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(sylvestro)
00sabato 31 luglio 2010 10:31
(sylvestro)
00venerdì 20 agosto 2010 09:30
Ag.Territorio: Alemanno “mercato positivo in attesa della regolarizzazione immobili fantasma”

19/08/2010

- Il mercato immobiliare sta procedendo a singhiozzo verso la ripresa delle compravendite, mentre la regolarizzazione dei fabbricati mai dichiarati – i così detti "immobili fantasma" - porterà a significativi recuperi dal punto di vista fiscale.
Questi i punti principali dell'intervento del direttore dell'Agenzia del territorio, Gabriella Alemanno, alla manifestazione Cortina InConTra, dove ha anticipato (si veda presentazione in allegato) i dati dell'Osservatorio del mercato immobiliare che verranno presentati ufficialmente in settembre.
Il direttore dell'Agenzia ha anche illustrato ''le novità contenute nella recente manovra finanziaria riguardanti l'Anagrafe immobiliare integrata, nell'ottica di una sempre maggiore trasparenza del mercato immobiliare''.
La Alemanno ha fatto anche riferimento alle attività che "l'Agenzia svilupperà nel prossimo futuro per la regolarizzazione dei fabbricati mai dichiarati e agli effetti significativi che questa avrà sotto il profilo del recupero fiscale".
Per quanto riguarda l'andamento del mercato: “I primi dati del secondo trimestre 2010 – riprende Alemanno - sono meno lusinghieri rispetto al trimestre precedente, ma confermano il trend positivo: siamo sullo 0,5% di compravendite in più rispetto ai dati dello stesso periodo 2009".
"Dal 2006 - ha continuato - il trend del mercato immobiliare è stato negativo.
Dal 2010 invece ha ricominciato a essere positivo anche se il secondo trimestre ha rallentato la crescita.
Nel complesso il mercato sta tenendo abbastanza, anche considerando il fatto che i prezzi degli immobili non sono diminuiti di molto: nel 2009 c'è stato un calo dello 0,8% rispetto all'anno precedente''.
A risentire di più del momento di crisi è il mercato non residenziale: ''in termini di volume - ha aggiunto Alemanno - siamo al -15% (2009 su 2008) con valori del -10% sugli uffici -16% sui negozi e -18% sui capannoni".
Il direttore dell'Agenzia del Territorio ha poi parlato degli immobili fantasma: "le cosiddette case fantasma sono un dato di fatto.
L'Agenzia del territorio a partire dal 2007 ha mappato il territorio nazionale incrociando i dati delle mappe catastali con le ortofoto digitali ad alta definizione.
Da questa mappatura sono emersi più di 2 milioni di particelle catastali con costruzioni che non risultavano nelle mappe catastali.
Il Governo - ha continuato Alemanno - ha dato tempo fino al 31 dicembre 2010 per l'adempimento spontaneo da parte dei proprietari di questi immobili.
Dal primo gennaio 2011 partiranno gli accertamenti degli uffici provinciali dell'Agenzia del Territorio per verificare questi beni in base una rendita presunta".
(sylvestro)
00sabato 28 agosto 2010 15:15
Ero indeciso se pubblicarlo ... [SM=g1747543] (chi ha voglia mi dica la sua [SM=g1747536])



Il Mercato è in ripresa?

28 agosto 2010 Alessandro D'Auria

Discussione costante delle ultime settimane è sicuramente quella relativa alla ripresa o meno del mercato immobiliare, e soprattutto quale sarà il suo andamento in Settembre ed Ottobre, da sempre mesi termometro per la comprensione successivo anno.

In merito a ciò ovvimente ogni operatore ha la proprie idee, c’è da aggiungere inoltre, che se pur la crisi ha colpito tutti noi, alcune zone sono state meno interessate così profondamente come altre.

Quindi anche ciò influisce sulla percezione di ogni collega in merito al quesito di cui sopra.

Basti pensare a città come Caserta, dove il sottoscritto lavora, che ha registrato un calo su alcuni tagli di immobili, fino al 25% 30% in meno sul prezzo di realizzo, mentre in citta come… Olbia, nella bene amata Sardegna, la crisi si è avvertita in modo decisamente differente.

Ad ogni buon conto qualunque professionista del settore si aspetta una ripresa, un mercato più effervescente, privo di ansie legate sul credere ancora o meno sulla bontà nell’investire nel mattone.

E’ di una decina di giorni fà però un’analisi incontrovertibile effettuata da Repubblica, dove si evidenziano segnali di ripresa in alcune città pilota d’Italia, quali : Napoli, Roma, Firenze e Milano.

A questo punto, per ciò che mi riguarda, presumo che una visione ottimistica relativa all’incremento delle operazioni immobiliari sia plausibile.

Per tanto i “furboni” che hanno attendono ancora per l’acquisto del loro immobile in attesa di ulteriori ribbassi dei prezzi avranno vita breve, e per quello che ci riguarda, tra non molto, sarà nuovamente il venditore a comandare la scena del mercato.

Questa è una foto della realta molto in generale, sarebbe decisamente interessante confrontare pareri e riscontri differenti relativamente alle proprie zona di competenza…


Puoi lasciare una risposta, or trackback dal tuo sito.
laplace77
00sabato 28 agosto 2010 16:19
Re:
(sylvestro), 28/08/2010 15.15:

Ero indeciso se pubblicarlo ... [SM=g1747543] (chi ha voglia mi dica la sua [SM=g1747536])



Il Mercato è in ripresa?

28 agosto 2010 Alessandro D'Auria

Discussione costante delle ultime settimane è sicuramente quella relativa alla ripresa o meno del mercato immobiliare, e soprattutto quale sarà il suo andamento in Settembre ed Ottobre, da sempre mesi termometro per la comprensione successivo anno.

In merito a ciò ovvimente ogni operatore ha la proprie idee, c’è da aggiungere inoltre, che se pur la crisi ha colpito tutti noi, alcune zone sono state meno interessate così profondamente come altre.

Quindi anche ciò influisce sulla percezione di ogni collega in merito al quesito di cui sopra.

Basti pensare a città come Caserta, dove il sottoscritto lavora, che ha registrato un calo su alcuni tagli di immobili, fino al 25% 30% in meno sul prezzo di realizzo, mentre in citta come… Olbia, nella bene amata Sardegna, la crisi si è avvertita in modo decisamente differente.

