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ESM European Stability Mechanism

Ultimo Aggiornamento: 12/06/2014 16:50
05/06/2012 15:12
 
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L’EUROPA PREFERISCE SALVARE LE BANCHE, PIUTTOSTO CHE LA GRECIA
I numeri parlano chiaro: gli aiuti per salvare il sistema finanziario dal fallimento sono oltre il triplo delle risorse destinate a soccorrere i membri dell’UE (Fonte: economy2050.it - 04/06/2012)

I numeri parlano chiaro: gli aiuti per salvare il sistema finanziario dal fallimento sono oltre il triplo delle risorse destinate a soccorrere i membri dell’UE.

Le risorse messe in campo dall’UE parlano chiaro: l’Europa ha aiutato molto più i sistemi creditizi nazionali rispetto alla Grecia. E questo nonostante la crisi di Atene rischi seriamente di compromettere il futuro dell’euro e di conseguenza la sopravvivenza dell’UE, almeno come è strutturata oggi. La cifre sfatano pregiudizi e luoghi comuni diffusi specie nel Nord Europa circa l’eccessivo aiuto fornito agli Stati in crisi; e dimostrano che costa meno risanare (insieme) i Paesi in difficoltà debitoria, piuttosto che tamponare (singolarmente) le perdite provocate dalle banche d’affari nazionali.

Vediamo i numeri degli aiuti sinora concessi in Europa.

GLI AIUTI AGLI STATI

I due programmi di assistenza alla Grecia e i salvataggi di Irlanda e Portogallo finora hanno ricevuto risorse complessive per circa 403 miliardi di euro, inclusi i 96,5 del FMI. L’Eurozona ha quindi impegnato direttamente circa 300 miliardi per soccorrere tre Paesi membri.

La Grecia ha ricevuto stanziamenti per 110 miliardi di euro con il primo salvataggio. Di questi ha ricevuto soldi veri, ad oggi, per circa 53 miliardi (15,1 dalla Germania, 11,7 dalla Francia e 9,8 dall’Italia): non si tratta, è bene sottolinearlo, di aiuti a fondo perduto, ma di prestiti bilaterali così ben remunerati (tassi a oltre il 5% inizialmente) che si sono dovuti ritoccare al ribasso i rendimenti in occasione del secondo programma di salvataggio. Nel marzo scorso, poi, si è aggiunto un secondo piano da 130 miliardi di euro (da erogare entro il 2014), di cui 28 a carico del FMI, in parte non destinati alle casse pubbliche ma alla ricapitalizzazione delle banche elleniche (48,8 miliardi). Anche in questo caso, alla Grecia vengono forniti prestiti, non finanziamenti a fondo perduto. Stavolta, tuttavia, il salvataggio non è stato finanziato con esborsi monetari veri, ma con garanzie pubbliche prestate all’EFSF. Ricapitolando, il “salvataggio” greco finora ha comportato per Eurozona e FMI l’erogazione di prestiti complessivi per circa 53 miliardi di euro veri, 49 direttamente dall’EFSF e forse sono stati consegnati titoli (non denaro liquido) dallo stesso EFSF per ulteriori 28 miliardi di euro destinati alle banche elleniche (leggi il post Economy2050 “Il pasticciaccio brutto del salvataggio fantasma delle banche greche”). Totale: la Grecia forse ha assorbito risorse per 130 miliardi circa, rispetto ai 240 miliardi teorici impegnati.

Portogallo e Irlanda hanno beneficiato, rispettivamente, di programmi di sostegno per 78 e 85 miliardi di euro, sempre attraverso l’EFSF, ancora in corso di esecuzione.

Ricordiamo come funziona l’EFSF: gli Stati dell’Eurozona concedono (pro-quota secondo la partecipazione al capitale della BCE) solo garanzie al fondo salva-Stati EFSF, fino al tetto massimo di 750 miliardi di euro: non esce un euro dalle loro casse. La Germania ha assunto impegni per 211 miliardi, la Francia per 158, l’Italia per quasi 140, la Spagna per 92. Il fondo può erogare al massimo 440 miliardi di aiuti. Gli stanziamenti sono virtuali (gli Stati non mettono soldi): diverrebbero materiali solo in caso di mancato rimborso, ovvero di bancarotta dei Paesi assistiti. Dal prossimo luglio sarà operativo anche il fondo salva-Stati permanente ESM: avrà un capitale da 80 miliardi di euro (Germania 21,7 miliardi, Francia 16,3, Italia 14,3), da versare materialmente in più rate (quindi soldi veri), e possibilità di interventi per 500 miliardi, di cui 200 già impegnati (!).

