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E’ all’orizzonte lo scoppio della bolla immobiliare cinese (Fonte: emanuelamelchiorre.wordpress.com - 15/03/2012)

L’anno del ricambio elettorale planetario, la contrazione della domanda mondiale e il rallentamento dell’economia cinese

Crisi dei debiti sovrani e dalle turbolenze della Primavera araba. Prosegue, senza che se ne scorga ancora la fine, quel processo di instabilità politica ed economica mondiale, il cui inizio risale al 2007, anno dello scoppio della bolla speculativa immobiliare americana e dei titoli subprime.

Il corrente anno 2012 non dà sufficienti motivi di rasserenamento. Le sfide ancora aperte e le nuove che si prospettano all’orizzonte richiederebbero quantomeno una leadership mondiale collaudata e all’altezza della situazione.

La sorte vuole che invece sia un anno contrassegnato da un ricambio generalizzato della classe politica, vista la lunga serie di appuntamenti elettorali, che è destinata a sconvolgere la carta geopolitica del pianeta (v. Planisfero).



Più degli altri, tre colossi geopolitici mondiali alla fine dell’anno avranno attuato un ricambio elettorale generalizzato. La Russia ha appena ieri assistito al ritorno scontato di Putin al Cremlino. La Francia attende le elezioni di aprile, con un Sarkozy indebolito nell’opinione pubblica. Gli Stati Uniti mostrano forti dubbi sulla rielezione di Obama a giugno ed hanno già iniziato le primarie, via obbligata per scegliere i candidati in corsa alla Casa Bianca.

Un altro paese strategico da un punto di vista geopolitico, la Cina, non conoscerà elezioni, in quanto non è una democrazia, ma si appresta ad un ricambio dei vertici del Partito. All’ormai prossimo XVIII Congresso del partito, sarà Xi Jinping a succedere al presidente Hu Jintao. La rotazione dei vertici è pianificata e determinerà anche quella dell’intera struttura del potere in Cina. La nuova generazione di leader, sembra essere orientata al pragmatismo, molto più di quella uscente. Incline come la precedente all’internazionalizzazione, propende a sua volta alla riduzione delle disuguaglianze interne, in piena discontinuità con i leader uscenti.

Il più grave dei problemi che si presenteranno riguarda senz’altro il mondo cinese, che conviene esaminare con particolare attenzione.

Alla base del nuovo orientamento della dirigenza è la considerazione che la popolazione cinese, la più numerosa del pianeta, presenta una disomogeneità notevole di qualità della vita tra la costa e l’entroterra delle campagne. E questa disomogeneità non potrà durare a lungo, se non a costo di reazioni violente. I primi segnali che qualcosa stia cambiando nelle coscienze dei cinesi sono già evidenti. È stato oggetto di cronaca e poi di riflessioni attente dei politologi specializzati nelle aree asiatiche il cosiddetto “modello Wukan”, dal nome del piccolo paese della campagna cinese che ha dato prova di resistere alle tradizionali pressioni politiche dei leader del villaggio. In migliaia, infatti, si sono recati alle urne per eleggere un nuovo comitato direttivo. Il voto è stato il frutto di una lotta durata mesi dei contadini del villaggio contro la corruzione dei funzionari locali del partito, in seguito allontanati. L’esempio del piccolo villaggio cinese sembra si stia diffondendo come un tam tam nella foresta della rete internet e dei blog clandestini e stia diventano un vero e proprio fenomeno sociale cinese. Una rivolta simile a quella avvenuta a Wukan è scoppiata prima di Natale ad Haimen, sempre nella ricca provincia del Guandong, dove migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’espropriazione forzata di terreni operata dal governo per costruire una centrale energetica a carbone “eco-compatibile”.

La nuova generazione di leader del partito comunista cinese dovrà quindi fare i conti con tensioni sociali che rischiano di dilagare e deflagrare. Poiché, come in pochi sostengono, nonostante il governo cinese abbia speso oltre 560 miliardi di euro per fronteggiare la crisi economica e aiutare le imprese statali, che in Cina sono la maggioranza (pari al 70% del totale), l’enorme sforzo finanziario non ha sortito gli effetti sperati. Le aziende dello Stato sono ancora gravate da decine di migliaia di miliardi di yuan di debiti. L’inflazione, secondo studi indipendenti, è a due cifre, mentre i numeri ufficiali parlano di appena il 6%. Il tasso di crescita del gigante asiatico che nell’ultimo trimestre è stato del 9,1%, subirà probabilmente una forte contrazione, le stime ufficiali del PCC prevedono infatti il 7,5% nel 2012. La bilancia commerciale cinese nei primi due mesi di quest’anno ha registrato un passivo di 4,2 miliardi di dollari. E’ qualcosa di assolutamente sorprendente, non si vedeva addirittura dagli anni Ottanta.