Ad ogni buon conto qualunque professionista del settore si aspetta una ripresa, un mercato più effervescente, privo di ansie legate sul credere ancora o meno sulla bontà nell’investire nel mattone.

E’ di una decina di giorni fà però un’analisi incontrovertibile effettuata da Repubblica, dove si evidenziano segnali di ripresa in alcune città pilota d’Italia, quali : Napoli, Roma, Firenze e Milano.

A questo punto, per ciò che mi riguarda, presumo che una visione ottimistica relativa all’incremento delle operazioni immobiliari sia plausibile.

Per tanto i “furboni” che hanno attendono ancora per l’acquisto del loro immobile in attesa di ulteriori ribbassi dei prezzi avranno vita breve, e per quello che ci riguarda, tra non molto, sarà nuovamente il venditore a comandare la scena del mercato.

Questa è una foto della realta molto in generale, sarebbe decisamente interessante confrontare pareri e riscontri differenti relativamente alle proprie zona di competenza…


Puoi lasciare una risposta, or trackback dal tuo sito.




a leggere tra le righe si sente il tipico rumore di una zappa sui piedi...

dice che da lui i prezzi sono calati del 25%-30% e in sardegna no, tutta colpa dei "furboni che aspettano" e di una crisi a impatto "variabile" (direi "chirurgico", come le bombe intelligenti)...

...e quindi i "furboni che aspettano" e' ora che si diano una mossa, che a settembre ottobre vedi come si riprende il mercato...

...si si, mo' vedi a settembre ottobre quanti nodi vengono al pettine...

[SM=g2232945]

dgambera
00domenica 29 agosto 2010 00:36
Re: Re:
laplace77, 28/08/2010 16.19:




a leggere tra le righe si sente il tipico rumore di una zappa sui piedi...

dice che da lui i prezzi sono calati del 25%-30% e in sardegna no, tutta colpa dei "furboni che aspettano" e di una crisi a impatto "variabile" (direi "chirurgico", come le bombe intelligenti)...




E il peggio è che quando parla di ripartenza la sua città è ancora esclusa [SM=g9058]
(sylvestro)
00martedì 23 novembre 2010 11:01
Ecco perche' l'Italia non e' l'Irlanda

di Francesco Forte
23 Novembre 2010

Il piano di salvataggio è pari a 90 miliardi di euro. Oggi il varo delle misure di austerity

Il fatto che la comunità internazionale debba andare in soccorso dell’Irlanda, sino a poco tempo fa dipinta come un autentico modello di economia di mercato liberale che noi avremmo dovuto imitare, suscita sorpresa e sconcerto. E’ ciò una dimostrazione del fatto che il sistema di economia di mercato, ispirato a principi liberali non è un buon sistema economico? O vi è una incompatibilità fra l’euro e l’economia di mercato per gli stati di piccola dimensione come Grecia, Irlanda e Portogallo?

L’Irlanda, in effetti non è la Grecia. Il Pil pro capite Irlandese era – prima della crisi - di ben 59 mila dollari contro i 28 mila della Grecia, che sono meno della metà e contro 21 mila del Portogallo che sono il 35%. E l’Irlanda era, prima della crisi, anche lo stato dell’Unione europea e dell’area euro con il più alto Pil pro capite. Infatti la Svezia pre crisi aveva un Pil pro capite di 50 mila dollari.

L’Olanda di 47 mila,il Regno Unito di 45 mila, l’Austria di 44 mila, la Francia di 42 mila, la Germania di 40 mila, l’Italia di 36 mila. E l’aiuto all’Irlanda è di 90 miliardi di euro, per uno stato di 4,5 milioni di anime, con 180 miliardi di euro di Pil, con un rapporto fra prestito internazionale e Pil pari al 50% e un aiuto pro capite di 20 mila euro. L’aiuto per la Grecia è stato di 110 miliardi di euro, per uno stato con 12 milioni di abitanti e un Pil di 230.

In rapporto al Pil l’aiuto per la Grecia è il 48%, ma pro capite di 9 mila euro. Un po’ meno della metà. Il che fa una certa impressione, dal punto di vista distributivo.

Abbiamo aiutato il povero con un prestito pro capite pari a metà di quello accordato al ricco, che ha un reddito pro capite di circa tre volte tanto. Ma la ragione c’è. E sta nel fatto che nel caso dell’Irlanda l’aiuto serve per il 55% per un intervento a favore delle banche irlandesi, che hanno bisogno di altri 50 miliardi, oltre a quelli che ha già erogato loro il governo irlandese, per evitare il dissesto.

Il governo irlandese ha un deficit di bilancio del 30% del suo Pil, che fa salire il suo debito pubblico verso il 100% del Pil, in quanto si è impegnato nelle banche in crisi, nazionalizzandone una e comprandone una e acquistando quote di minoranza di altre due ed ha garantito tutte quante. Ecco così che la sua situazione è precaria, per colpa della crisi bancaria, non per la crisi della sua finanza pubblica, sin qui basata su basse imposte, basse spese, bilanci pubblici in quasi pareggio, modesto rapporto fra debito pubblico e Pil.

Il governo di Dublino ha seguito, per la finanza pubblica, i principi macro economici liberali, ma ha lasciato mano libera alle sue banche, che hanno prestato soldi senza averli ai consumatori per mutui immobiliari, giocando sul rialzo del valore degli immobili anziché sulla capacità dei debitori di pagare i prestiti. Forse il governo irlandese è stato catturato dalle banche, forse non ha capito che non si possono fare gli investimenti senza risparmio, fatto sta che in rapporto alle banche ha violato i canoni elementari dell’economia di mercato. Esse comportano regole per il sistema bancario, che impediscono di erogare credito in modo spensierato, generando insolvenze che tradiscono la buona fede dei depositanti, degli azionisti e dei creditori delle banche medesime.

C’è anche una teoria liberista dell’economia di mercato che sostiene che essa può autoregolarsi, senza bisogno che lo stato ponga delle regole: ma tale teoria implica che chi sbaglia paga, ossia che le banche che, confidando nella ascesa dei valori immobiliari, prestano soldi senza averli a persone che non sono in grado di restituire i prestiti, debbano fallire quando si trovano CON perdite eccessive, a causa dei calcoli sbagliati. Invece le grandi banche europee ed autorevoli economisti che sostengono di essere liberali, hanno premuto perché il governo irlandese intervenisse, statizzando queste banche. Il principio per cui le imprese si tengono i profitti e passano le perdite allo stato non ha nulla di liberalista.

