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L'ombra della crisi del '29 sui nostri risparmi

Ultimo Aggiornamento: 30/08/2007 08:49
14/08/2007 12:12
 
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Crollo finanziario mondiale: Lacrime di coccodrillo Un milione di persone che in italia hanno il tfr nei fondi ora tremano... In un editoriale dal titolo significativo (“L’ombra del ’29 sui nostri risparmi”), il direttore de ‘La Repubblica’ ci avverte, bontà sua, che “il mercato non...

Fonte la Repubblica - 12 agosto 2007 - di EUGENIO SCALFARI

L'ombra della crisi del '29 sui nostri risparmi

di EUGENIO SCALFARI

CI SONO state molte altre crisi finanziarie negli ultimi vent'anni del Novecento, dovute all'improvviso sgonfiarsi di bolle speculative. La crisi del rublo, quella dell'insolvenza messicana, quella dei "bonds" argentini, quella (e fu la più violenta e diffusa) che travolse i super-investimenti nell'industria informatica. E naturalmente le crisi petrolifere che portarono alle stelle i prezzi del greggio con ripercussioni non solo sulla finanza ma sull'economia reale. E tutte, ovunque fosse il loro epicentro iniziale, coinvolsero il centro finanziario del mondo: Wall Street, le grandi banche d'affari americane, l'immenso ventaglio dei loro clienti internazionali e multinazionali, chiamando in causa inevitabilmente anche la Federal Reserve, la Banca centrale americana, supremo regolatore del sistema monetario e finanziario del pianeta.

Ma nessuna di queste "fibrillazioni" somiglia a quella di questi giorni. Forse proprio perché nel caso attuale l'epicentro è nel sistema bancario americano, nei mutui immobiliari facili, nel loro piazzamento in titoli "derivati" e nella loro diffusione in molte istituzioni finanziarie internazionali.

La finanza Usa e la Fed questa volta non giocano di rimessa, ma giocano in proprio. Il sisma nasce lì, a Manhattan, nel cuore della Grande Mela e ciò aumenta la sua potenza diffusiva e le sue devastanti capacità.
C'è però un precedente cui la crisi attuale può esser confrontata ed è il terremoto finanziario del 1929. Lo si nomina poco in questi giorni, anche gli analisti che inclinano piuttosto al pessimismo fingono di dimenticarsene, forse per scaramanzia. Ma, pur nelle grandi differenze di contesto rispetto a ciò che accadde ottant'anni fa, le analogie sono impressionanti.

Consiglio ai lettori di procurarsi e di leggere un libro diventato fin dal suo primo apparire un classico in materia: "Il grande crollo" di Kenneth Galbraith. E' una lettura paurosamente affascinante. Intanto la crisi di oggi e quella del '29 cominciano allo stesso modo: una gigantesca bolla immobiliare, mutui facili, esposizione di istituti bancari specializzati in questo settore, fame di case concentrata soprattutto in California e in Florida, emissione di azioni da parte di società-fantasma, cieca fiducia dei risparmiatori, rifinanziamenti a breve da parte del sistema bancario, interventi (inutili) della Banca centrale e delle principali istituzioni finanziarie, in particolare le banche d'affari che facevano allora capo ai Rockefeller, ai Morgan, ai Rothschild.

Nel '29 vigeva il sistema aureo, non esisteva alcuna disciplina sul mercato dei cambi, New York, Londra, Berlino, Parigi erano in accesa competizione tra loro. Ciò aggravò e moltiplicò gli effetti del sisma che da una crisi di Borsa si estese al dollaro, dalla moneta americana alla sterlina e al marco tedesco e a tutto il sistema aureo, cioè a tutte le monete del mondo.
Per fortuna il sistema monetario mondiale è oggi completamente diverso, l'amplificazione dei fenomeni si verifica agevolmente ma è entro certi limiti governabile. Siamo più attrezzati di allora. Ma le analogie restano e i rischi sono tutt'altro che lievi.

Non starò ora a ripercorrere le tecniche dei mutui immobiliari, della loro cartolarizzazione in titoli, dei tassi di interesse prossimi allo zero per invogliare la clientela, dell'assenza di valide garanzie e infine nella diffusione anche fuori dal mercato Usa dei titoli - spazzatura e dei relativi rischi. Nei giorni scorsi tutto questo perverso meccanismo è stato ampiamente descritto e quindi lo do per noto.

Ricordo soltanto ai lettori che il mercato immobiliare e il suo enorme indotto coprono almeno un quarto dell'economia Usa. A loro volta i consumi privati rappresentano i due terzi della domanda interna di quel paese e gran parte di essi, specie tutta la fascia dei beni durevoli, è strettamente connessa alla costruzione di nuove abitazioni. Stiamo insomma discutendo di uno dei gangli vitali del sistema America e del "business" ad esso collegato.

