del settore, ossia la tedesca RWE-Thames, la francese Saur, le britanniche Cascal/Biwater e l’Anglian Water e la statunitense-italiana International Water Limited.
Kruse e Ramos (Kruse e Ramos 2003, 105) avvertono che «la disciplina del GATS pone i diritti degli investitori al di sopra dei diritti dei cittadini e rende praticamente impossibile il ritorno alla gestione pubblica di un servizio privatizzato»: gli accordi del GATS hanno quasi carattere irreversibile poiché sebbene un paese possa disdire il proprio impegno verso il GATS in un determinato servizio, in pratica lo può fare solo compensando i partner commerciali coinvolti o subendo ritorsioni sotto forma di sanzioni commerciali. L’accordo è criticato da molti in quanto strumento che restringe il dibattito pubblico e non tollera l’interferenza delle leggi e delle azioni governative a favore del libero mercato e delle grandi aziende.
Il GATS potrebbe quindi minare il progresso verso gli obiettivi sociali e ambientali poiché limita la capacità dei governi di regolamentare o fornire i servizi.
marco---
00martedì 26 giugno 2012 14:38
L'esperienza di Parigi sulla privatizzazione dell'acqua... e il ritorno alla gestione pubblica dopo 25 anni
Acqua pubblica: -8% sulle bollette dell’acqua (Fonte: buonenotizie.it - 04/04/2011)

Il Comune di Parigi ha deciso una riduzione delle bollette dell’acqua pari all’8%, restituendo così a tutti gli utenti un totale 76 milioni di Euro risparmiati grazie alla decisione di ritornare ad una gestione interamente pubblica del servizio idrico. Lo scorso mese di marzo, il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë (proprio in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua) ha annunciato una riduzione delle bollette dell’acqua pari all’8% per tutti gli utenti di Eau De Paris, l’ente di diritto pubblico che, dal 1° gennaio 2010, gestisce il servizio idrico della capitale francese in tutte le sue fasi, dalla captazione alle fonti alla fatturazione.

Nel 2009 Delanoë aveva annunciato alla cittadinanza la storica decisione di ritornare ad una gestione totalmente “in house” delle acque parigine dopo 25 anni di gestione privata e di non rinnovare i contratti alle multinazionali francesi Veolia e Suez, che erano in scadenza al 31 dicembre dello stesso anno. Sempre nel 2009, era stato calcolato che, grazie alla ri-municipalizzazione del servizio idrico integrato (SII), Parigi avrebbe risparmiato 30 milioni di euro l’anno, permettendo così di stabilizzare il prezzo dell’acqua fino al 2014 (il prezzo, all’epoca, era di 2,77 Euro al metro cubo).

Ma la gestione virtuosa di Eau De Paris ha fatto di meglio: dal 1° gennaio 2010 ad oggi la città ha risparmiato oltre 35 milioni di Euro e il prezzo dell’acqua si è già abbassato fino a 1,0464 Euro al metro cubo: un prezzo inferiore alla media nazionale e molto al di sotto della media regionale dell’Ile de France, di cui fa parte Parigi. Il ritorno ad una gestione 100% “in house” ha fermato il continuo aumento delle bollette registrato nel periodo 1984-2009, cioè i 25 anni di gestione privata durante i quali il prezzo dell’acqua potabile era aumentato del 260%.

Il risparmio generato dal ritorno alla gestione pubblica proviene, da una parte, dall’assenza di remunerazione degli azionisti tipica delle società private e, dall’altra, da una gestione oculata ed ottimizzata del servizio, con costi di manutenzione della rete idrica, di fatturazione e di gestione delle utenze che, a parità di qualità, sono nettamente inferiori alla precedente gestione privata.
Un ulteriore risparmio, inoltre, è dovuto alla fiscalità, che per gli enti pubblici è più vantaggiosa rispetto al settore privato. Pertanto è stato possibile realizzare risparmi significativi, pur mantenendo alti i livelli di efficienza del servizio e, soprattutto, di qualità dell’acqua potabile.