Ma bisogna tenere presente che le banche del Regno Unito hanno duecento miliardi di euro di esposizioni verso quelle irlandesi, le banche tedesche sono esposte per 180 miliardi e quelle francesi per una cifra sopra i 100 miliardi. La comunità bancaria internazionale perciò ha bisogno che le banche irlandesi non falliscano e che gli stati dell’euro zona, assieme al Fondo Monetario Internazionale e al governo inglese diano un massiccio aiuto finanziario a questo stato. Occorre, a questo punto, osservare che lo sviluppo economico irlandese, negli anni passati, ha avuto l’aspetto di un grande miracolo economico, ma era basato, in parte su fattori effimeri, come l’espansione della domanda di immobili da parte dei cittadini tramite il credito facile, che ha generato un boom dell’industria edilizia, assieme alla quintuplicazione dei prezzi per metro quadro degli edifici.

L’industria edilizia è diventata il 10 per cento del Pil irlandese, che è cresciuto di oltre il 6 per cento annuo. A un certo punto, i prezzi delle case hanno cominciato a scendere e in poco tempo si sono dimezzati. E le banche, che avevano anche largheggiato nei prestiti sulle carte di credito si sono trovate in situazione pre fallimentare. Purtroppo il ricatto del crack bancario nei confronti dei paesi dell’euro ci ha costretti a intervenire.

Ma logica vorrebbe che anche le banche si assumessero la loro parte di fardello, cosa che temo non accada perché esse sono troppo potenti nella comunità internazionale. Ciò detto, sarebbe tuttavia grossolanamente errato sostenere che l’economia irlandese ha avuto la prodigiosa crescita degli ultimi quindici anni solo con il boom edilizio. In realtà la crescita del suo Pil, quando essa è entrata nell’Unione monetaria europea nel 1998, era già dal 1990 del 6% annuo. Essa era sospinta dagli investimenti industriali esteri, attirati dalla tassazione dei profitti delle imprese al 12,5%.

Considerata la favorevole ubicazione geografica sul mare, della repubblica Irlandese, la sua vicinanza all’Inghilterra e il fatto che essa ha la stessa lingua e le stesse regole giuridiche del Regno Unito, la tassazione al 12,5 ne ha fatto una ubicazione ideale per le multinazionali. Questo livello di tassazione ha comportato una distorsione nella concorrenza a favore delle multinazionali anglo americane in quanto è difficile sostenere che i benefici delle spese pubbliche irlandesi a favore delle imprese siano appena il 12% dei loro utili. L’Irlanda ha avuto, così, un boom industriale. Ma ha anche una situazione precaria nella bilancia dei pagamenti con l’estero, in quanto le uscite dall’Irlanda per interessi e rimpatri di profitti delle imprese estere sono il 4,5 % del Pil irlandese.

L’Irlanda quindi è obbligata ad avere un surplus del commercio estero di livello corrispondente, se vuole pareggiare i suoi conti con l'estero. Ciò però non le riesce. Quindi ha un deficit strutturale di bilancia corrente dei pagamenti dello 1,5% del Pil.

L’economia di mercato comporta di avere basse imposte per le imprese. Ma il loro livello non va abbassato in modo da creare un eccesso di investimenti esteri fatti a debito. Anche qui occorre tenere presente la regola aurea che l’investimento ha bisogno di una solida base di risparmio. E le imposte, come prezzo dei servizi pubblici, debbono essere basse, ma coprire i costi di tali servizi. L’Irlanda si è cacciata nei guai perché ha trascurato alcuni principi elementari del sistema di mercato. Ma con le basse imposte sulle imprese ha comunque realizzato una crescita economica spettacolare.

L’Italia tassa le imprese con un carico fiscale che fra imposta sul reddito e Irap supera il 50%. E il Pil italiano cresce dello 1 per cento annuo. L’Irlanda con tutti gli errori che ha commesso ci insegna che basse imposte sulle imprese generano crescita economica. E possono trasformare un paese sottosviluppato, quale essa era negli anni ‘80, in un paese ricco.
dgambera
00mercoledì 1 dicembre 2010 18:15
Se l'euro si strozza a Dublino. Solo radicali riforme politiche possono preservare la moneta unica

di Martin Wolf 1 dicembre 2010


Le fratture all'interno dell'unione monetaria sono ormai visibili. La promessa era che l'euro avrebbe liberato i suoi membri dalle crisi valutarie. Ma come io e altri avevamo ammonito, è meglio stare attenti a quello che si desidera: le crisi valutarie saranno sostituite dalle crisi di debito, e le seconde probabilmente saranno più temibili delle prime.

Perché un'unione monetaria dovrebbe portare a crisi di debito? Una risposta è che le divergenze nei costi relativi portano a squilibri commerciali strutturali, con grandi disavanzi con l'estero quando le economie meno competitive si avvicinano al livello di produzione potenziale. Il settore privato o il settore pubblico devono spendere più di quello che guadagnano per conservare una situazione di piena occupazione. Questa spesa in eccedenza a sua volta dev'essere finanziata dall'estero, e questo credito alla fine verrà meno.

Una risposta più di fondo è che il tasso d'interesse comune in alcuni dei paesi dell'unione monetaria apparirà molto basso. Nella zona euro questo fenomeno è stato ingigantito dal fatto che i tassi d'interesse a livello globale erano bassi, mentre la domanda nelle economie chiave del continente era debole. Questi tassi d'interesse bassissimi hanno innescato bolle speculative e boom del credito nelle economie dei paesi periferici, e tutto questo a sua volta ha incoraggiato un boom dell'edilizia. In queste circostanze, quello che il compianto John Kenneth Galbraith chiamava il bezzle (lo stock di reati finanziari) cresce, fino a venire alla luce quando tutto crolla. Quando il sistema finanziario implode, l'economia collassa e le finanze pubbliche, apparentemente forti durante il boom, virano drasticamente al peggio
.