Un calo della domanda dei Paesi europei non ha come unico effetto negativo una flessione delle esportazioni per le economie asiatiche, tipicamente export-oriented, ma dell’economia mondiale in genere. Con una riduzione degli scambi commerciali, le aziende esportatrici vedono ridimensionarsi i propri fatturati. Il fenomeno è importante soprattutto per la Cina, dove le esportazioni pesano per circa i 2/3 del PIL e dove le banche hanno sostenuto la crescita cinese tramite una rapida espansione del credito, il cui tasso di crescita è stato pari al 31,7% nel 2009 e al 20% nel 2010 (dati SACE).

L’attività manifatturiera in Cina è in calo, la banca Hsbc ha calcolato che l’indicatore Pmi di novembre ha raggiunto quota 48 (in diminuzione rispetto al 51 di ottobre). Il terziario, sempre secondo la Hsbc, è sceso invece a 57 punti da 61. L’indicatore elaborato dalla Hongkong and Shanghai Banking Corporation prevede che quando la quota scende sotto i 50 punti, l’economia sia da considerare in contrazione.

C’è invece chi parla già di stagnazione per la Cina, anche se si tratta di un’espressione esagerata o quanto meno prematura. Per poter parlare di stagnazione o, a maggior ragione, di recessione occorre almeno attendere che scoppi la bolla immobiliare che ha caratterizzato l’economia cinese in questi anni. Secondo il Fondo monetario internazionale, essa è in procinto di scoppiare.

Il meccanismo di rigonfiamento della bolla cinese, come è avvenuto anche in Spagna si è innescato su di una scala enormemente più grande attraverso il sostegno pubblico alle aziende in procinto di fallire. Per non far perdere il lavoro a migliaia di persone, infatti, il governo, attraverso le banche, ha prestato denaro alle aziende fallimentari, che hanno costruito case e appartamenti anche in mancanza di compratori. Come per tutti i dati dell’economia del paese, le dichiarazioni ufficiali non sono attendibili. Anzi in questo caso non esistono affatto. Occorre quindi fare riferimento a stime indipendenti, che dicono che circa il 50 per cento degli immobili in costruzione sono rimasti invenduti. Questo significa che esistono delle vere e proprie città fantasma, divenute addirittura famose. Si parla di 64 milioni di appartamenti costruiti e tirati a lucido, manutenuti quotidianamente, in attesa di compratori, ma che restano totalmente disabitati, perché il prezzo di acquisto è esorbitante rispetto a qualsiasi stipendio di un cinese. Situazione simile la si trova anche nella periferia di Shanghai, a Pechino e a Xi’an dove si vedono centinaia di grattacieli in costruzione di cui nessuno ha bisogno.

Crepe evidenti nel sistema di rigonfiamento della bolla si sono manifestate già nel settore. Dopo aver permesso che i prezzi delle case crescessero smoderatamente, il governo li ha fatti crollare. In particolare, secondo i dati SACE, tra il 2006 e il 2010 i prezzi degli immobili si sono quasi triplicati, principalmente nei maggiori centri urbani dislocati sulla costa, mentre dall’inizio del 2011 le quotazioni di società immobiliari sul listino di Hong Kong hanno perso il 40% del proprio valore.

Le restrizioni imposte dalle autorità al mercato del credito, inoltre, e il calo del 39% delle transazioni immobiliari registrato ad ottobre 2011 nelle maggiori 15 città cinesi, hanno fatto crescere la paura di un crollo del mercato immobiliare. Allo stesso tempo, le aziende immobiliari hanno utilizzato l’emissione di bond per finanziarsi (sono stati emessi bond per $ 19 miliardi), i cui rendimenti effettivi superano oggi il 20%. Tuttavia, le recenti difficoltà da parte delle società costruttrici a ottenere nuovi finanziamenti e a ripagare gli enormi debiti per tale via contratti, unite al calo della domanda, fanno temere insolvenze che potrebbero avere un impatto sulle banche.

Prezzi e mutui immobiliari in Cina



Fonte: CEIC, FMI

È infatti significativa l’esposizione del settore bancario verso il real estate ed è concreto il rischio di un “effetto domino” in tutto il sistema creditizio cinese. Il FMI stima che i prestiti legati al settore del real estate rappresentino il 20% del totale dei prestiti concessi dal sistema bancario cinese. Un calo considerevole dei flussi commerciali verso l’Europa potrebbe causare difficoltà, da parte di aziende esportatrici, a onorare i debiti contratti verso le banche. In caso di default le banche tenderanno a rivalersi sulle garanzie sottostanti che, nel 90% dei casi, sono rappresentate da proprietà immobiliari.

Un rallentamento dell’economia del paese sembra essere alle porte, specie se il resto del mondo resterà lungo la via di un ristagno pressoché generalizzato. Resta da vedere se i nuovi vertici del partito comunista, e quelli del sistema amministrativo cinese, siano in grado di adattarsi al cambiamento profondo del tessuto sociale della Repubblica Popolare, in gran parte stimolato proprio dai successi economici degli ultimi anni, o se preferiranno percorrere la tradizionale via perversa di una stretta repressiva.
[Modificato da marco--- 18/03/2012 10:36]