Ci siamo quasi?
Ciampi: si torni allo spirito del '93. «Una nuova stagione di relazioni industriali può essere la prima molla per il rilancio»
articoli di Dino Pesole e Nicoletta Picchio 24 giugno 2011
di Dino Pesole
L'accordo interconfederale tra Confindustria e «tutti i sindacati» auspicato da Emma Marcegaglia? Per un padre della concertazione come Carlo Azeglio Ciampi non vi sono dubbi: è la strada giusta per assestare quella scossa all'economia attesa da anni. «Faccio mio in pieno l'appello lanciato sul Sole 24 Ore a imprese i sindacati perchè condividano la nuova stagione contrattuale. A ognuno la sua parte: alle parti sociali individuare strumenti e percorso, al governo operare di conseguenza».
Ciampi è in montagna, all'Alpe di Siusi. Segue con la passione di sempre quel che si muove sotto il cielo dell'agitato proscenio politico ed economico nazionale. La preoccupazione non è mai sinonimo di rassegnazione per chi, come il presidente emerito della Repubblica, ha vissuto da protagonista molti dei passaggi più critici del nostro recente passato, dalla faticosa ripresa dopo la drammatica crisi del 1992 alla sfida della moneta unica.
Presidente, parlare con lei dello storico accordo del 1993, che pose le basi per il risanamento della finanza pubblica e innovò profondamente le relazioni industriali, è quasi scontato. Ma da allora è cambiato il mondo. «Vede - risponde Ciampi - quella che io oggi auspico non è certo la riedizione di quell'accordo. Il mio auspicio è che si torni allo spirito di allora. Spirito di responsabilità e condivisione di grandi obiettivi. Ricorda Bruno Trentin? Aveva firmato l'anno prima, il 31 luglio del 1992, l'accordo sul costo del lavoro con il governo Amato. Una firma sofferta. Annunciò le sue dimissioni da segretario della Cgil, che poi rientrarono. L'anno dopo firmò l'intesa con il governo da me presieduto senza esitazioni. Fu un accordo storico. Vuole una conferma? Rileggiamo insieme i commenti apparsi il giorno dopo sul Sole 24 ore. Serve a ricordare, documenti alla mano».
Accogliamo senz'altro l'invito del presidente emerito. L'intesa venne raggiunta il 3 luglio, e sottoscritta formalmente il 23. «Il breve rinvio - scriveva il Sole24Ore del 4 luglio 1993 - non pone assolutamente in discussione il valore dell'accordo, che innova profondamente il sistema delle relazioni sociali, stabilendo un diverso sistema contrattuale basato sulla politica dei redditi, norme innovative per l'elezione dei consigli di fabbrica e nuove regole di gestione del mercato del lavoro». Ciampi allora la definì «un'intesa senza precedenti che ci pone in condizione avanzata rispetto agli altri paesi europei».
Certo, nel drammatico autunno del 1992 avevamo rischiato la bancarotta. Era la crisi più grave del dopoguerra, all'epoca di Corbino e Einaudi quando - come osservò in quei giorni Amato - «si discuteva se cambiare moneta, l'inflazione era alle stelle, il paese distrutto». E ora presidente?
«Ci sono tutte le condizioni per tornare allo spirito del 1993. Il paese è fermo da troppo tempo. Occorre che tutti facciano la loro parte nell'interesse del paese e delle generazioni future. Ecco questo è il punto: non vi è più tempo da perdere e una nuova, costruttiva stagione di relazioni industriali può essere la prima molla per far ripartire la nostra economia. Occorre la volontà degli uomini, la sincerità e l'onestà di sedersi tutti attorno al tavolo delle trattative senza pregiudiziali e preclusioni. Lo ripeto: con tassi di sviluppo poco lontani dallo zero non abbiamo chances. Questo è il momento per dare un segnale, forte, concreto. Il segnale di un'intesa finalmente unitaria sarebbe molto importante».
Concertazione, una prassi di relazioni sindacali che sembrava consegnata all'analisi degli storici dell'economia, e che ora può essere riadattata alla mutata realtà del mercato del lavoro. «Possiamo anche definirla in altro modo - osserva Ciampi - ma quel che conta è l'obiettivo che si persegue». È esattamente quel che Ciampi ha sostenuto in più occasioni durante il settennato al Quirinale. Era il 24 ottobre del 2003. Ai nuovi cavalieri del lavoro lanciò questo messaggio: l'Italia recupererà quote di mercato «se saprà avere uno scatto di orgoglio, se tutto il sistema, imprese, lavoratori, banche, amministrazione dello Stato, mirerà unito verso l'obiettivo della crescita». Un passo indietro, al 7 febbraio del 2000. Ciampi parla a Bologna agli amministratori locali. Messaggio semplice e chiaro: «Nessuno può sottrarsi alla sfida di fare sistema».