Questo sensibilissimo settore è entrato in crisi di insolvenza. I clienti che hanno contratto mutui sono insolventi, non hanno soldi per pagare le rate; di conseguenza i loro creditori diventano man mano insolventi anch'essi; i risparmiatori che hanno affidato i loro risparmi a fondi d'investimento che hanno in portafoglio anche titoli immobiliari, ritirano i loro capitali; i fondi più deboli e più presi di mira cominciano a congelare le quote della clientela e creano in questo modo altri punti d'insolvenza. Purtroppo tra i fondi coinvolti ci sono anche alcuni fondi-pensione che sono tenuti dai loro statuti a corrispondere con periodica frequenza i dividendi ai pensionati. Per ora non si ha notizia di insolvenze in questo delicatissimo settore. Auguriamoci che i gestori dei fondi-pensione non siano stati troppo aggressivi nella ricerca di rendimenti superiori alla media.
Si tratta comunque di un'insolvenza abbastanza diffusa. Il governatore della Fed, in una recentissima dichiarazione, l'ha valutata a cento miliardi di dollari. Per ora le insolvenze acclarate ammontano a cifre molto minori, eppure sono state sufficienti a terremotare i mercati finanziari in Usa, in Europa, in Canada, in Australia. L'Asia, Giappone compreso, sembra al riparo dalla tempesta. Ma se e quando dovessero venire allo scoperto le insolvenze preannunciate da Bernanke, gli effetti potrebbero essere assai più micidiali.

Proprio per impedire che ciò accada e soprattutto per recuperare la fiducia dei risparmiatori e degli operatori, le Banche centrali hanno deciso di concerto di iniettare liquidità nei mercati con prestiti a breve e brevissimo termine ai sistemi bancari, accompagnando queste operazioni con inviti alla calma e solenni assicurazioni che la crisi è circoscritta, le insolvenze limitate, la liquidità comunque garantita e i "fondamentali" senza alcun contraccolpo. Non avevano altra strada, le Banche centrali, che stanno facendo egregiamente il loro lavoro. Riassorbire l'eccesso di liquidità quando non sarà più necessario non è tecnicamente difficile. Non è detto invece che il recupero di fiducia avvenga rapidamente.

Nella crisi del '29 non avvenne, anzi durò per molti mesi fino a creare effetti depressivi sulle economie reali. Abbiamo già detto che le autorità monetarie e le istituzioni finanziarie sono oggi molto più attrezzate di allora. Tuttavia la fiducia è un elemento immateriale e estremamente volatile. L'ostentata tranquillità delle Banche centrali e delle autorità monetarie può non esser sufficiente a ripristinarla.

Se poi prendesse corpo la speculazione ribassista con l'obiettivo di deprimere fortemente i listini di Borsa per poi ricoprirsi realizzando favolosi guadagni, come spesso avviene in situazioni del genere, non c'è Banca centrale che possa reggere né fiducia che possa esser recuperata. E' tuttavia difficile (o almeno così ci auguriamo) un intervento massiccio al ribasso. La situazione dei mercati si è fatta di colpo così delicata che un intervento speculativo al ribasso potrebbe produrre effetti di tale magnitudine da render poi impossibile per lungo tempo l'esito positivo per gli speculatori. C'è insomma un deterrente psicologico, e speriamo che basti a fermar la mano della speculazione.

La Borsa italiana ha preso nell'ultimo mese e in particolare negli ultimi tre giorni potenti scoppole, più o meno in misura analoga a quella degli altri mercati europei. Più per contagio che per reali insolvenze. Di queste ne sono finora venute alla luce assai poche. Quella, di circa 700 milioni, dei tre fondi della Paribas parzialmente congelati. Altre sulle quali per ora circolano soltanto voci.

Il contagio comunque si può propagare come il "venticello" della calunnia cantato da Don Basilio nel "Barbiere di Siviglia". Ma se non è sostenuto da evidenze concrete può essere rapidamente dissipato. Il caso italiano non sembra dunque particolarmente esplosivo. C'è un punto tuttavia che merita di esser considerato e riguarda i fondi pensione nei quali sono recentemente affluiti oltre un milione di pensionandi che hanno versato i loro Tfr col metodo del silenzio-assenso.

Si è fatto un gran can-can da parte della "setta" degli economisti liberali perché il collocamento del Tfr nei fondi non era stato sufficientemente incoraggiato dal governo. Era una menzogna e il risultato delle sottoscrizioni lo dimostra. Ma ora ci sarà chi rimpiangerà, tra i pensionandi che hanno scelto la previdenza complementare, di non aver versato i propri Tfr ai fondi aziendali gestiti dai sindacati o addirittura di non aver conservato il vecchio sistema della previdenza pubblica dell'Inps. Gli investimenti arrischiati di alcuni fondi - pensione americani ci dicono che anche la via della previdenza alternativa non è cosparsa di rose e fiori e che il mercato non è mai stato e mai sarà il paese di Bengodi se non per i pochi che possono manovrarlo a danno dei molti.

