Le cose e le idee: come conflitti di interesse ovvero l’incesto tra banchieri, periti e immobiliaristi

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marco---
00venerdì 30 novembre 2012 09:51
Ringraziando stelafe per questa segnalazione.

Le cose e le idee: come conflitti di interesse ovvero l’incesto tra banchieri, periti e immobiliaristi (Fonte: nicolaborzi.blogspot.it - 19/08/2010)

L’Italia è il Paese che ha esportato nel mondo molte cose: tra queste, sin dal medioevo, la partita doppia e le banche. In epoca più recente, per restare nel mondo del credito, abbiamo portato eminenti banchieri in gita sotto i ponti di Londra o a gustare un caffè “corretto” a Voghera, come pure talune filiali statunitensi di istituti nazionali a lavorare alacremente per finanziare vorticosi giri di vendite illegali (illegali?) di armi a ormai defunti dittatori di lontane terre babilonesi.

D’altronde, a voler mettere in fila tutti gli scandali bancari della storia italiana, ci sarebbe da spaventarsi. Solo per restare all’ultimo quinquennio si va da quello - epocale - dei “furbetti del quartierino”, raggruppati dentro e attorno all’ex Banca popolare di Lodi, poi Popolare italiana, di Gianpiero Fiorani alla storiaccia di Italease e giù giù per li rami delle minuzie sino alla vicenda (minore in senso economico ma non in senso politico) dei conflitti d’interesse del Credito cooperativo fiorentino di Denis “the menace” Verdini.

Non dev’essere sottaciuta né sminuita, in questa litania di disastri, la vicenda del gruppo Delta, il gruppo creditizio bolognese, controllato dalla Cassa di risparmio di San Marino, finito in dissesto e attualmente commissariato. Dissesto che in queste ore ha preso una piega drammatica con la messa in mobilità (appena attutita dal sostegno della sezione di emergenza del Fondo di solidarietà dei bancari) di quasi 370 dipendenti. Lavoratori che pagano, incolpevoli, il possibile dolo (ancora da verificare in sede giudiziaria) di manager e grandi azionisti ma anche la colpa certa delle autorità di Vigilanza che si sono svegliate quando ormai le fondamenta di Delta erano state erose. Custodi che, per disinteresse o per altri motivi, non hanno custodito e che difficilmente saranno chiamati a risponderne in un’aula di tribunale.

Eppure le connessioni tra i protagonisti delle vicende sanmarinesi e gli austeri uffici di via Nazionale non sono una scoperta recente. Già il primo luglio dello scorso anno, sulle colonne del «Sole 24 Ore», Lionello Mancini riportava ampi estratti degli atti d’indagine sull’affaire Delta/Cassa di risparmio di San Marino, comprese le telefonate di esponenti dell’istituto controllato che, grazie alla lunga frequentazione professionale della Banca d’Italia, erano in cerca di una “sponda” a Palazzo Koch per tentare di insabbiare i controlli avviati già nel 2007-08 o comunque gestirne “al meglio” le eventuali ricadute.

Ma non c’è solo l’intreccio tra banchieri e autorità di vigilanza, peraltro sancito dalla governance di Banca d’Italia che vede le banche controllate azioniste del loro controllore. Sono sotto gli occhi di tutti gli incesti tra banche e “debitori di riferimento”, chiamati pudicamente “parti correlate” nel lessico puritano (?) della finanza. Solo per restare alla cronaca delle ultime settimane e ai due “campioni nazionali” del credito, la stampa ha ampiamente dissertato sul ruolo di UniCredit nel “salvataggio” del gruppo Ligresti e sui problemi che hanno portato la Roma dal gruppo Sensi nelle mani dell’istituto di Piazza Cordusio, come pure sulle vicende sulla cessione dell’area ex Falck di Sesto San Giovanni e dello scandalo per la mancata bonifica nel nuovo quartiere Santa Giulia a Milano da parte delle ditte incaricate dal gruppo Risanamento (nomen non omen, per ironia della sorte), particolarmente esposto verso il sistema bancario in generale e Intesa Sanpaolo in particolare.

