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Bolla immobiliare - 33° Parte

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2010 17:05
05/04/2010 12:42
 
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Re: tutto il mondo e' paese...
laplace77, 4/5/2010 12:35 PM:


qui si parla di Ohio, ma se cambiate 1970 con 1990 e Cuyahoga con Lambro (che bastava poco per mandarlo a fuoco, di recente) e' facile pensare alla padania...


A partire dagli anni 1970, i sintomi di una nuova malattia erano diventati evidenti. La produzione si stava delocalizzando, così come i redditi e la sicurezza familiare. Un velo di tristezza esistenziale stava avvolgendo l’intera città, come un sinistro sintomo di una vitalità declinante esaltata dagli organi di produzione. Le acciaierie e le fabbriche di automobili stentavano. Il fiume Cuyahoga prese addirittura fuoco, come se anche il fato si stesse prendendo gioco della città. I principali commercianti al dettaglio se ne stavano andando altrove – in particolare nelle zone periferiche oltreconfine – dove già molti cittadini stavano scappando. La parte di popolazione che rimaneva in città era composta per lo più da quelle persone appena arrivate, scappate da una situazione contadina molto simile al servilismo della gleba ed arrivate in città da appena una generazione, nel tentativo di migliorare il loro status lavorando nelle fabbriche che ora, improvvisamente, stavano chiudendo. Sembrava una specie di truffa, e ne erano giustamente infuriati.

...

Il trend che ha preso piede da allora fino al famoso scoppio della bolla immobiliare ha puntato sulla continua espansione fino ai lontani confini della frontiera suburbana, metodo questo che ha reso le nostre città simili a delle stelle morte ed implose – fredde ed inerti al centro e circondate da inutili macerie che sconfinavano fino ad un infinito irraggiungibile.

...

Allo stato attuale, questa nazione disintegrata è tristemente distratta da Web 2.0, iPads, Avatar, Facebook e da quegli spettacoli della TV pieni di celebrità idiote, per non parlare del disastro della disoccupazione, i pignoramenti, le estorsioni sanitarie, la bancarotta, le depredazioni aziendali e gli sprechi della politica. Sappiamo che dobbiamo andare da qualche parte. Sappiamo che la storia ci sta mettendo da parte. Ma non abbiamo idea di come iniziare. E stiamo spendendo la maggior parte delle nostre energie mentali incantati a guardare nello specchietto retrovisore, l’ultimo posto dove dovremmo guardare.



...in italia e' diverso... (cit.)


[SM=g1750163]


www.abruzzo24ore.tv/news/Quando-gli-emigrati--eravamo-noi-e-i-rosarnesi/1...

Quando gli emigrati eravamo noi e i rosarnesi...

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

Il brano è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

Non ci andava meglio in Svizzera, negli anni ’70 con i leader che scrivevano: “Le mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».

In quegli anni – ieri rispetto alla Storia - in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.

Prima degli anni ’50 gli italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942 il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in Romania.

In India, nel 1893, il console italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.

Non sono aneddoti. E’ storia, tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009).

Gian Antonio Stella, nel suo bellissimo libro “Quando gli albanesi eravamo noi”, ci ricorda che “….Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia con un’auto imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da criminali italiani contro una banda avversaria.

Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che credono essere orizzonti migliori.


[Modificato da pax2you 05/04/2010 12:43]
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