In un dettagliato comunicato stampa, Bertrand Delanoë conferma che tutti i parigini potranno continuare a beneficiare di questa gestione virtuosa in modo diretto ed immediato, attraverso un’ulteriore riduzione del prezzo dell’acqua potabile pari all’8%. Questa decisione permetterà ad EAU DE PARIS, nel periodo compreso tra il 1° luglio 2011 e il 31 dicembre 2015, di restituire alla cittadinanza un totale di 76 milioni di Euro. Per effetto di questa riduzione, dal 1° luglio 2011 il prezzo passerà dagli attuali 1,0464 Euro a 0,9627 Euro al metro cubo, annoverando così Parigi tra le città dove il prezzo dell’acqua è uno dei più bassi della Francia. Questa riduzione di prezzo valida per tutti gli utenti, infine, si accompagnerà ad una serie di misure sociali specifiche per i cittadini più svantaggiati.
marco---
00martedì 26 giugno 2012 15:03
In Italia, invece...
Acqua: Vendola e Rodota', privatizzare significa dimenticare referendum (Fonte: asca.it - 22/06/2012)

ASCA - Roma, 22 giu - Conferenza stampa a Montecitorio di Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, e del giurista Stefano Rodota'. Argomento: far rispettare l'esito del referendum che un anno fa si e' espresso a maggioranza contro la privatizzazione dell'acqua. Vendola illustra una iniziativa specifica: "La Regione che presiedo ha fatto ricorso alla Corte costituzionale per ottenere il rispetto di quel pronunciamento popolare". Se fosse accolto - precisa - si metterebbe in discussione quella norma del decreto "salva Italia" del governo Monti che stabilisce che gli enti locali debbano privatizzare i servizi locali entro l'1 gennaio 2013.

"Siccome a presiedere la regione Puglia sono io - prosegue il governatore - che vengo definito un sognatore, non si citano mai i miei risultati come amministratore: dal 2005 tutte le societa' a partecipazione regionale sono in attivo.

Abbiamo raggiunto l'obiettivo di una maggiore distribuzione idrica e di 50 litri d'acqua al giorno gratis a utenza.

Ridurremo sensibilmente le tariffe idriche per 370 mila famiglie a basso reddito. Investiremo 120 milioni di euro nel settore".

"Si e' parlato, in occasione della nuova legge sul finanziamento pubblico, di tradimento della volonta' referendaria ricordando un pronunciamento popolare su questo tema. Ora siamo a un anno di distanza dall'esito del referendum sull'acqua. E' giusto sollevare il problema della legalita' nei confronti di quel risultato a cui contribuirono oltre 27 milioni di italiani. Non vorrei tirare la giacca al presidente Napolitano su questo argomento, ma la vicenda della non attuazione del voto referendario merita attenzione", argomenta Rodota'.

Prosegue il giurista: "Il termine bene comune e' un po' inflazionato. Per me, i beni comuni sono i diritti fondamentali di una vita che non possono stare sul mercato. I beni comuni sono tutto cio' che riguarda eguaglianza, democrazia e dignita' della persona. Nel caso dell'acqua, sarebbe interessante ripercorrerne la storia: e' stata sempre usata come strumento di governo fin dai tempi dell'antica Roma. Ora il problema e' preservarla. Non tutte le amministrazioni di centrosinistra si muovono nella direzione indicata dalla Puglia".

Monti: tre fondi per privatizzare l’Italia. Con Tremonti dicevasi svendita, ora? (Fonte: blitzquotidiano.it - di Warsamè Dini Casali - 14/06/2012)

ROMA – Tre fondi comuni pubblici, due immobiliari e uno mobiliare per valorizzare e quindi dismettere, vendere, asset, come si dice, ora appannaggio degli enti locali. In pratica non solo immobili, case, ville, caserme, grandi strutture, ma anche partecipazioni dentro l’universo delle utilities (energia, acqua, trasporti, infrastrutture) di comuni e regioni. E’ il piano del Governo per aggredire la montagna di debito pubblico che ogni anno grava come un macigno con la spesa per interessi...
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