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Bolla immobiliare - 4° Parte

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2007 11:16
12/10/2007 14:20
 
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Non si vede ancora la luce in fondo al tunnel
di Charlie Minter - 12/10/2007

Il recente rialzo di borsa si basa su una serie di assunzioni a dir poco dubbie, e che probabilmente saranno spazzate via. I rialzisti argomentano che la crisi creditizia è alle spalle, che un atterraggio brusco dell’economia è fuori discussione, che la Fed continuerà a tagliare e che il mercato è ben valutato, se non proprio a buon mercato.

A mio avviso è tutt’altro che provato che la crisi del mercato del credito è conclusa. Se da un lato è vero che le tensioni si sono attenuate e che non si registrano più fallimenti ogni giorno, è ancora improbabile che i mercati possano tornare al punto di partenza. La fiducia fra finanziatori e finanziati rimane bassa mentre i nuovi massii sul tasso interbancario dell’area Euro indica che la liquidità non è ancora tornata. Nel lungo periodo, il processo di ridurre il debito e riparare i bilanci aziendali è ancora all’inizio. Inoltre, non sarei tanto sicuro come molti analisti che le società finanziarie abbiano messo a posto le cose a livello contabile per il corrente trimestre. E’ troppo vivo il ricordo dello scoppio della bolla delle “dot-com”, quando le società tecnologiche attuarono ripetute svalutazioni nonostante ogni volta si credeva che avessero terminato. In aggiunta il settore immobiliare probabilmente riporterà dati atroci nei prossimi mesi [SM=j7568] , e può andare incontro a nuove crisi. Da evidenziare come le persone che rilevano che la crisi è finita, sono le stesse che tempo addietro hanno negato che esistesse.

Ed è ancora improbabile che i tagli della Fed impediscano un atterraggio duro. Un’attenta lettura delle minute della Fed relative all’ultimo FOMC evidenzia che la banca centrale è piuttosto negativa sull’economia. Lo staff ha rivisto al ribasso la crescita sia per il quarto trimestre che per tutto il 2008, affermando che la spesa per consumi sarà impattata da una minore ricchezza immobiliare, una crescita in rallentamento dell’occupazione e una minore fiducia dei consumatori. E hanno pronosticato un ridimensionamento della spesa in conto capitale.

Riconoscendo il potenziale di effetti trascinamento, aggiungono che il calo del settore immobiliare inciderà sui consumi e a ruota sull’occupazione e sul reddito, riducendo ulteriormente la domanda di nuove abitazioni. Per quanto concerne la spesa in conto capitale, rilevano come in diverse aree del paese i responsabili aziendali si siano mostrati più cauti e stiano rimandando i piani di investimento. Viste queste impressioni non certo benevole del FOMC non sorprende che abbiano deciso di tagliare il tasso di 50 punti base solo sei settimane dopo aver visto l’inflazione come il rischio più consistente.

Sebbene il linguaggio adottato nelle minute del FOMC sia tradizionalmente cauto, ed emergano sempre voci contrastanti, sembrano esserci pochi dubbi circa il fatto che la Fed sia preoccupata, e a buon motivo. Le insolvenze a settembre sono raddoppiate rispetto ad un anno fa, e non si vede la luce in fondo al tunnel. Ciò porterà ad un ancora maggiore offerta di abitazioni sul mercato, con ulteriori pressioni sulle quotazioni. Il Wall Street Journal di ieri dimostra che i mutui subprime sono ancor più diffusi di quanto si pensasse, sia in termini geografici che di prezzo. I subprime assieme agli Alt-A rappresentano circa il 40% dei mutui stipulati nel 2006, e questa domanda di abitazioni è ora rimossa dal mercato. Al di là degli effetti diretti sul settore immobiliare, non dimentichiamo quelli indiretti sui settori connessi: cemento, legno, attrezzature edili, costruzione di scuole, strade e centri commerciali. Un recente rapporto mostra che la spesa per consumi sta calando, mentre gli ordini di beni durevoli sono in calo del 2.2% rispetto al 2006.

n conclusione, sebbene a sentire quanto dicono in TV c’è la diffusa convinzione che la Fed abbia un tocco magico che possa curare tutto, così purtroppo non è. Il 3 gennaio 2001, quando tagliò i tassi a sorpresa di 50 punti base, lo S&P500 salì del 5% in quella seduta e del 7.8% alla fine del mese. L’indice è poi precipitato del 44% nei 21 mesi successivi e la recessione ha continuato per dieci mesi dopo il primo taglio. Sebbene il mercato appaia equamente valutato in termini di utili prospettici che alla fine non saranno mai realizzati, lo S&P500 quota pur sempre a 23 volte gli utili riportati, su livelli superiori a qualsiasi epoca che non sia quella della bolla di fine anni ’90. Per come la vedo io ne’ l’economia ne’ la borsa sono uscite dal tunnel.
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