Il risultato è una maxicrisi di debito. Con un tasso di cambio fluttuante, la pressione verrebbe parzialmente assorbita da un apprezzamento della moneta nella fase di boom e da un deprezzamento nella fase di crack. Con un tasso di cambio stabilizzato, normalmente il tracollo della moneta basterebbe a ripristinare la competitività e la crescita, come successe nei paesi asiatici più pesantemente colpiti dalla crisi degli anni 90. In un'unione monetaria, queste valvole di sicurezza vengono meno, e abbiamo una crisi congiunta del credito e della competitività. La soluzione per la perdita di competitività è un drastico calo dei prezzi; ma questo calo dei prezzi rende ancora più grave la crisi di debito: è la deflazione da indebitamento, che gli irlandesi conoscono bene.

Questo è uno degli aspetti che fanno sì che una crisi valutaria sia meno grave di una crisi di debito. Ma l'insolvenza di un paese scuote anche la fiducia nello stato, che è la base dell'ordine giuridico e politico. Una crisi bancaria è quasi altrettanto nociva. Una crisi valutaria, in sé e per sé, no. Questo è il contesto in cui va vista la crisi dell'Eurozona. Ai vecchi tempi, quando c'era lo Sme, ci sarebbero state crisi valutarie nei paesi della periferia, e le valute greca, irlandese, portoghese, spagnola, italiana e forse di qualche altro paese sarebbero crollate rispetto al vecchio Deutsche Mark. È quello che è già successo ora alla sterlina inglese. Se l'Irlanda fosse stata ancora nell'area della sterlina, il punt (la vecchia sterlina irlandese) avrebbe accompagnato la valuta inglese nella sua caduta.

Ora, invece, la zona euro deve fare i conti con le sue crisi di debito. E non se la sta cavando per niente bene. Che cosa devono fare allora, in queste circostanze, i singoli paesi e la zona euro? Non quello che è stato fatto in Irlanda, innanzitutto. Il sistema bancario irlandese non è troppo grande per fallire, è ancora peggio: è troppo grande per essere salvato. Il primo compito dello stato è salvare se stesso, non caricare i contribuenti dell'obbligo di soccorrere prestatori sconsiderati.

Lo stato irlandese avrebbe dovuto salvare se stesso mediante una drastica ristrutturazione delle passività delle banche. Il debito delle banche semplicemente non può essere debito pubblico. Se tale dev'essere, allora i banchieri devono essere considerati come funzionari pubblici e le banche come enti pubblici. Sono i creditori che devono sopportare l'onere. Resta il problema del debito pubblico. Quello che serve in questo caso, come riconoscono i leader della zona euro, è una combinazione di finanziamenti generosi e ristrutturazione: i primi per invertire la tendenza distruttiva al panico, la seconda per riconoscere che il default è una realtà. Gestire questa combinazione non sarebbe per nulla facile.

E comunque il fatto di partecipare all'unione monetaria ha trasformato la posizione finanziaria degli stati membri, che non possono più contare su una Banca centrale malleabile e una flessibilità valutaria. Il risultato è che le probabilità di essere costretti al default sono molto più alte di prima, e i mercati l'hanno capito. Le uniche vie d'uscita sarebbero un acquisto dei titoli di stato da parte della Bce o un'unione dei conti pubblici, con la capacità di soccorrere i membri in difficoltà. Entrambe le soluzioni sono inconcepibili: la Germania sicuramente abbandonerebbe l'euro.

Il grande interrogativo quindi non è se la zona euro è in grado di evitare un'ondata di crisi finanziarie e dei conti pubblici. L'interrogativo è se la moneta unica sopravvivrà. È un problema più politico che economico. Un'unione monetaria può sopravvivere al default di uno o più stati. Il dubbio semmai è se i paesi membri continueranno a ritenere che la moneta unica gli conviene. Il problema per i paesi in surplus è che devono finanziare quelli in deficit, accettare aggiustamenti delle partite correnti o spingere la zona euro a una situazione di surplus con l'estero. Il problema per i paesi in deficit è che il costo di lasciare l'euro consiste nell'affrontare una crisi del debito. Se si sono già verificate, i costi appariranno minori. Se pensano di aver sostituito le crisi valutarie con le crisi del debito, che non servono neppure a ripristinare crescita e competitività, potrebbero giungere alla conclusione che l'euro è un cattivo affare, e il collante politico potrebbe venir meno. Calamità del genere possono accadere. Sta agli stati membri ora fare in modo che non accadano.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© FINANCIAL TIMES

©RIPRODUZIONE RISERVATA

(sylvestro)
00lunedì 3 gennaio 2011 08:30
Fotografia Del Mercato Immobiliare

Domenica, 2 gennaio 2011 ore 19:02

di Superes

Sarà una deformazione "professionale", ma oramai mi trovo a notare ogni cartello "Vendesi" che incontro per la mia strada, stia io andando in vacanza o a fare spese. Il numero degli annunci provenienti da privati o da agenzie continua a salire in maniera esponenziale, lasciando un sentore di aria viziata nell'intero settore. Proviamo a farci un'idea riguardo alla situazione nel suo complesso, senza sviscerare troppo i numeri, che tenteremo soltanto di interpretare nella fotografia del mercato immobiliare.

LE COMPRAVENDITE: Il numero delle compravendite dovrebbe attestarsi di nuovo intorno alle 690.000 unità ([SM=g10303]), dato che conferma il trend già osservato nel 2009. Si tratta di un numero rispettabile, generalmente allineato ai valori di dieci anni fa (sebbene inferiore), ma drasticamente inferiore rispetto al volume di transazioni immobiliari effettuate dal 2003 al 2008. In quegli anni privati e operatori professionali hanno osservato e cavalcato una drastica salita dei prezzi, accompagnata da un quantitativo di compravendite difficilmente osservato fino a quel momento. Quali fattori hanno inciso nell'impennata e nell'attuale discesa?

