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Per chi vuole conoscere meglio Milano

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2015 16:17
24/08/2010 09:45
 
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Legalità sempre più a rischio in sette zone di Milano. La mappa delle aree urbane ad alto tasso di disagio
Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 07:54.

Altro che capitale morale. A Milano lo Stato non induce più rispetto e non fa più paura.
I ragazzi italiani che domenica in piazzale Corvetto hanno circondato un vigile e lo hanno picchiato («cosa fai sbirro, devi mollare il nostro amico, così capisci chi comanda») hanno mostrato quanto il disconoscimento dello Stato abbia preso piede a pochi chilometri dal Duomo, non a Gela o a Locri. E, ieri, l'ennesima rissa con feriti in via Chavez, una traversa di via Padova, e l'accoltellamento con morto (un albanese) alla Bovisa.
Milano alza le serrande dopo le ferie e si scopre così: violenta e abitata da milanesi che, per usare le parole dei ragazzi accorsi a piazzale Corvetto a difendere un loro amico dal "ghisa", dell'autorità «se ne fottono».
Secondo una stima compiuta dal Sole 24 Ore su dati forniti dal dipartimento di urbanistica del Politecnico di Milano, sono almeno 150mila i milanesi che abitano in zone colpite da un misto di disagio esplicito e paura opaca, criminalità organizzata professionale e balordi di strada. Una città di medie dimensioni. La cartina è presto fatta. Fra le 40mila e le 50mila persone si trovano a ridosso di piazzale Corvetto. Nella via Padova che ospitò la mitica "mala" degli anni Settanta se ne trovano fra le 50mila e le 60mila. In viale Sarca, intorno alle case pubbliche occupate e gestite dalle cosche, ce ne sono fra le 30mila e le 40mila. A Ponte Lambro, dove nemmeno il razionalismo dei progetti di Renzo Piano ha lasciato il segno, eccone altre 5mila. Infine, abitano in 5mila allo Stadera che sulla mappa noir rappresenta un fiore perché dà segnali deboli di vita e di rinascita. Un conteggio per difetto, da cui sono escluse periferie come Quarto Oggiaro, che nella loro staticità (le due terribili d, delinquenza e droga) sembrano cadute nel dimenticatoio. Quasi nessuno ne parla più, di Quarto Oggiaro.

«Sono fenomeni molto diversi», specifica l'urbanista del Politecnico di Milano, Matteo Bolocan. C'è la situazione dura e incancrenita delle case di viale Sarca, dove opera una vera criminalità organizzata di stampo mafioso, con il controllo militare del territorio e le ricadute sulla mentalità di chi subisce tutto questo. «E ci sono pezzi di città più contraddittori – aggiunge Bolocan – in cui le sacche di segregazione sociale non producono sottoculture permanenti e caratterizzate da un territorio preciso. Come in via Padova, dove si alternano spaccati di buona integrazione a focolai più problematici».
Fra le criticità di via Padova, il conflitto fra stranieri: è di pochi giorni fa la semiguerriglia urbana fra bengalesi e nordafricani («la zona a ridosso di piazzale Loreto con lo spaccio resta una polveriera quotidiana e qui come in altri punti di Milano la sera scatta il coprifuoco con la chiusura obbligata dei locali», osserva Mario Furlan, fondatore dei City Angels). Nella città in cui investono le mafie di tutto il mondo, con una particolare abilità e intensità quella calabrese, non sempre la delinquenza si è cristallizzata in una organizzazione e non sempre lo sputo al vigile urbano, al poliziotto, al carabiniere o al soldato su una camionetta è diventato un fertilizzante velenoso per il grande crimine. «Però – insiste Don Colmegna, che conosce a fondo Milano con i suoi spasmi – va registrato un crescente stress emotivo dato dalle scelte della politica: l'uno contro uno e la linea repressiva sono semi che alzano il livello dell'emotività e possono trasformare gli agitati in balordi e i balordi in criminali. Nessuno cerca più la mediazione sociale: piazzale Corvetto era uno dei simboli dei contratti di quartiere, a parte molte belle parole tutto è stato azzerato». A lungo si è rifiutato il paragone con le banlieue parigine: «Scusate la parolaccia – continua Don Colmegna – ma così si "strutturalizza" il conflitto e lo si rende permanente».

Il governo del territorio diventa qualcosa di difficile da maneggiare. E non ci sono più isole felici, con lo spaccio e la delinquenza che arrivano a lambire il verde di San Siro, che fino a poco tempo fa sembrava avere come unici problemi i decibel dei concerti e i parcheggi durante le partite. Nella città ancora scossa dagli ultimi episodi, si creano inedite vicinanze: e, così, al prete dei rom Don Colmegna dà di fatto ragione Antonio Intiglietta, potente uomo della Compagnia delle Opere e vicesindaco nel lontano biennio '92-93, nella giunta Borghini spazzata via dal crollo della partitocrazia. «Avevo la delega alle periferie – ricorda Intiglietta –, costituimmo un punto di ascolto e un coordinamento fra le forze dell'ordine che permettesse la preparazione di un report da inviare agli assessori della giunta ogni quindici giorni. Dopo sei mesi, la giunta cadde e non se ne fece più nulla».

Da allora, per Intiglietta la sicurezza e le sorti delle periferie sono rimaste un punto fermo: ha contribuito alla preparazione del programma della Moratti con l'idea della politica di marketing di controllo del territorio, con l'analisi del rischio e dei fattori di degenerazione sociale, dalla droga alla criminalità: «Una mappatura della città semplice e efficace. Se a Palazzo Marino ne hanno fatto qualcosa? Direi di no. Non chieda a me il perché».

Nella Milano che prova a capire con razionalità cosa le sta succedendo, vi sono alcune distinzioni da fare. Per esempio la non assimilabilità di via Paolo Sarpi ai quartieri dove il senso dello Stato sta venendo meno, come dimostra il caso di piazzale Corvetto. «I disordini di Chinatown – dice Elena Granata, urbanista del Politecnico specializzata nell'integrazione delle diverse etnie – sono stati un tipico caso di conflitto economico fra abitanti italiani e commercianti cinesi, che è stato risolto con una semplice norma se non condivisa, almeno accettata. Per ora la situazione regge».

Come tiene bene l'attività di recupero dello Stadera, negli anni 90 simbolo della Milano cattiva, che grazie a una bonifica massiccia delle famiglie mafiose e alla riqualificazione degli spazi urbani dal 2004 è migliorata non poco. Anche se, Stato o non Stato, repressione o mediazione sociale, la violenza cieca e inspiegabile è sempre dietro l'angolo: il 6 agosto proprio allo Stadera il pugile ucraino Oleg Fedchenko ha ucciso la filippina Emlou Arvesu, madre di due figli di 11 e 17 anni, colpevole soltanto di averlo incontrato per strada, dopo che la fidanzata lo aveva lasciato.
www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-08-23/legalita-sempre-rischio-sette-231202.shtml?uuid=...
[Modificato da ccc56 24/08/2010 09:51]
ccc56
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