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Edilizia shock

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2012 10:00
30/11/2010 11:49
 
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26 NOVEMBRE 2010 – L’URBANISTICA DI GUERRA

Italia, l’urbanistica del 2010 è nei fatti di cronaca nera!

Il futuro delle città italiane e il nuovo paesaggio italiano
da un nuovo ambientalismo e dalla difesa del territorio


URBANISTICA | ULTIMISSIME PIÙ CHE DI URBANISTICA DI CRONACA GRIGIA E NERA – Non ci sono novità, ma certo non vale l’affermazione “niente nuove buone nuove”. Credo che per questo 2010 sia sufficiente il disastro, più che generato dovremmo parlare di annunciato, della Scia, una nuova norma edilizio-urbanistica che ha creato per ora solo caos e il rifiuto di applicazione per molte Regioni italiane. Credo che basti il flop clamoroso del Piano casa nazionale, che a distanza di più un anno non ha generato neanche un euro per l’Industria delle Costruzioni, che si appresta a scendere in piazza con tutta la filiera edilizia. Credo che possa bastare lo scandalo delle “case fantasma” che ci condurrà alla loro regolarizzazione attraverso l’ennesimo condono edilizio. Per non parlare del caos generato dal Federalismo demaniale che dovrebbe portare al decentramento del patrimonio dello Stato ai Comuni italiani che non sanno che fare. Come possiamo dimenticare gli accidenti “naturali” come gli smottamenti di Afragola costruita sul nulla, l’edilizia fai-da-te sulla “ricostruzione” post-terremoto de L’Aquila, i pozzi neri di Santa Giulia a Milano, il sistema padano made in n’drangheta, la cancellazione di quasi 53 milioni di metri quadrati di aree agricole per le grandi opere previste sul territorio lombardo, la catastrofica alluvione del Nord-Est difficile da spacciare per naturale e l’assassinio di Angelo Vassallo, il sindaco del comune di Pollina che voleva difendere il suo territorio, il parco del Cilento, dalle infiltrazioni mafiose interessate a dettare legge sui piani edilizi della zona. Ci fermiamo qua, ma le cronache del 2010 ci racconterebbero altri fatti di un’urbanistica di guerra.

COME SARÀ IL FUTURO DELLE CITTÀ – Le “manovre” del governo che, in nome del federalismo, hanno messo di fatto in ginocchio le Regioni e senza affrontare i nodi della corruzione dell’evasione fiscale, taglia selvaggiamente sanità, ricerca, scuola e stanno facendo un’altra vittima: il nostro paesaggio. Un’ecatombe annunciata che prevede una forma aggressiva di silenzio-assenso sulle autorizzazioni paesaggistiche, annullando di fatto le garanzie dei codici dei beni culturali. Perché da Milano a Roma ogni città è piena di punti morti: immobili, edifici malati, aree fantasma degradate che le sfigurano. Le città sono finora esplose rubando spazio alla campagna e ai comuni vicini, dando vita a una conurbazione continua. Invece di farle esplodere, queste città, dovremmo cercare di farle implodere, perché la crescita non può essere infinita. Insomma, invece di continuare a farle esplodere, dovremmo invece completare il tessuto delle città. L’idea della “crescita sostenibile”, attraverso la quale i relitti urbani possono trasformarsi in città è la grande scommessa per i prossimi cinquant’anni.

LA SCOMMESSA SOSTENIBILE – Le città si stanno trasformando in invivibili agglomerati di cemento senza forma né virtù. Il nostro tempo ha visto degenerare questa grande, sublime invenzione dell’uomo che è la città. In essa sopravvivono con grande fatica i suoi valori positivi: dalle funzioni alla qualità del costruito. Da più di un decennio si parla molto di “città a misura”. E questo è vero ma, più che di una realtà si tratta di un’aspirazione. Hanno fatto degli obbrobri, si è costruito finora “la città a dismisura d’uomo” edificando interi quartieri tramite l’accatastamento di casermoni enormi o anonime palazzine senza identità che non riescono a fare città. Ma la città vera è, comunque, una città piuttosto “densa”. Altrimenti non è una città, è un villaggio, è un pseudo villaggio felice, una sorta di irreale happyland. Ecco il grande errore. Perché non sono le proporzioni degli edifici o delle case a pesare. Certo, contano anche quelle, eccome se contano, ma soprattutto conta la ricchezza delle funzioni. Ciò che fa una città è la complessità delle sue funzioni. Il fatto che nello stesso suolo, sulla stessa piazza, ci sia gente che ci abita, che viene per divertirsi, che va a teatro o al cinema, a fare acquisti, in visita, i turisti in un albergo; oppure che ci sia gente che viene per lavorare. Una miscela di tutte queste funzioni nello stesso luogo: questo fa la città. È questa intensità che dà la dimensione umana alla città. Ed è questa miscela che in questi anni si è vista degenerare.

