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L’Europa vara il fiscal compact: ancora sacrifici per gli italiani? (Fonte: levanteonline.net - 09/02/2012)

Se ne era già parlato al Consiglio europeo dell’ 8 e 9 dicembre scorso a Nizza. Allora la notizia era stata la clamorosa (ma non troppo) decisione del governo britannico di David Cameron di non aderirvi. Il Fiscal Compact è quel piano definitivamente varato dai Presidenti europei lunedì scorso che introduce nuove regole per la tenuta dei bilanci per i singoli stati membri dell’Unione.

Regole impostate ancora sull’austerità e sul rigore, proprio come espressamente richiesto dalla Germania. In particolare si prevede che i paesi con un rapporto debito/pil superiore al 60 percento, debbano ridurre il proprio stock di debito per un ammontare del tre percento della parte eccedente il 60. Ancora: il disavanzo di bilancio, in pratica ciò che un paese spende più di quanto incassa, non deve superare lo 0.5 percento annuo. Tale principio, sostanzialmente rivolto al pareggio di bilancio, dovrà addirittura essere inserito nella Costituzione dei paesi che hanno firmato l’accordo.

Per l’Italia, che ha un rapporto debito/pil del 120percento, si tratterebbe concretamente di un obbligo di ridurre il debito pubblico di circa 40 miliardi l’anno, un’enormità se si considera che la Manovra di Natale del governo Monti, pur comprensiva di molteplici tagli e nuove imposte, ammontava a circa trenta miliardi. Si ci chiede, peraltro sensatamente, dove nei prossimi anni i governi taglieranno una cifra tanto considerevole di spesa pubblica. Certo, il nostro premier è riuscito ad ottenere dal Consiglio Europeo un piccolo risultato: sono infatti state previste delle attenuanti per quei paesi che mostreranno di varare importanti riforme strutturali.

Forse è per questo che Mario Monti ha avuto tanta fretta nell’approvare le riforme delle pensioni e si muove tanto celermente ora per cambiare le regole del mercato del lavoro. Ma, purtroppo, di queste attenuanti, non è stata ancora chiarita la natura.

L’unico auspicio possibile è una ripresa della nostra economia. Se il Pil aumenterà di qualche punto, il rapporto col debito calerà, e l’importo da ridurre diminuirà a sua volta. Ma è difficile che ciò possa avvenire se si continua a tagliare la spesa pubblica.

Una delle strade che più probabilmente si perseguirà in futuro è quella della dismissione del patrimonio statale. Si tratta della vendita di numerosi immobili, talvolta abbandonati e di partecipazioni in imprese anche di grosse dimensioni. Si spera più che altro, che se questa strada sarà scelta, non si ricorra a svendite, come pure in passato è accaduto per qualche pur importante gioiello di famiglia.

A livello europeo rimangono però aperte alcune crepe e diverse contraddizioni, anche forti, all’interno delle istituzioni comunitarie. Va innanzitutto precisato che è stata proprio la Germania ad imporre il piano in cambio di un immediato sblocco del Fondo Salva Stati, forse operativo già da questa primavera. Una Germania che intanto, negli ultimi anni, ha aumentato il suo export anche a danno di quei paesi del Sud Europa che oggi risentono della crisi e che sono chiamati a nuovi sacrifici.

Inoltre, a firmare l’accordo, non c’erano solo i paesi dell’area euro, ma anche quelli che fanno parte solo dell’unione politica. Ecco che, proprio oggi quanto mai prima, sembra davvero insensato che al tavolo delle decisioni dell’euro, siedano anche paesi che si stanno sicuramente giovando del suo apprezzamento, e che quindi non possono che accogliere favorevolmente ricette come quella tedesca.

Ma l’elemento più grave è forse che l’Unione Europea sia ancora troppo interessata alle politiche di bilancio, alla contabilità, tanto da arrivare a trascurare così fortemente i temi della crescita e dello sviluppo. Manca su questo terreno una strategia forte e condivisa.
[Modificato da marco--- 02/03/2012 10:07]