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Per chi vuole conoscere meglio Milano

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2015 16:17
24/08/2010 07:41
 
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VIA PADOVA- NORD EST DI MILANO
L'agente immobiliare: «A Via Padova non c'è mercato»

«Via Padova è un mercato morto. Per alcuni immobili, anche se riceviamo una richiesta per un mandato di vendita, sappiamo già che saranno difficilmente commercializzabili». A dirlo è un agente di una delle più grandi catene immobiliari che copre quella zona di Milano e che preferisce mantenere l'anonimato mentre spiega la situazione con cui quotidianamente si confronta: «In realtà la via è divisa in due parti: la prima, verso piazzale Loreto, è abitata da stranieri, per gli italiani non ha mercato. La seconda parte, che va verso Crescenzago, è migliore: ci sono villette e perfino un bel borghetto medievale dalle parti di via Berra che conosce solo chi è della zona. A differenza della prima parte della via qui c'è abbastanza integrazione, anche gli italiani vengono a viverci, ma solo quelli che sono della zona. Da altre zone di Milano non viene nessuno, neppure i buoni prezzi riescono ad attrarre acquirenti. In generale i pochi immobili che abbiamo "in magazzino" ci restano anche 6-7 mesi, un periodo lungo per Milano».
Gli stranieri che però hanno comprato lì la loro casa negli anni scorsi lo hanno fatto proprio per i suoi bassi prezzi e facilitati dalla possibilità di sottoscrivere mutui al 100%. Ora, con la crisi che ha reso molto più difficili finanziamenti di questo tipo, anche per loro il mercato è fermo. «Oggi a dare segni di vita è soltanto il giro degli affitti, sempre fra stranieri», spiega. Regolari? «Non so, perché sono gestiti dai proprietari degli immobili – dice l'agente– le agenzie non entrano neppure in questo mercato». «Che siano italiani e stranieri, però, tutti i proprietari della via hanno una cosa in comune: le loro case sono come un titolo in Borsa che ogni giorno perde il 10% del suo valore».
Nella zona di via Padova gli stranieri sono il 43 per cento; 346 le imprese di immigrati. Sono i dati censiti dalla Fondazione Ethnoland, che si occupa di progetti per l’integrazione degli stranieri. Il suo fondatore è Otto Bitjoka, un “afro-lombardo”, come si definisce, originario del Camerun e milanese da 34 anni: «Se si pensa male, si agisce male», dice. «Finché il punto di partenza è la paura dello straniero e la tutela di un’identità che non esiste non si risolveranno mai i problemi. Milano deve la sua storia all’immigrazione ed è una città multietnica fin nel suo Dna. Oggi, in città, sono presenti 192 etnie». «Occorre passare dalla logica della repressione a quella dell’integrazione», aggiunge. «Il primo passo è conoscere e capire. Per evitare le violenze era sufficiente un gesto di mediazione culturale: chiamare l’imam del Centro islamico che si trova lì accanto. Gli egiziani chiedevano il corpo per assolvere i riti previsti dal Corano dopo le morti violente. Gli agenti l’hanno impedito. Bastava far capire agli egiziani che ci sono leggi che prevedono un certo iter e alle forze dell’ordine che c’era bisogno di far presto, per consentire i riti religiosi entro le 24 ore. La violenza si sarebbe evitata».

Nella zona di via Padova gli stranieri sono il 43 per cento; 346 le imprese di immigrati. Sono i dati censiti dalla Fondazione Ethnoland, che si occupa di progetti per l’integrazione degli stranieri. Il suo fondatore è Otto Bitjoka, un “afro-lombardo”, come si definisce, originario del Camerun e milanese da 34 anni: «Se si pensa male, si agisce male», dice. «Finché il punto di partenza è la paura dello straniero e la tutela di un’identità che non esiste non si risolveranno mai i problemi. Milano deve la sua storia all’immigrazione ed è una città multietnica fin nel suo Dna. Oggi, in città, sono presenti 192 etnie». «Occorre passare dalla logica della repressione a quella dell’integrazione», aggiunge. «Il primo passo è conoscere e capire. Per evitare le violenze era sufficiente un gesto di mediazione culturale: chiamare l’imam del Centro islamico che si trova lì accanto. Gli egiziani chiedevano il corpo per assolvere i riti previsti dal Corano dopo le morti violente. Gli agenti l’hanno impedito. Bastava far capire agli egiziani che ci sono leggi che prevedono un certo iter e alle forze dell’ordine che c’era bisogno di far presto, per consentire i riti religiosi entro le 24 ore. La violenza si sarebbe evitata».

futuro in fuga

Lasciando perdere le analisi finto-sociologiche i discorsi per intellettuali che non vivono quello di cui scrivono, il futuro di viale Padova per molti si concretizza nella fuga. Via dalle scuole multietniche, dalle strade insicure, dagli appartamenti che grazie alla ‘pubblicità progresso’ degli scontri andati in mondovisione hanno perso valore in un mercato immobiliare già calato paurosamente. Fuga da una ingombrante e scomoda realtà. Quelli che potevano permetterselo hanno già abbandonato ‘la zona’, come veniva chiamata dalle compagnie di adolescenti fino a pochi anni fa, dirigendosi nell’immediato hinterland, spesso verso Segrate, Vimodrone e Cernusco. Molti si sono spostati di mezzo chilometro, nelle case del neonato quartiere Adriano, in fondo al viale di fronte all’ex Magneti Marelli. Un altro esodo è previsto a mesi, quando saranno pronti i migliaia di appartamenti costruiti da un consorzio di cooperative in edilizia convenzionata (ma comunque costosa per i precari e gli immigrati che vivono nell’area) nell’ex Magneti Marelli di via Adriano, abbandonata a fine anni Ottanta. Gli appartamenti che si svuoteranno andranno ad incrementare i già cronici problemi del quartiere che rischia di diventare il primo vero e proprio ghetto milanese.
[Modificato da ccc56 24/08/2010 08:18]
ccc56
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