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bolla globale e rischio sistemico

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    laplace77
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    Sabato 28 Aprile 2007, 17:35

    JC&Associati: Strategie equity: aumenta il rischio sistemico sul mercato

    Intervento a cura di JC&Associati


    Premessa

    Il processo di globalizzazione in atto, ha offerto una straordinaria occasione di migliorare le condizione economiche in diverse aree geografiche. In un contesto di innovazione tecnologica, si è avuta la possibilità di reperire lavoro a buon mercato.

    Fattori che tra l'altro hanno permesso di crescere e aumentare la produttività, mantengo l'inflazione sotto controllo.

    La crescita di alcuni paesi emergenti (Cina e India in particolare) sembra tuttavia essere sfuggita di mano anche ai loro attenti e capaci policy makers, contribuendo alla creazione di alcuni squilibri che se non attenuati in tempo, potrebbero costringere la congiuntura e, conseguentemente i mercati finanziari, ad un atterraggio più duro di quanto auspicabile.

    La liquidità presente sul mercato, amplificata da strumenti finanziari innovativi, rischia infatti da un lato di creare una nuova forma di inflazione, dall'altra di rendere sempre più opinabile il valore delle attività reali, oramai per certi versi completamente sostituibili con attività finanziarie.

    Chi scrive, dal 2003 è sempre stato positivo sugli indici azionari, in seguito alla crescita economica (e degli utili societari) e al processo di ristrutturazione in corso a livello aziendale.

    Inoltre ha sempre creduto nell'efficienza dei mercati (almeno a medio termine), ovvero nella capacità di riaggiustare automaticamente e in modo non traumatico eventuali squilibri che si fossero venuti a creare nelle diverse fasi di mercato.

    Recentemente tuttavia, nel momento in cui anche l'asset class azionaria risulta sovrapprezzata al pari di altre asset class, cominciano a sorgere seri dubbi sulla capacità del sistema di reggere una situazione in cui il valore di quasi tutte le attività finanziarie sembra moltiplicarsi.

    Cominciano cioè a nostro avviso a mancare, fatta eccezione per le obbligazioni governative, asset class in grado di assorbire l'attuale squilibrio.

    Come dire che sta diventando sempre più concreto il rischio che la maggior parte delle asset class sia direttamente correlata, obbligando gli investitori, nel momento in cui dovessero liquidare (magari forzosamente) da un lato, a liquidare anche su altre asset class in passato decorrelate.

    Il dubbio è se si sta quindi creando una bolla speculativa globale. E' cioè reale un rischio sistemico?

    Cerchiamo di valutare le possibilità che uno scenario così negativo, possa effettivamente realizzarsi.


    Squilibri globali

    La maggiore parte delle asset class su livelli molto elevati, è una situazione in passato assai poco frequente sui mercati.

    Ciò vuole infatti dire che il capitale non solo non è più una risorsa rara, ma che paradossalmente vale sempre meno.

    Ma allora questo vorrebbe dire o che stiamo per essere investiti da un'inflazione molto elevata, o che le asset class più care rispetto alla media storica, sono destinate a rientrare su valori di equilibrio.

    Il problema è che quando si verificano questi fenomeni di aggiustamento, sono sempre violenti e mai indolori.

    Non per altro un mercato che scende è più violento (la volatilità tende infatti ad aumentare) rispetto ad uno che sale e, soprattutto a fronte di prezzi che cadono rapidamente si tende a perdere lucidità.

    Una situazione in cui il mercato immobiliare, le materie prime, l'azionario e le obbligazioni societarie ed emergenti sono su valori massimi, ci sembra infatti una vera e propria anomalia. Giustificata solamente da un eccesso di liquidità nel sistema, che le Banche Centrali stanno invano cercando di fare rientrare, senza portare la congiuntura in recessione.

    Si ha cioè la sensazione di stare ad una grande festa, in cui tutti mangiano senza mai smettere. Ad un certo punto, dopo avere mangiato troppo, arriva il mal di pancia. Lì converrebbe fermarsi.

    Ma avidamente si continua a mangiare e si combatte il mal di pancia con degli Alka Seltzer o prodotti similari. Il risultato, continuando con siffatto comportamento, rischia di essere un'ulcera perforante e quindi un buco nello stomaco.