La costante di molte di queste vicende, che come un fiume carsico emerge e poi scompare di nuovo, è il rapporto perverso tra mondo del credito e settore immobiliare. Anche qui, si tratta di una consolidata tradizione italiota. A pochi mesi dal centocinquantenario del 2011, vale la pena di ricordare il grande scandalo bancario postunitario della Banca Romana. Un crack che fu innescato proprio dalla recessione della seconda metà degli anni 80 dell’Ottocento e dall’enorme esposizione delle banche dell’epoca col settore edilizio: nihil sub sole novi, insomma, sei si guarda ai casi odierni.

Eppure a gettare una luce sull’intrico di oggi era arrivata, a dicembre 2009, una ricerca pubblicata da Banca d’Italia nelle Questioni di economia e finanza e dal titolo eloquente: “L’andamento del mercato immobiliare italiano e i riflessi sul sistema finanziario”. L’indagine, coordinata da Fabio Panetta, ha mostrato che nei 30 mesi trascorsi dal primo trimestre del 2007 alla fine di giugno del 2009 (dunque nel periodo in cui si innescava e poi esplodeva la crisi finanziaria e la successiva recessione) i prestiti concessi dalle banche alle imprese di costruzioni sono cresciuti stabilmente a un ritmo più veloce non solo di quelli del settore immobiliare nel suo complesso (che comprendono i mutui e i finanziamenti alle società di servizi) ma anche di quello delle erogazioni complessive delle banche. A fine settembre 2009 i finanziamenti ai costruttori hanno segnato sì una contrazione, ma le banche erano ormai esposte verso le imprese edilizie per 125 miliardi, pari al 23% dei prestiti a tutto il settore immobiliare e al 7,4% del totale dei finanziamenti in circolazione (che assommavano a quasi 1.690 miliardi), Come dire che ogni 13 euro e mezzo di debito bancario dell’economia nazionale, uno era in capo ai costruttori.



Eppure la crescita degli investimenti nelle costruzioni in generale, e nel settore residenziale in particolare, è sempre stata inferiore, dal 2007 sino alla fine delle rilevazioni utili (con l’unica eccezione del secondo trimestre 2008), a quella del prodotto interno lordo. Non solo: da quando la bolla immobiliare Usa (o almeno la prima fase di essa) è scoppiata scatenando la crisi finanziaria e poi la recessione globali, la contrazione degli investimenti immobiliari e residenziali è stata ben più profonda che non il calo del Pil.



Dunque a crescere sembra essere stato più l’indebitamento delle imprese di costruzioni, che si sono rifinanziate a leva nei confronti del sistema creditizio, che non l’effettivo investimento nell’immobiliare. Oppure i signori del mattone, come nel caso dei “furbetti del quartierino”, hanno impiegato il debito bancario non per l’attività industriale core ma per altri impieghi, come le scalate e le speculazioni di Borsa. Ma perché le banche non hanno riflettuto sui rischi che una simile politica di credito avrebbe causato ai loro crediti nel medio periodo? Il motivo appare in piena luce quando si guarda ai tassi di interesse praticati al settore immobiliare: le imprese di costruzioni pagano il denaro l’80% in più di quanto questo costa alle famiglie per i mutui. In termini di conto economico, dunque, per una banca era “meglio” (almeno nel breve termine) ingozzare di liquidità un costruttore, a colpi di linee di credito da centinaia di milioni, che non finanziare la casa di mille famiglie.



Certo, risponderanno le banche: abbiamo fatto pagare più caro il denaro agli immobiliaristi proprio perché sono più rischiosi. Non a caso l’indagine di Bankitalia segnala che per tutto il triennio 2006-08 le sofferenze rettificate (cioè i crediti erogati e considerati ormai di difficile recupero) delle imprese edilizie erano cresciute molto più elevati di quelle delle famiglie, arrivando nel 2008 all’1,8% dei prestiti, il doppio del valore delle famiglie alle prese con i mutui.