Gli strumenti salva-Stati europei prevedono complessivamente uno sforzo massimo di 800 miliardi di euro, di cui tuttavia 300 sono già stati impegnati (anche se in gran parte non erogati) per Grecia, Irlanda e Portogallo (vedi post Economy2050 “L’Europa stanzia solo 500 miliardi per i nuovi salvataggi, ma ne dichiara 800”).

GLI AIUTI ALLE BANCHE

Tra il 2008 e la metà del 2011 per salvare le banche l’Eurozona ha autorizzato, con il consenso dell’UE, aiuti fino a 2.178 miliardi di euro; finora sono rientrati circa un terzo degli aiuti. A fine 2010 risultavano utilizzati 1.123,8 miliardi di euro (poi cresciuti) in varie forme tecniche a sostegno del sistema bancario dell’UE.

Dal giugno 2011 si sono verificati altri casi di crisi bancarie, fra cui spiccano Dexia, Commerzbank e Bankia (per approfondimenti si leggano i relativi post), tutte con buchi da decine di miliardi di euro tamponati con sovvenzioni pubbliche. Inoltre in autunno la Germania ha riattivato il suo fondo nazionale Salva-banche dotandolo di una capacità di intervento di 400 miliardi di euro a carico delle casse pubbliche.

La stima complessiva degli aiuti pubblici a favore del sistema creditizio a fine 2011 supera i 2.800 miliardi di euro, ma potrebbe oggi essere molto vicina ai 3.000 miliardi. L’impressione, tuttavia, è che il processo di salvataggio bancario sia ben lontano dall’essere concluso.
La distribuzione geografica degli aiuti al sistema creditizio non è stata omogenea per Paesi, come risulta dalla tabella riportata nel post Economy2050 “Quanto costano le banche agli Stati” (aggiornato al giugno 2011).

IL NON SENSO DELLE SCELTE EUROPEE

Il quadro delinea una precisa scelta della classe politica europea: gli aiuti hanno privilegiato in modo evidente le banche rispetto ai Paesi euro in difficoltà. Senza alcuna giustificazione di convenienza dal punto di vista comunitario, almeno apparente.

E questo nonostante che Grecia, Portogallo e Irlanda (ma anche Spagna e Italia) abbiano già fatto grandi sacrifici: altri se ne chiedono. Ma i Paesi in crisi debitoria non hanno certo compromesso le finanze della virtuosa Europa Settentrionale, che anzi ha pascolato sui guai dei partner in difficoltà (si legga il post Economy2050 “La Germania continua a lucrare sulla crisi europea”, in cui si calcolano i benefici di cui godono i tedeschi grazie alle disgrazie altrui).

Al contrario le grandi banche d’affari (specie nordeuropee) hanno causato la crisi, sono ancora imbottite di titoli tossici, con la loro gestione rischiano di provocare un credit crunch senza precedenti storici in Europa: di sacrifici non sembra ne abbiano fatti. Forse qualche manager ha dovuto rinunciare al suo bonus per uno o due anni, o qualcun altro si è dovuto riciclare altrove: nulla, rispetto ai danni economici e sociali prodotti. Ma il sistema finanziario ha ottenuto risorse potenziali per quasi il doppio del PIL italiano e di oltre il triplo di quanto complessivamente destinato sino ad oggi ad Atene, Dublino e Lisbona. E, cosa ancor più grave, è riuscito sostanzialmente a bloccare ogni processo di riforma che impedisca in futuro il ripetersi di una crisi finanziaria sistemica di origine finanziaria. E intanto non salvando la Grecia, l’Europa rischia la fine dell’euro.

La via seguita sinora evidenzia che ogni Stato membro preferisce risolvere da solo i problemi in casa propria e mette in secondo piano l’interesse della casa comune, non tenendo nel giusto conto che, se si spacca l’euro, le banche nazionali verranno comunque spazzate via. Questo ragionamento è comprensibile per la Gran Bretagna, che ha una sua moneta, molto meno per chi fa parte dell’euro.

A ognuno il giudizio su dove sia più logico ed opportuno allocare le risorse pubbliche per contrastare la crisi finanziaria e debitoria. I nodi verranno al pettine tra breve, quando si dovrà affrontare il dossier spagnolo.
[Modificato da marco--- 05/06/2012 16:01]
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