LA POLITICA BANCARIA PRE E POST CRISI 2008 A determinare una brusca salita nel numero delle compravendite è stata un'avventata politica perseguita dalle banche nella concessione di mutui destinati all'acquisto di immobili. Il trend è cominciato già negli anni 90, decennio che ha visto nascere (o, meglio, diffondersi su larga scala) il fenomeno del mutuo al 120%. Si trattava della concessione di prestiti per somme che oltre a coprire il valore (spesso solo presunto e mal periziato) dell'immobile, andavano a coprire le varie spese e, a volte, andavano semplicemente nelle tasche di chi aveva richiesto il mutuo. Grazie a questa politica spregiudicata, un numero enorme di famiglie del tutto prive di capitale è riuscita ad acquisire una casa di proprietà senza nessuna fatica iniziale. Ovviamente, tutta questa facilità di accesso al credito, nascondeva un'insidia che in pochi hanno saputo prevedere e che è, sostanzialmente, alla base dell'intera crisi finanziaria globale. Soffermiamoci sull'Italia, senza avventurarci troppo in peregrinazioni trans-oceaniche (già affrontate in un altro articolo). La maggior parte dei finanziamenti concessi in quel periodo è stata sottoscritta con contratti di mutuo "a tasso variabile", che, all'epoca, sembrò particolarmente privo di rischi. Il problema è sorto nel corso degli anni, quando molte di quelle famiglie assolutamente prive di capitale (nel tempo però s'è aggiunta una stuola di neo-impoveriti figli della crisi) non riuscirono a far fronte alla restituzione del debito, con rate sempre più care e stipendi fermi al 1999. La politica dei prestiti al 120% fallì miseramente ed ora assistiamo ad una ben più cauta concessione di mutui che coprono l'80% del prezzo dell'immobile a fronte di una richiesta di garanzie sempre più alte (in alcuni casi addirittura eccessive). Tutto questo sarebbe già grave, ma va integrato con un accenno sull'andamento dei prezzi.

L'ALTALENA DEI PREZZI E LA CRISI Chiunque abbia avuto modo di osservare il mondo prima dell'Euro ha notato come ogni cosa abbia aumentato il suo prezzo in modo vertiginoso. Considerazioni da casalinga di Voghera, adesso, non servono, ma è indispensabile notare quanto tutto, dai beni di prima necessità a quelli di lusso, abbia avuto un rapporto di conversione molto prossimo al 1:2. Gli immobili non hanno fatto eccezione e si è potuto osservare un aumento esponenziale dei prezzi con l'arrivo dell'Euro, fino a giungere ad un raddoppio. Nel 1999 abitazioni nella periferia di Roma costavano circa 2 milioni di lire/mq, mentre ora costano anche più di 2000 Euro/mq. Questo aumento non è stato affatto graduale ed in effetti si è esaurito da un po', ma è un fenomeno che deve essere integrato a quanto detto sopra relativamente alla politica bancaria. La concessione di mutui al 120% è proseguita per qualche anno prima della crisi, anche dopo l'arrivo dell'Euro, producendo una perversa distorsione che non poteva durare a lungo: venivano concessi prestiti che coprivano importi a volte doppi rispetto al valore periziabile di un immobile (Un appartamento periziato 100 milioni nel 1999 non poteva essere periziato 100 mila euro nel 2001 e non lo sarà mai), giustificando ed incentivando l'ingordigia di molti che in quel periodo decisero di usare il mattone come speculazione a breve termine. I mutui, però, sono strettamente legati al reddito e quello, negli ultimi anni non è cresciuto, anzi. Cos'è dunque successo? Le molte famiglie insolventi di cui sopra, hanno restituito (previo pignoramento) alle banche immobili che venduti all'incanto non producevano che la metà della somma necessaria a coprire l'ammanco (a volte un ottimistico 75%). La confusione tra Lire ed Euro è nel frattempo passata e le richieste dei potenziali acquirenti si stanno di nuovo affinando: la maggior parte cerca (/spera) di poter comprare quello che avrebbero potuto comprare prima e, di fronte ad un mercato che non propone ancora queste occasioni, si è fermata. Essendo calato il numero dei potenziali acquirenti ed essendo divenuto più difficile l'accesso al credito i prezzi ora sono in graduale, ma costante, discesa. Questa flessione non è generalizzata e non si riferisce a tutte le tipologie di immobile, ma è un dato di fatto.

RIASSUMENDO Con i prezzi attuali, sebbene già in flessione, una famiglia con reddito complessivo di 2100 euro mensili può acquistare, sobbarcandosi un mutuo trentacinquennale da 700 euro al mese (la rata del mutuo può arrivare ad 1/3 del reddito disponibile), un appartamento di medie dimensioni nelle profondità della provincia o una villetta a schiera nello stesso sprofondo (approssimativamente 170 mila euro). La stessa famiglia, nel 1999, con 4,1 milioni al mese di reddito avrebbe avuto la possibilità di comprare appartamenti di medio/grandi dimensioni in discrete zone dei centri urbani (anche Roma e Milano) o villini di alto standing in provincia (approssimativamente 350 milioni). Aggiungiamo a questo che al lordo delle spese (mediazioni, rogito, pratiche bancarie) un'abitazione costa in media il 10% in più rispetto al prezzo di vendita e che le banche concedono il solo 80% del prezzo di vendita (solitamente le perizie son diventate inutili). Questo significa che, a conti fatti, per acquistare un immobile bisogna disporre di una cifra pari al 30% del prezzo in contanti.

CONSIDERAZIONI CONGIUNTURALI Il mercato immobiliare è sicuramente il più legato alla situazione economica complessiva e ai dati più complessivi riguardo alla situazione sociale del Paese oggetto di studio. L'Italia è un paese che invecchia in fretta e dallo scarsissimo ricambio generazionale. Il bassissimo tasso di natalità fa prevedere che entro questo secolo ci saranno più over 65 che under 15 e questo è un dato che già fa sentire i suoi effetti, visto che l'alto numero dei pensionati assorbe quasi per intero i fondi per le politiche sociali. Sempre meno giovani, dunque, e sempre più disoccupati: come dicono gli ultimi dati, un giovane su quattro non lavora e non ha dunque reddito; quelli che lavorano, poi, sono per lo più occupati sotto contratto a termine e, di conseguenza, incapaci di programmare un acquisto immobiliare. Purtroppo, però, non sono soltanto i giovani a soffrire, visto che anche il tasso di disoccupazione complessivo è in crescita ed è previsto in peggioramento per l'intero 2011. Nel frattempo l'indebitamento netto delle famiglie è in impennata e rosicchia giorno per giorno i risparmi accumulati negli scorsi anni. Detto in breve: la situazione economica è ancora in piena crisi.