Ma le sofferenze sono solo la punta dell’iceberg del credito in difficoltà: gli istituti di credito ci pensano non una ma dieci volte prima di inserire a bilancio un finanziamento alla voce sofferenze. Sarebbe molto più istruttivo conoscere le dimensioni e la velocità di crescita degli incagli, cioè dei crediti bancari non classificati ancora di difficile recupero ma a rischio di divenirlo presto. Eppure su questa classe dei crediti a rischio la ricerca di via Nazionale non offre lumi.

Per le banche è un difficile equilibrismo, insomma, tra il rischio dei crediti concessi e la loro remunerazione. A garanzia ci sono le aree e gli immobili, come nel caso dei mutui. Ma questa garanzia è legata alla valutazione che di questi asset viene data. E qui si cade nel secondo problema che impensierisce le autorità di vigilanza, alle prese non solo con l’esposizione diretta delle banche verso i costruttori. Sotto la lente finisce la figura degli esperti “indipendenti” chiamati a fissare le valutazioni delle proprietà immobiliari.

D’altronde il mondo del credito e quello edilizio si incrociano anche in un altro punto nevralgico, quello che attiene alla raccolta e alla gestione del risparmio dei cittadini attraverso i fondi immobiliari, cioè gli strumenti di investimento che puntano non sull’andamento della Borsa o delle obbligazioni ma sull’apprezzamento e rendimento degli immobili.

Non a caso, la ricerca di Banca d’Italia si dilungava su questo non marginale con uno specifico riquadro intitolato “Valutazione degli immobili e prezzi di mercato”. Gli esperti scrivevano quanto segue: «Il Testo unico della finanza accorda alla Banca d’Italia il potere di richiedere l’intervento di esperti indipendenti ai fini della valutazione dei beni non negoziati sui mercati regolamentati, come nel caso degli immobili. Il DM n. 228 del 1999 disciplina la figura dell’esperto indipendente che, oltre a dover possedere determinati requisiti, ha l’obbligo di astenersi in caso di conflitto di interessi. Il regolamento della Banca d’Italia dell’aprile del 2005 prevede che il valore corrente degli immobili detenuti dai fondi sia determinato in base alle loro caratteristiche intrinseche (qualità della costruzione, stato di conservazione, ubicazione) ed estrinseche (quale l’andamento corrente e prospettico del mercato immobiliare locale), tenendo conto della loro redditività. Gli operatori hanno a loro volta sviluppato metodologie volte a considerare gli aspetti sia quantitativi sia qualitativi nella valutazione degli immobili. Le tecniche più evolute mirano a limitare la discrezionalità delle stime. Occorre comunque sottolineare che le valutazioni degli immobili sono particolarmente sensibili a fattori idiosincratici, quali ad esempio il cambiamento delle condizioni di domanda e offerta a livello locale; nel nostro paese l’efficiente determinazione dei valori immobiliari viene peraltro ostacolata dalla scarsa disponibilità di informazioni statistiche. Gli esperti predispongono una relazione periodica di stima del valore degli immobili ed esprimono un giudizio di congruità del valore dei beni di cui si prospetta la cessione».

Il motivo di tanto interesse è presto spiegato: a fine giugno 2009 51 società di gestione del risparmio gestivano 228 fondi immobiliari operativi, di cui 28 aperti ai risparmiatori, per un patrimonio netto complessivo di 24,58 miliardi. Il problema è che le valutazioni degli immobili in patrimonio sono redatte sulla base di «stime che non sono vincolanti per le Sgr, le cui autonome valutazioni possono peraltro differire da quelle degli esperti». Il rischio (dunque, sull’altro lato della barricata, l’opportunità) di valutare l’ottone come oro è sempre in agguato. Anche perché i conflitti di interesse delle società di valutazione immobiliare sono molto difficili da prevenire: questa attività è in sostanza un oligopolio dove sono pochissimi gli operatori maggiori, di dimensioni internazionali, che si spartiscono un ricco mercato.