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O abbiamo già cominciato?
Nella manovra ridotti gli stipendi degli statali sopra i 50mila euro. Giustizia a costi standard. Ecco le novità
articoli di Colombo, Rogari, Padula e Picchio 24 giugno 2011
di Davide Colombo e Marco Rogari
Costi standard anche per tribunali, prefetture e Motorizzazione civile, taglio del 5% degli stipendi pubblici superiori ai 50mila euro, blocco totale del turn over nel pubblico impiego, nuovo intervento sulla scuola per oltre 500 milioni. La griglia delle possibili misure da inserire nella manovra pluriennale da 43-45 miliardi, che sarà varata tra il 28 e il 30 giugno, è pronta.
Tra le opzioni dell'ultima ora spunta il blocco totale dell'indicizzazione per le pensioni oltre i 30.700 euro e quello parziale per i trattamenti tra i 18mila e i 30.700 euro. Ipotizzate anche la privatizzazione della Croce rossa, la chiusura di Ice e Enit (da "fondere" in un'altra struttura, forse un'Agenzia), la creazione di una holding per favorire la territorializzazione dell'Anas (in collegamento con il federalismo) un graduale accorpamento Province-prefetture e anche un intervento di razionalizzazione su Cinecittà. Una lunga serie di opzioni che sarà scremata, in primis dal ministro Giulio Tremonti, tra oggi e martedì, a partire dal capitolo previdenziale.
Sulle pensioni sembrerebbe confermato l'anticipo al 2013 dell'adeguamento dei requisiti anagrafici all'aspettativa di vita. Nel primo anno il tetto di innalzamento dell'età resterebbe fissato in tre mesi, per poi passare ad aggiornamenti ogni tre anni, in contemporanea con la rideterminazione dei coefficienti di trasformazione utilizzati per il calcolo degli assegni. L'altro anticipo ipotizzato riguarda il penultimo scalino Damiano (quota 97; 62 anni più 35 di anzianità o 61 più 36) che anziché scattare nel gennaio del 2013 varrebbe dal gennaio prossimo.
In manovra potrebbero esserci anche gli interventi di solidarietà sulle pensioni d'oro (8 volte sopra le minime) per dare un po' di sollievo ai pensionati con gli assegni più leggeri, mentre verrebbe introdotta con la legge di stabilità, in autunno, l'unica norma che non prevede una risparmio bensì una piccola spesa: la valorizzazione dei periodi lavorativi ai fini del calcolo della base contributiva con la totalizzazione piena pro-quota (senza più tetti triennali minimi di versamenti nella varie gestioni o enti).
Possibile anche una misura in chiave ricongiunzione su alcuni fondi, in primis gli elettrici. Il "pacchetto previdenza", sul quale anche oggi è previsto un confronto ministeriale, si dovrebbe completare con l'innalzamento al 33% dell'aliquota contributiva per i parasubordinati e il graduale innalzamento fino a 65 anni dell'età per il pensionamento di vecchiaia delle donne nel settore privato. Quest'ultima misura è quella più un bilico anche per il veto dei sindacati, che ieri hanno mostrato malumore anche per le altre ipotesi di intervento sulla previdenza. Ieri a favore dell'adeguamento s'è pronunciato Alberto Brambilla, presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale: «Io penso che l'innalzamento, già previsto per le lavoratrici pubbliche, vada fatto anche per il settore privato anche se con gradualità e tenendo conto dei figli avuti magari immaginando uno "sconto" per l'accesso alla pensione per i primi due».
Per Giuliano Cazzola (Pdl) non è uno scandalo se la previdenza è usata anche per fare cassa. Critiche sono arrivate dal'opposizione. Nel menù compare anche un intervento sul Tfr, per prevedere la possibilità di una restituzione ai lavoratori delle quote versate ai fondi pensioni in caso di «ripensamento», che però nelle ultime ore ha perso quota ed è stato per il momento accantonato.
Quanto al pubblico impiego il nuovo taglio si realizzerebbe con un'estensione della stretta del 5% già prevista per gli stipendi tra i 90 e i 150mila euro (10% per quelli superiori). Confermate, infine, le misure di contenimento della spesa, attraverso il meccanismo dei costi standard, su ministeri e sanità. Su quest'ultimo fronte dovrebbe scattare anche una riduzione della spesa farmaceutica per effetto di un intervento di razionalizzazione delle uscite per gli acquisti di beni e servizi. I Comuni dovrebbero contribuire alla manovra con tagli per 3 miliardi ma, almeno quelli virtuosi, dovrebbero beneficiare di un allentamento del patto di stabilità. Consistente si annuncia anche il taglio ai costi della politica.
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