PREVISIONI Per il 2011 è lecito aspettarsi un mercato ancora stagnante, ma non ancora pronto alla definitiva caduta dei prezzi [SM=g7840] . Se è vero che l'80% degli italiani possiede una casa e che sono sempre meno quelli che sono in grado di affrancarsi dall'affitto per accollarsi un mutuo (oltretutto difficile da ottenere) è nello stesso tempo necessario osservare che il mercato immobiliare è la frontiera nella quale si sta palesando in modo sempre più marcato l'allargamento della forbice tra "poveri" e "ricchi". Calato il numero di compravendite per la prima casa di persone provenienti da contratti di locazione è invece stabile (se non in salita) il numero di transazioni completate dai ceti più elevati che cominciano a rastrellare le migliori occasioni per poterle locare: questo vale sia per l'usato che per il nuovo. Nota particolare va riservata all'edilizia convenzionata: nata per permettere alle giovani coppie l'acquisto di immobili, è divenuta presto preda dei già nominati ceti abbienti che, intestando le unità immobiliari ai figli non ancora proprietari di alcunché, si accaparrano anche queste piccole occasioni di riscatto per i "meno abbienti". Il mercato immobiliare dunque si sta specializzando: ancora proibitivo per molti (avere un capitale necessario a coprire il 30% del prezzo mentre l'indebitamento sale e l'occupazione scende non è da tutti) è divenuto sempre più terreno di caccia di piccoli e grandi investitori, in fin dei conti poco più che speculatori. Ovviamente, proprio per questo, il mercato dell'immobile di lusso non conosce e non conoscerà crisi nemmeno in questo 2011. Probabilmente il numero delle compravendite scenderà leggermente, molte agenzie immobiliari chiuderanno e i prezzi perderanno un altro 4%, ma non sarà nemmeno questo l'anno in cui tornerà ad essere il mercato del coronamento dei sacrifici di chi lavora com'era fino a venti anni fa.
(sylvestro)
00lunedì 17 gennaio 2011 11:56
Case ecologiche, auto elettriche, informazione: arrivare per primi non è mai un buon affare

di Maurizio Cannone
17/01/2011


- In tutti i mercati si attende sempre un prodotto che possa rilanciare i fatturati.

La killer application che renda l’azienda la numero uno sul mercato.

Spesso, però, questa corsa si rivela perdente.

Anche quando la ricerca arriva a buon fine i risultati non sono quelli sperati.

Lo sforzo per arrivare al traguardo non viene ripagato e la concorrenza ha gioco facile a scalzare chi si è mosso per primo sul mercato.

Il meccanismo è più o meno sempre lo stesso.

Chi comincia per primo deve fare esperienza.

E quindi spesso sovradimensiona la propria struttura, paga troppo dipendenti e fornitori, non ha le idee chiare riguardo al prezzo finale del servizio.

Chi arriva dopo può invece tarare il suo intervento sulla concorrenza: paga meno i fornitori, i dipendenti sono ridotti allo stretto indispensabile e le retribuzioni tendono al ribasso, i prezzi dei servizi garantiscono ricavi adeguati.

E succede anche nell’immobiliare.

L’esempio è quello delle case ecologiche, o di classe A energetica.

Non esistono cifre ufficiali riguardo alle vendite di questa tipologia immobiliare ma nessun operatore si sbilancia nel dire che queste case si vendano più facilmente di quelle a maggior consumo energetico.

Anzi, non è azzardato pensare che in questa fase siano addirittura penalizzate.

Costano di più e sono pochi gli acquirenti disposti a investire in risparmi futuri.

Discorso diverso per il settore investimenti dove è condizione indispensabile costruire in classe elevata.

Ma è un altro campo.

Quindi chi ha cominciato prima di altri a costruire con qualità superiore ha dovuto affrontare costi di ricerca, in un momento in cui l’argomento non era alla portata di tutti, ha dovuto pagare molto i materiali che ancora non contavano su economie di scala e, con ogni probabilità, ha dovuto pagare sopra la media i propri esperti.

Col risultato di non vendere una casa in più dei concorrenti.

Che però non hanno investito e forse non si sono nemmeno indebitati.

Se il mercato dovesse ripartire forse potranno recuperare ma se le condizioni dovessero restare immutate è possibile che chi si è mosso in anticipo possa essere espulso dal mercato.

Lo stesso accade in altri settori.

Come in quello dell’auto elettrica, visto come il futuro dei trasporti.

Bene, anzi male.

Nelle scorse settimane sono arrivate sul mercato le prime due auto alimentate da batterie (Chevrolet Volt e Nissan Leaf).

Nel primo mese di commercializzazione (dicembre) negli Stati Uniti hanno fatto segnare consegne ridicole.

Ossia 300 Volt e appena 10 Leaf.

E secondo l'Associated Press che cita dealer locali le previsioni per il prossimo futuro sono tragiche.

Lo stesso avviene anche nell’informazione.

Partendo dagli anni scorsi in cui grandi gruppi hanno investito decine di milioni di euro per progetti naufragati dopo pochi mesi (Fastweb con il giornale Il Nuovo e Fiat con il portale Ciaoweb primi tra tutti).

Fino ad arrivare ai giorni nostri con giornali, anche dell’immobiliare, in profondo rosso e che forse non arriveranno al 2012.

Saranno scalzati dai nuovi operatori più oculati e professionali, e magari con idee migliori.

Finiti i tempi delle vacche grasse, resteranno sul mercato solo gli operatori che sapranno scegliere il momento giusto col prodotto che effettivamente serve ai propri utenti.

Le rendite di posizione sembra siano un ricordo del passato.
fabio_c
00sabato 5 marzo 2011 12:27
Re:
(sylvestro), 24/01/2010 18.42:

Una nuova alba

di Diletta Castelli
19-01-2010 15:00

La ripresa ci sarà ma, per eguagliare i livelli raggiunti nel corso del 2007, dovremo aspettare il 2015. Almeno se si vogliono eguagliare i livelli raggiunti di tre anni fa. E’ questa l’opinione espressa da REAG, società attiva nel mercato delle valutazioni immobiliari, relativamente al mercato del real estate internazionale.
Per Leo Civelli, ceo di REAG Europe, «La maggior parte degli indici azionari legali all’immobiliare mostra oggi, rispetto a un anno fa, performance positive e addirittura sulle due cifre per molti indicatori. Nel valutare questo dato non bisogna però dimenticare che proprio dall’ottobre dello scorso anno i listini di borsa hanno subìto un deciso tracollo che in tutto il mondo ha raggiunto il picco negativo nella primavera dell’anno in corso». Per l’esperto sui mercati residenziali e commerciali pesano le previsioni relative al mercato del lavoro. E la contrazione dei prezzi e delle vendite potrebbe prolungarsi fino ai primi mesi del prossimo anno. Buone speranze possono riservare però gli indici immobiliari quotati.
«Gli indici positivi indicano sicuramente che il mattone quotato ha ricominciato ad attrarre gli investitori: le previsioni su una prossima fine della crisi economica contribuiscono ad alimentare la fiducia ma le performance si mantengono su livelli ancora lontani da quelli che si registravano nell’ottobre del 2006 o anche nel settembre del 2008. Si ricomincia a investire in questo tipo di titoli ma con cautela così come succederà anche per il mercato immobiliare “reale” non appena le banche riapriranno le linee di credito».