Proprio le valutazioni degli immobili conferiti ai fondi specializzati sono finite sotto la lente della Banca d’Italia e della Consob. In una comunicazione inviata il 29 luglio, le due autorità di vigilanza hanno spiegato di aver «condotto, lo scorso anno, un’indagine sulle prassi di valutazione dei beni dei fondi immobiliari, procedendo, in particolare, all’audizione degli esponenti aziendali di un significativo campione di Sgr che gestiscono fondi immobiliari. L’indagine ha messo in luce alcune criticità di tali prassi, che dipendono principalmente dall’incompletezza delle politiche, regole e procedure adottate dalle Sgr in merito ai seguenti profili: scelta degli esperti indipendenti e determinazione dei compensi; cautele per identificare e gestire situazioni di conflitto di interessi, potenzialmente derivanti, in particolare, dall’affidamento agli esperti indipendenti di incarichi ulteriori e non strettamente correlati a quello di valutazione; modalità di coordinamento e flussi informativi e documentali tra le Sgr e gli esperti indipendenti; specificazione dei ruoli e delle responsabilità dei singoli organi e funzioni aziendali delle Sgr (in specie, in relazione alla verifica della correttezza dei dati e delle informazioni contenute nelle relazioni di stima degli esperti indipendenti nonché circa la coerenza delle valutazioni di questi ultimi con il valore corrente degli immobili oggetto di valutazione; previsione contrattuale delle informazioni minimali che debbono essere fornite dagli esperti indipendenti nelle relazioni di stima, con riguardo alle attività svolte, alle motivazioni sottese all’impiego di una determinata metodologia di valutazione, ai parametri, alle ipotesi e ai rischi considerati».

Ora le maglie si stringeranno: «Per superare tali aspetti critici è necessario che le Sgr si dotino, coerentemente con la disciplina del sistema organizzativo contenuta nel Regolamento congiunto della Banca d’Italia e della Consob del 29 ottobre 2007, di adeguati processi di valutazione dei beni immobili, assicurando in particolare che: gli esperti siano dotati di adeguata capacità professionale e assicurino oggettività e indipendenza rispetto sia alla Sgr sia ai partecipanti ai fondi; siano definiti con precisione: i compiti della società di gestione e degli esperti indipendenti; gli scambi informativi tra i due soggetti; i controlli condotti dalle società di gestione sull’adeguatezza delle valutazioni effettuate dagli esperti».

Per fare ciò Banca d’Italia e la Consob hanno fornito «linee applicative di carattere generale in materia di processo di valutazione dei beni immobili dei fondi comuni di investimento. Si invitano le società di gestione del risparmio autorizzate alla istituzione e gestione di fondi immobiliari ad adeguarsi alle presenti linee applicative entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della presente comunicazione. Le Sgr comunicano tempestivamente alla Banca d’Italia e alla Consob l’adozione delle misure deliberate per adeguarsi alle linee applicative».

Basteranno le nuove regole per risolvere il nodo gordiano di esperti valutatori “indipendenti”, ancorché scelti, nominati e pagati dalle Sgr per effettuare perizie dal cui valore dipendono gli affari delle Sgr? Ci permettiamo di dubitarne, sino a prova contraria. È proprio quando si parla con maggiore insistenza di indipendenza, quando ci si richiama austeramente alla terzietà, che sentiamo più puzza di bruciato. Qualcuno, anni fa, ci insegnò che il conflitto di interessi non è altro se non l’arteria che alimenta il capitalismo globale.

Nei secoli, nel nostro Paese del gattopardi, il crony capitalism, il capitalismo dei compari, è sempre stato non l’eccezione ma la regola, anzi il Decalogo della finanza. Tra compari non hanno importanza le ricadute delle operazioni finanziarie sulla massa dei risparmiatori (qualcuno ricorda la cinica espressione “parco buoi”?) quanto i favori che ci si scambia. Strumenti di potere, questi, che non vengono trattati in Borsa, che non sono trasparenti né hanno quotazioni pubbliche, ma che rappresentano valori certi da portare all’incasso al momento opportuno…
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