    Questo è un esempio paradossale di cosa succede a continuare ad alimentare trends rialzisti su asset class oramai già da tempo correttamente prezzate, non considerando che un aggiustamento dei prezzi oltre che fisiologico, sarebbe anche salutare.

    Sul grafico diviso per semestri, possiamo vedere la performance di alcune asset class dal 2003. Si va dal 217% delle società attive nel Real Estate dell'area euro, al 145% del Dax, ad un misero 34% del CRB, ridimensionato negli ultimi 12 mesi.

    Nel contempo i bonds societari ed emergenti hanno ridotto lo spread verso le analoghe obbligazioni governative ai minimi di tutti i tempi, evidenziando come gli investitori siano disposti a prendere rischi che in tutti i cicli precedenti non hanno mai accettato di prendere.


    Il primo squilibrio a nostro avviso da sottolineare è il rischio inflazione.

    La produttività negli Stati Uniti sta cominciando a calare, a causa di un rallentamento della crescita del fatturato da un lato e, di maggiori pressioni salariali dall'altro.

    L'inflazione da salari è perciò, per quanto sotto controllo, almeno da monitorare.

    Poi vi sono le materie prime su livelli molto elevati.

    In taluni casi non siamo lontani dalla bolla speculativa, pensiamo al rame (di cui la crosta terrestre è piena) o al corn, al momento acquistato per ragioni alimentari e per la produzione di etanolo.

    Statisticamente, a differenza di quanto si possa pensare, non sono i metalli o le materie prime energetiche a causare inflazione, bensì soprattutto il rialzo di quelle alimentari.

    I livelli di prezzo attuali impattano perciò sui costi di produzione da un lato (PPI Index in probabile peggioramento) e, sui prodotti alimentari di base, in modo assai percepibile dal consumatore.

    Un simile scenario non permetterebbe quindi alle Banche Centrali di abbassare i tassi al manifestarsi di una minore crescita, non permettendo quindi al mercato immobiliare, attualmente in difficoltà, di riprendere la crescita.

    E come è successo nei precedenti cicli negativi del real estate, estendersi anche ad altre aree geografiche.

    Il tempo di vendita di un'unità immobiliare sta infatti aumentando anche in Europa. E in Cina le Autorità stanno inserendo misure drastiche per frenare la salita dei prezzi.

    Un mercato immobiliare debole ha due impatti negativi immediati.

    Da un lato comprime i consumi perché tende a minare, soprattutto in aree geografiche dove le famiglie sono molto indebitate, la fiducia dei consumatori.

    Dall'altro vi è il rischio che il sistema bancario, con un attivo di bilancio la cui qualità è in via di peggioramento, possa cominciare a restringere le condizioni per il credito, con un impatto negativo per investitori a leva, società indebitate e consumatori poco solvibili.

    In questo scenario in cui gli Stati uniti sembrano rallentare e perdere colpi, non possiamo non parlare del surriscaldamento di India e Cina. I cui tassi di interesse saranno a breve alzati rispettivamente all'8 e al 6%.

    Entrambi i paesi sono a nostro avviso in bolla speculativa su diverse asset class e un eventuale scoppio, come ha dimostrato lo scorso 28 febbraio, coinvolgerebbe altri mercati azionari e altre asset class.

    Un altro squilibrio a nostro avviso sempre meno controllabile riguarda la forza dell'euro e la debolezza dello yen.

    Tale tasso di cambio che coinvolge dollaro e franco svizzero, anch'esse valute assai deboli, rischia di impattare negativamente sulla crescita europea, ripartita dopo anni di stagnazione.

    Le valute deboli vengono utilizzate come abbiamo più volte sottolineato per alimentare il carry trade (vendita di attività a basso rendimento per acquistare simultaneamente rendimenti più elevati), che di fatto eleva sempre di più la propensione al rischio del mercato.

    Infine sottolineiamo un altro aspetto preoccupante, dato da un utilizzo sempre più estremo della leva finanziaria.

    Il proliferare di nuovi strumenti da un lato e nuovi attori dall'altro (Hedge Funds, Private Equity rende questo problema sempre più complesso e, quindi il mercato più vulnerabile. In quanto una improvvisa riduzione del carry trade, magari obbligata da un fattore esogeno, potrebbe causare crolli improvvisi sulle asset class maggiormente speculative (e in controtendenza un riacquisto di quelle utilizzate come short).