...


Da "Business Community" di marzo 2011:

Civelli: prezzi degli immobili in lieve ribasso nel 2011
Scritto da Claudio C. Gandolfo il 03 Mar 2011 14:27

«“Le prospettive per il settore immobiliare sono indissolubilmente legate all’evoluzione del quadro macroeconomico: nel corso degli ultimi 2 anni questo legame è stato più che mai messo in luce e gli andamenti dell’economia mondiale si sono riflessi sul trend del mercato immobiliare nella maggior parte dei Paesi”. Lo dichiara Leo Civelli, CEO di Real Estate Advisory Group, società internazionale leader nella consulenza immobilare. “Una possibile fine della crisi del settore - continua Civelli - si avrà solamente quando si avvertirà una decisa ripresa dell’economia. Fino a quando gli indicatori economici non si stabilizzeranno sul segno positivo almeno per 2 semestri consecutivi, non si potrà dire che la crisi sia finita. Probabilmente una vera ripresa ci sarà nel secondo semestre del prossimo anno, mentre per ritornare ai livelli del 2007 in termini di volumi di scambi e di prezzi si dovrà aspettare il 2015. La ripresa ci sarà ma sarà lenta e discontinua”.

In Italia il mercato immobiliare, pur in un contesto macroeconomico incerto, appare in lieve recupero: i prezzi e i canoni tendono a stabilizzarsi mentre sono tornati a crescere gli investimenti in abitazioni. “Lo vediamo anche dagli ultimi dati, dove si rileva una ripesa nell’erogazione dei mutui da parte delle banche”, prosegue Civelli. “A questo si aggiungerà l’effetto positivo della “cedolare secca”, che porterà molti italiani a riconsiderare l’acquisto di immobili come investimento, con ricaduta positiva anche sul mercato delle locazioni”. Nel 2010 nella maggior parte delle città e per tutte le tipologie a eccezione degli immobili industriali non si sono registrati ulteriori ribassi dei valori e le compravendite di abitazioni sono tornate a crescere. Le famiglie nelle fasce di reddito più basse faticano ancora ad accedere al finanziamento per l’acquisto dell’abitazione, penalizzando i mercati periferici.

Secondo i risultati del modello econometrico REAG, per il 2011 si prevede ancora una lieve correzione al ribasso dei prezzi reali medi delle abitazioni che registreranno una flessione dell’1,4%. Nelle zone di pregio e in quelle centrali i prezzi si manterranno pressoché stabili mentre le flessioni maggiori sono previste nel semicentro e in periferia. Tra le maggiori città italiane si prevede un andamento positivo dei valori a Milano, Bologna e Venezia, pur con considerevoli differenze a seconda della zona.

“Considerato l’attuale quadro macro-economico e l’andamento di offerta e scambi sul mercato residenziale, conclude Civelli, anche per il 2012 non si prevede un’inversione di tendenza in termini reali per i prezzi medi che dovrebbero decrescere di un ulteriore 0,6%. Per quanto riguarda le singole città le previsioni migliorano per tutte ad eccezione di Torino, che si mantiene negativa, e di Venezia”.


L’intera intervista sul numero di marzo di Business Community»

---

Da "Il Sole 24 Ore Immobiliare" di sabato 05/03/2011:

Intervista. Leo Civelli, ceo di Reag Europe, spiega come garantire profitti in tempi di crisi: il fatturato cresce anche nel 2011
«I soldi si fanno con banche e petrolio»
Ogni anno valutazioni di 70mila mutui e pacchetti anti-sofferenze per gli istituti di credito

di Evelina Marchesini

«...

Quindi le banche diventeranno venditori di immobili anche al di fuori della Spagna?
Sì, dovranno arrendersi. I tassi d'interesse sono previsti in crescita e andremo incontro a maggiori sofferenze dei crediti legati ad asset immobiliari. Le banche dovranno decidersi a mettere sul mercato gli immobili.

Come funziona questo servizio?
Si analizza il portafoglio, costruendolo a pacchetti di circa 200 milioni di euro l'uno, e si fanno delle simulazioni con l'obiettivo di ridurre al massimo le perdite delle banche.

Vi occupate anche della vendita vera e propria?
Sì, come già abbiamo fatto in passato,con gare a inviti.

Presumibilmente quanto possono recuperare le banche con questi meccanismi?
Su un valore a bilancio di 100, l'obiettivo è che recuperino dal 70 all'80 per cento.

...»


fabio
(sylvestro)
00giovedì 10 marzo 2011 11:07
dgambera
00giovedì 10 marzo 2011 11:11
Re:
(sylvestro), 3/10/2011 11:07 AM:





Assolutamente ridicoli, ma ben gli sta [SM=p7579]
(sylvestro)
00giovedì 17 marzo 2011 14:18
Ci aspetta un nuovo ciclo immobiliare

(sylvestro)
00venerdì 22 aprile 2011 15:19
labottegadelfuturo
00venerdì 22 aprile 2011 17:30
OT? Gramellini da "La Stampa"
Rovistando in un baule di famiglia, ho ritrovato la scatola di latta che la nonna romagnola utilizzava nel dopoguerra come sua personalissima Banca d’Italia.

Ogni volta che il marito portava a casa lo stipendio da tranviere, lei lo requisiva per diritto di vino (nel senso che altrimenti il nonno sarebbe andato a berselo tutto) e lo divideva in mucchietti che poi sistemava nella scatola.

C’era il mucchietto dell’affitto e delle bollette, quello della spesa, quello degli sfizi (dove per sfizio si intendeva un cono al cioccolato) e infine, più importante di tutti, il mucchietto dei risparmi. La nonna fissava l’obiettivo finale - il frigorifero, il televisore - e poi curava la crescita del mucchietto mese dopo mese, come se fosse una piantina innaffiata dalle sue preghiere. Per nessuna ragione al mondo era possibile intaccare il tesoro della scatola: i maschi di casa avrebbero dovuto passare sul suo corpo, che era piuttosto muscoloso.