L’URBANISTICA, UN’ARMA DI DISTRUZIONE DI MASSA – Lo sviluppo delle città era affidato ai piani regolatori e la tutela dell’ambiente ai vincoli previsti dalle prerogative costituzionali dell’Articolo 9. Nonostante scempi e violazioni, c’era comunque un sistema di regole che garantiva un quadro di legittimità. Il neoliberismo ha sostituito ogni regola con gli “accordi di programma” che mutano caso per caso il disegno delle città e azzerano i vincoli paesaggistici. La proprietà fondiaria, un ristrettissimo numero di persone, edifica dove e come vuole. La seconda novità riguarda il carattere teoricamente infinito dell’offerta di nuove costruzioni.

PER UN NUOVO AMBIENTALISMO – Il pianeta Terra è sull’orlo di un baratro dovuto all’eccessivo consumo di ambiente, sia dal lato del prelievo delle risorse che da quello dell’emissione di scarti, residui e rifiuti. Crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate. Per questo, per garantire reddito e condizioni di vita e di lavoro dignitose a tutti è necessario un profondo cambiamento sia dei nostri modelli di consumo che dell’apparato produttivo che li sostiene. Consumi e struttura produttiva sono indissolubilmente legati: fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica, risparmio e riciclo di suolo e di risorse, mobilità sostenibile e agricoltura biologica, multiculturale, multifunzionale e a km0 sono i capisaldi del cambiamento necessario. Questo cambiamento impone una radicale inversione di paradigma nei processi economici, per sostituire alle economie di scala fondate su grandi impianti e grandi reti di controllo economico e finanziario (come il ciclo degli idrocarburi, dalla culla alla tomba) i principi del decentramento, della diffusione, della differenziazione territoriale, dell’integrazione attraverso un rapporto diretto, anche personale, tra produzione di beni o erogazione di servizi e consumo.

IL NUOVO PAESAGGIO ITALIANO – Vorremmo che ci fossero pezzi del territorio vergine che ci sopravvivessero. Vorremmo che fosse mantenuta la diversità, perché è un valore. Vorremmo che tutto quello che è proprio del nostro Paese, tutto quello che costituisce la sua identità fosse conservato. La “valorizzazione” non ci interessa affatto. Il primo principio è: non tocchiamo nulla di ciò che è venuto bene. Poi ripuliamo e correggiamo quello che non va bene. Rendiamoci conto degli effetti degli interventi sbagliati: abbiamo costruito nuovi villaggi e abbiamo svuotato i paesi che c’erano; abbiamo costruito villaggi fantasmi, e abbiamo resi fantasmi i villaggi vivi.

L’URBANISTICA E LA DIFESA DEL TERRITORIO ITALIANO – Si è aperta una discussione generale che pone al centro i caratteri del nuovo ambientalismo e i problemi generali del territorio italiano. Un nuovo ambientalismo, un’arcipelago frastagliato di comitati e movimenti che in tutti questi anni sono nati a livello locale per contrastare iniziative, centralistiche per lo più (ma non solo) mirate, ad esempio, alla privatizzazione dell’acqua, o destinate a sconvolgere gli assetti ambientali di vaste aree, o a minacciare la salute degli abitanti. Vi invitiamo a leggere gli interventi di Guido Viale, Alberto Asor Rosa, Paolo Berdini, Edoardo Salzano, Ella Baffoni, Piero Bevilacqua e a portare il vostro contributo di idee, di un nuovo fare che non si fermi al piagnisteo o alla mera denuncia.

Giovanni Pivetta HOUSE LIVING AND BUSINESS
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