    Earning season USA 1Q 2007



    In questo scenario aumentano a nostro avviso la vulnerabilità e i rischi per gli indici azionari.

    Gli indici infatti a differenza degli anni precedenti, sono in piena fase di espansione dei multipli (cioè salgono più che in proporzione agli utili aziendali), comportamento abbastanza tipico di una congiuntura economica giunta al picco del ciclo.

    Gli ottimisti giustificano tale price-action anche con una stagione degli utili del primo trimestre negli USA superiore alle aspettative.

    Tale stagione è infatti cominciata nel migliore dei modi, con le sorprese positive nettamente maggiori di quelle negative (indistintamente tutti i settori in media stanno riportando meglio delle stime).

    Due elementi a nostro avviso da sottolineare:

    1. qualsiasi risultato aziendale non giustifica rialzi simili (15% del Dax in poco più di un mese e 18 sedute su 20 positive per il Dow Jones (notizie) ) in un arco temporale così ristretto.
    2. Stiamo attenti a valutare bene la earning season statunitense. Le aziende infatti beneficiano di un dollaro molto debole e tutti i redditi in valuta estera aumentano gli utili (la differenza rispetto al primo quarto del 2006 è molto elevata). Andrebbero prima divisi i settori che hanno attività e fatturato estero da quelli che operano solo localmente. E soprattutto bisognerebbe ricalcolare gli utili depurandoli dall'effetto cambio.

    L'ottimismo andrebbe perciò stemperato perché come vedremo al contrario, le società europee soffriranno un effetto cambio negativo.


    Un altro elemento di ottimismo riguarda il processo di fusioni e acquisizioni, inizialmente caratterizzato dai fondi di Private Equity, poi esploso anche a livello industriale. In alcuni giornate vi sono stati anche numerosi annunci di operazioni per un controvalore superiore al miliardo di dollari.

    Questa attività frenetica genera tre tipi di problemi:

    1)Non sempre le fusioni o le acquisizioni creano valore. Spesso lo distruggono. Soprattutto fusioni tra società di aree geografiche diverse possono creare problemi di governance.

    2)Dopo anni in cui le società hanno ridotto l'indebitamento, in questa fase lo stanno riaumentando (tra l'altro in uno scenario di tassi al rialzo).

    3)Le società di Private Equity prima o poi dovranno rivendere gli asset acquistati. Dati i multipli di acquisizione sovente elevati, sarà facile trovare un compratore?


    In sostanza la nostra view riguardo gli indici azionari, diventa sempre più cauta e preoccupata, progressivamente con la continuazione del trend in corso.

    Come dire che a fronte dell'esplosione degli squilibri di una asset class, un conto è dover resistere con valutazioni estremamente allettanti, un altro conto è avere valutazioni che una parte del mercato ritiene poco sostenibili.

    Il rischio degli indici azionari di venire travolti, aumenterebbe infatti in modo considerevole.




    ma che bell'aria che tira...
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    laplace77
    Post: 8.844
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    00 28/11/2007 10:40
    SALVATAGGIO !!!

    come dicevo, ai "big" (e gli SWF sono UNA PARTE dei "big") non converrebbe una crisi globale mortale totale...


    Notizia del: 28/11/07 08:32:21 - Fonte: Spystocks

    Rimasti silenti per 50 ani, ora i fondi sovrani - i sovereign wealth fund, come li chiamano a Wall Street - hanno iniziato a giocare la loro partita negli equilibri della finanza mondiale, come dimostra l'ultimo investimento da 7,5 miliardi di dollari di Ubi Dhabi in Citigroup.

    Oggi una ventina di Paesi hanno il loro fondo sovrano con stessi comuni denominatori: sono paesi produttori di petrolio che investono il surplus pubblico in attività che facciano fruttare tale liquidità in vista di possibili periodi di magra.

    Il più grande è proprio quello di Abu Dhabi con 900 miliardi di dollari di patrimonio ed entro il 2012, secondo le stime del Fmi, la potenza di fuoco di questi fondi sovrani potrebbe superare i 12 mila miliardi di dollari, pari al pil statunitense.



    magari una bella ridimensionata agli USA (e all'Europa) si, quella si fara': per investire nei BRIC dobbiamo far sprecare meno risorse all'occidente, altrimenti sballa tutto...

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