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Diario della crisi economica

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2020 11:31
16/12/2014 17:20
 
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Gros: consumi prima che investimenti


Il mantra di Bruxelles e dell’Europa è che gli investimenti sono “la chiave” per la ripresa. Il fulcro della strategia economica della nuova Commissione è il piano per incrementare gli investimenti di 315 miliardi nei prossimi tre anni. Ma la proposta della Commissione è fuorviante, in termini di enfasi e per la struttura di finanziamento proposta.

Il piano, l’iniziativa del presidente Jean-Claude Juncker non costituisce una sorpresa. Con la zona euro bloccata in una recessione apparentemente senza fine, è radicata nel discorso pubblico l’idea che, per una ripresa sostenibile, siano cruciali investimenti di stimolo per la crescita. L’assunto è che l’aumento degli investimenti sia sempre preferibile, perché si aumenta il capitale sociale e quindi la produzione.

Non è detto che, attualmente, sia questo il caso dell’Europa. Le autorità della Ue (e molti altri) sostengono che la zona euro soffra di un “gap di investimenti”. La prova consisterebbe nel deficit annuale di 400 miliardi rispetto al 2007.

Ma il paragone è fuorviante, perché nel 2007 si è raggiunto l’apice della bolla di credito che ha portato allo spreco di un grande ammontare di investimenti. La Commissione lo riconosce nella sua documentazione di supporto al pacchetto Juncker, in cui si afferma che si dovrebbero usare gli anni precedenti all’esplosione del credito come punto di riferimento per i livelli di investimenti oggi auspicabili. Secondo tale misura, il divario negli investimenti corrisponde solo alla metà rispetto a questo.

Purtroppo, anche gli anni precedenti all’esplosione della crisi non sono un buon parametro per l’economia europea attuale, perché qualcosa di fondamentale è cambiato più velocemente di quanto in genere viene riconosciuto: le tendenze demografiche europee.

La popolazione in età lavorativa della zona euro è cresciuta fino al 2005, ma dal 2015 in avanti si prevede invece un forte declino. Dato che la produttività non ha registrato riprese, un numero minore di lavoratori comporta tassi di crescita potenziali nettamente inferiori. E un tasso di crescita più basso significa che è necessaria una quota minore di investimenti per mantenere il rapporto capitale/output.

Se la zona euro avesse mantenuto i tassi di investimento al livello degli anni precedenti alla crisi, si registrerebbe presto molto più capitale rispetto alle dimensioni dell’economia. Si potrebbe essere tentati di dire: e allora? Una maggiore quota di capitale va sempre bene.

Uno stock di capitale sempre crescente in relazione alla produzione, tuttavia, comporta rendimenti sempre più bassi e quindi, nel corso del tempo, sempre più prestiti in sofferenza nel settore bancario. Dato lo stato debole del sistema bancario europeo, accumulare troppo capitale quindi non è un lusso che l’Unione Europea può permettersi.

Anche evitando di chiedersi se è sempre preferibile avere “di più”, che cosa può fare il piano Juncker per avere un impatto positivo a breve sugli investimenti complessivi?

La ricerca accademica sulle determinanti degli investimenti ha generalmente concluso che la variabile cruciale è la crescita (o le aspettative di crescita), e che i tassi di interesse giocano al massimo un ruolo secondario. Una conseguenza immediata di ciò, ovviamente, è che è improbabile che la politica monetaria possa avere un forte impatto sugli investimenti.

In effetti, il segnale del mercato è chiaro: al momento, nella maggior parte della Ue, non vi è carenza di finanziamenti disponibili. I Paesi della periferia della zona euro, dove il credito potrebbe essere ancora scarso, rappresentano meno di un quarto dell’economia europea. Così la mancanza di fondi non è la ragione per cui gli investimenti restano deboli.

Il piano Juncker dovrebbe sbloccare, con 21 miliardi di euro in finanziamenti comunitari, progetti pari a 15 volte tale valore (315 miliardi). Sembra inverosimile. Il sistema bancario europeo ha già più di 1.000 miliardi di capitale. L’aggiunta di 21 miliardi di euro, sotto forma di garanzie a carico del bilancio comunitario, non dovrebbe avere un impatto significativo sulla propensione delle banche a finanziare gli investimenti.

Il piano Juncker punta, in particolare, sui progetti infrastrutturali, che sono spesso più rischiosi di altri investimenti. Ma questi rischi di solito non sono finanziari; riflettono potenziali ostacoli politici e normativi a livello nazionale. Questi problemi non possono essere risolti da una garanzia a carico del bilancio comunitario (che in ogni caso non potrebbe essere più grande di 1/15 del valore del progetto).

Il motivo per cui non esiste ancora una buona interconnessione tra le reti energetiche spagnole e quelle francesi non è una mancanza di finanziamenti, ma la mancanza di volontà dei monopoli dominanti su entrambi i lati del confine all’apertura dei loro mercati. Procedono lentamente anche molti progetti ferroviari e stradali, a causa delle opposizioni locali, non della mancanza di finanziamenti. In Europa, questi sono i veri ostacoli agli investimenti in infrastrutture. Le grandi aziende europee possono facilmente ottenere finanziamenti con interessi a tasso quasi zero.

La richiesta di maggiori investimenti è, superficialmente, sempre attraente. Ma ci sono ragioni fondamentali per ritenere che i tassi di investimento della zona euro rimarranno stabilmente molto bassi. Il gap di investimenti, spesso invocato, è per lo più il risultato di un pio desiderio, e le restanti barriere agli investimenti hanno poco a che fare con la mancanza di finanziamenti.

Le performance economiche di Stati Uniti e Regno Unito rappresentano una lezione importante per la zona euro. Il recupero di entrambe le economie è stato guidato, in gran parte, dalla ripresa dei consumi a carico di bilanci familiari più forti, soprattutto negli Stati Uniti. La ripresa degli investimenti ha seguito la ripresa della crescita dei consumi. Se i politici europei sono seriamente intenzionati riguardo alla ripresa economica, dovrebbero concentrarsi sui consumi, non sugli investimenti.


Daniel Gros

sole24ore
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