Quando il mucchietto aveva raggiunto le dimensioni desiderate, la nonna indossava il vestito elegante e si recava al negozio per l’acquisto. Chi la vide in uno di quei giorni, assicura che neanche una sceicca in missione da Tiffany avrebbe potuto rivaleggiare in fierezza col suo sguardo.

Una volta un commesso le suggerì di comprare qualcosa a rate. Lei lo guardò storto: «Ma se mi date quel che voglio prima che io lo paghi, dopo mi passerà la voglia di averlo e anche di pagarlo!». Aveva solo la quinta elementare, ma certe volte mi capita di pensare che, con lei a Wall Street, adesso passeremmo tutti una Pasqua più serena. (Massimo Gramellini)
(sylvestro)
00venerdì 22 aprile 2011 17:35
Re: OT? Gramellini da "La Stampa"
labottegadelfuturo, 22/04/2011 17.30:

Rovistando in un baule di famiglia, ho ritrovato la scatola di latta che la nonna romagnola utilizzava nel dopoguerra come sua personalissima Banca d’Italia.

Ogni volta che il marito portava a casa lo stipendio da tranviere, lei lo requisiva per diritto di vino (nel senso che altrimenti il nonno sarebbe andato a berselo tutto) e lo divideva in mucchietti che poi sistemava nella scatola.

C’era il mucchietto dell’affitto e delle bollette, quello della spesa, quello degli sfizi (dove per sfizio si intendeva un cono al cioccolato) e infine, più importante di tutti, il mucchietto dei risparmi. La nonna fissava l’obiettivo finale - il frigorifero, il televisore - e poi curava la crescita del mucchietto mese dopo mese, come se fosse una piantina innaffiata dalle sue preghiere. Per nessuna ragione al mondo era possibile intaccare il tesoro della scatola: i maschi di casa avrebbero dovuto passare sul suo corpo, che era piuttosto muscoloso.

Quando il mucchietto aveva raggiunto le dimensioni desiderate, la nonna indossava il vestito elegante e si recava al negozio per l’acquisto. Chi la vide in uno di quei giorni, assicura che neanche una sceicca in missione da Tiffany avrebbe potuto rivaleggiare in fierezza col suo sguardo.

Una volta un commesso le suggerì di comprare qualcosa a rate. Lei lo guardò storto: «Ma se mi date quel che voglio prima che io lo paghi, dopo mi passerà la voglia di averlo e anche di pagarlo!». Aveva solo la quinta elementare, ma certe volte mi capita di pensare che, con lei a Wall Street, adesso passeremmo tutti una Pasqua più serena. (Massimo Gramellini)




[SM=g1750152]
(sylvestro)
00sabato 2 luglio 2011 14:52


laplace77
00sabato 2 luglio 2011 22:54
Re:
(sylvestro), 02/07/2011 14.52:







anvedi, zio vladimiro invece del solito mascellone...

[SM=g9128]
(sylvestro)
00venerdì 13 aprile 2012 20:18
Bernanke (Fed): ''mutui subrime e bolla immobili solo miccia della crisi”



13/04/2012

I mutui subprime e la bolla immobiliare sono stati solo la miccia della crisi Usa.

Le vere vulnerabilità del sistema sono state piuttosto l'elevata leva finanziaria, l'instabilità dei finanziamenti, la scarsa gestione del rischio e dei controlli.

Lo ha affermato Ben Bernanke (foto), presidente della Federal Reserve, durante una conferenza sulla prospettive della crisi che si è svolta a New York.
(sylvestro)
00lunedì 30 aprile 2012 10:51
Edilizia: Carlo Ratti, "basta nuove costruzioni lo sviluppo passa per il recupero dell'esistente”

30/04/2012

"Se la popolazione non cresce e gli standard abitativi non cambiano, perché costruire nuove case?".

Per Carlo Ratti (foto), architetto e professore al Mit di Boston (Usa), lo sviluppo dell'edilizia in Italia passa per la riconversione degli spazi esistenti.

"In un periodo di crisi la superficie delle abitazioni tende a ridursi.

Espandere le città è l'errore più grave che si possa fare: significa svuotare gli spazi che già ci sono e condurli alla rovina.

Nel Bel Paese si tratta di un concetto ancora poco diffuso, secondo il guru delle città intelligenti: "Spesso mi capita di parlare con sindaci di grandi città italiane: sono fermi alla logica di 20 anni fa, all'epoca del boom, quando i centri urbani dovevano crescere per la continua migrazione di persone.

Sì alla riqualificazione, no allo sfruttamento del "greenfield" dunque, perché "è finita l'epoca delle nuove costruzioni".

Ma contemporaneamente deve iniziare l'era del "brownfield", che "per imprese e progettisti, soprattutto in questa fase, è una grande opportunità.

"Ripensare il vecchio, risistemarlo, modellandolo e plasmandolo è la via che un po' ovunque nel mondo stanno imboccando le amministrazioni più coscienziose", ha raccontato a Pollein (Aosta) il quarantunenne torinese, fondatore del Senseable city laboratory a Cambridge, dove coordina una trentina di ricercatori di fama impegnati a sviluppare tecnologie digitali per una migliore fruizione delle città.

Dall'America all'Europa, "si sta iniziando a capire che le nuove costruzioni non fanno altro che impoverire i vecchi quartieri".

E a interessarsi alla riconversione del brownfield sono direttamente i vertici delle istituzioni: "In Messico il presidente Calderon - ha affermato l'archistar - ci ha commissionato uno studio per la riconversione di intere sezioni urbane semi-abbandonate proprio a causa della costruzione di nuove case.

Lo sfruttamento massiccio del greenfield è ormai sempre più raro: soltanto in paesi in forte espansione economica come la Cina il fenomeno è ancora forte, proprio per la necessità di garantire nuove abitazioni in un contesto urbano".

Gli esempi di riconversione in Italia non mancano, a partire dalla riqualificazione delle baite alpine in disuso: In Trentino abbiamo messo a punto un sistema di albergo diffuso di nuova concezione, in cui ogni unità abitativa è indipendente, ma inserita con le altre in una rete, creando un sistema abitativo senza alcun impatto per il territorio".
(sylvestro)
00sabato 5 maggio 2012 08:42
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