C'è un altro aspetto italiano che vale la pena di considerare. E' opinione diffusa che l'eventuale rallentamento della crescita della nostra economia, aggravato dai possibili effetti della crisi in atto, spingerà in alto l'onere del debito pubblico sul bilancio dello Stato. Personalmente credo sia un marchiano errore fare simili previsioni. La crisi finanziaria in atto ha aumentato e ancor più aumenterà la propensione dei risparmiatori a investire in titoli pubblici, Bot o pluriennali. Questa propensione produrrà un aumento della domanda di quei titoli e quindi un'occasione per il Tesoro di spuntare condizioni più favorevoli nel momento dell'emissione.

L'aspetto più preoccupante della situazione italiana sta invece nei possibili effetti di rallentamento sulla crescita del Pil che la crisi può esercitare. Rallentamento dovuto ad un calo nei consumi, allo sgonfiamento della bolla immobiliare che anche da noi è in corso e quindi nell'occupazione, nel reddito e negli investimenti nell'ampio indotto dell'industria edilizia.
A fronte di questi temuti effetti recessivi si ripete il suggerimento di accelerare le riforme. Ma quali?
Bisognerebbe specificare un po' di più se si vuole evitare la ripetizione giaculatoria della parola "riforme".

Le liberalizzazioni, certo. Ma non bastano, agiscono con ritardi tecnicamente inevitabili, non possono comunque essere effettuate tutte insieme in dosi massicce senza sconvolgere mercati alquanto sinistrati.
Il rallentamento nella crescita impone di concentrare l'azione del governo su quell'obiettivo. E quindi: favorire gli accordi governo-sindacati in favore della produttività; concentrare la spesa pubblica sui lavori pubblici e le infrastrutture; procedere a ulteriori sgravi fiscali sul lavoro e all'ulteriore sostegno dei bassi redditi.

Le crisi finanziarie hanno, come la loro storia ha invariabilmente dimostrato, l'effetto di accrescere la responsabilità e il ruolo dello Stato nel rilancio dell'economia. Così accadde nell'America del '29, dove la crisi spazzò via la lunga dominanza dei conservatori e aprì la stagione dei riformisti, dai tre mandati di Roosevelt, a Truman, a Johnson, a Kennedy, a Carter, a Clinton.

La ragione è evidente: le crisi determinano rallentamento nella domanda. La ripresa avviene rifinanziando la domanda. E quando è in sofferenza il settore delle costruzioni, affiancando all'investimento privato un massiccio e organico investimento pubblico. Tanto più in un paese come il nostro dove le infrastrutture sono carenti al Nord quanto al Sud. Su questa politica il governo può ritrovare compattezza ed efficacia. La situazione è già abbastanza seria per smetterla con i tiri alla fune e gli strappi per esibire una forza che isolatamente nessuno possiede.

(12 agosto 2007)


[Modificato da marco--- 30/08/2007 08:49]
15/08/2007 01:42
 
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stelafe, 14/08/2007 12:12:


13 ago 1 MILIONE DI PERSONE COL TFR NEI FONDI PRIVATI ORA TREMANO...
Crollo finanziario mondiale: Lacrime di coccodrillo Un milione di persone che in italia hanno il tfr nei fondi ora tremano... In un editoriale dal titolo significativo (“L’ombra del ’29 sui nostri risparmi”), il direttore de ‘La Repubblica’ ci avverte, bontà sua, che “il mercato non...

www.repubblica.it/2007/08/sezioni/economia/bce-parla/scalfari-crisi/scalfari-cr...


Interessante articolo, sottolineo un paio di passi che penso siano significativi:

...Consiglio ai lettori di procurarsi e di leggere un libro diventato fin dal suo primo apparire un classico in materia: "Il grande crollo" di Kenneth Galbraith. E' una lettura paurosamente affascinante. Intanto la crisi di oggi e quella del '29 cominciano allo stesso modo: una gigantesca bolla immobiliare, mutui facili, esposizione di istituti bancari specializzati in questo settore, fame di case concentrata soprattutto in California e in Florida, emissione di azioni da parte di società-fantasma, cieca fiducia dei risparmiatori, rifinanziamenti a breve da parte del sistema bancario, interventi (inutili) della Banca centrale e delle principali istituzioni finanziarie, in particolare le banche d'affari che facevano allora capo ai Rockefeller, ai Morgan, ai Rothschild...

...L'aspetto più preoccupante della situazione italiana sta invece nei possibili effetti di rallentamento sulla crescita del Pil che la crisi può esercitare. Rallentamento dovuto ad un calo nei consumi, allo sgonfiamento della bolla immobiliare che anche da noi è in corso e quindi nell'occupazione, nel reddito e negli investimenti nell'ampio indotto dell'industria edilizia...

Per finire, l'articolo sostiene che "...il mercato immobiliare e il suo enorme indotto coprono almeno un quarto dell'economia Usa...", questo dà un'idea sull'ordine di grandezza del volume d'affari che l'immobiliare coinvolge...

Ciao, Marco

[Modificato da marco--- 15/08/2007 01:54]
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