Notizie macro - Crescita e globalizzazione

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: 1, 2, 3, 4, [5], 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17
grella
00mercoledì 25 marzo 2009 21:26
SCOZIA E FRANCIA, RABBIA ANTI-MANAGER

SCOZIA E FRANCIA, RABBIA ANTI-MANAGER
di WSI
Ville assaltate, assedio agli uffici. A sud di Parigi il direttore della filiale di un'azienda Usa (la 3M) in ostaggio degli operai minacciati di licenziamento. A Edimburgo attaccata la residenza di Goodwin, responsabile della crisi della Royal Bank.

www.wallstreetitalia.com
dgambera
00mercoledì 25 marzo 2009 21:39
Strauss-Kahn apre alla Cina: «Sì alla moneta globale»

La proposta cinese di sostituire il dollaro come «valuta di riserva» trova l'appoggio del direttore generale dell'Fmi. Per Dominique Strauss-Kahn la proposta di Pechino di far ricorso ai «diritti speciali di prelievo» (una moneta sovranazionale varata nel 1969 dal Fmi) è «interessante». Anche se, per discuterne «servirebbero diversi mesi»

L'iniziativa cinese
Gli Special Drawing Rights del Fondo Monetario Internazionale (diritti speciali di prelievo) sono una moneta sovranazionale varata nel 1969. Attualmente utilizzati solo come strumento contabile all'interno del Fondo e il suo valore è determinato da un paniere delle principali valute (dollaro, euro, yen e sterlina). Un Sdr vale circa 0,85 euro. Zhou Xiaochuan, governatore della Banca Centrale cinese ha proposto di utilizzarli, con alcune sostanziali modifiche così da renderli al passo con i tempi, al posto del dollaro. Un'idea esternata qualche settimana dopo che il premier cinese Wen Jiabao aveva espresso perplessità sulla tenuta delle finanze del Tesoro americano, destando scalpore, considerando che la Cina è il primo acquirente mondiale di titoli di Stato Usa.

Geithner: «Il dollaro resterà la valuta di riserva dominante»
Le esternazioni del numero uno del Fondo monetario Internazionale arrivano nel giorno in cui lo stesso segretatrio al Tesoro Usa Geithner ha ribadito che il dollaro «resterà la valuta di riserva dominante nel mondo». «Come paese faremo quanto necessario per assicurarci che ci sia fiducia nei nostri mercati finanziari» ha detto Geithner che comunque non si è detto pregiudizialmente contrario alla proposta cinese. «Capisco la proposta della Cina: si tratta di un'idea disegnata su un aumento dell'utilizzo degli Sdr del Fmi. Siamo abbastanza aperti su questo», dice Geithner, facendo scivolare immediatamente il dollaro, che nei minuti successivi alle sue dichiarazioni è arrivato a cedere l'1,3% nei confronti dell'euro.

Brown: «La Cina usi le sue riserve per stimolare l'economia»
Chi invece si è detto nettamente contrario alla proposta è il premier britannico Gordon Brown. «Non penso - ha detto - che al prossimo G20 avremo una lunga discussione sulla proposta di una nuova valuta globale». Un «problema più attuale» secondo Brown è quello di persuadere paesi come la Cina, l'India, il Giapone, la Corea del Sud ad utilizzare le loro consistenti riserve in valuta estera per stimolare l'economia.
dgambera
00giovedì 26 marzo 2009 12:40
Bce, tasso a 1% entro maggio, a 1,25% a metà 2010 -Confindustria

ROMA, 26 marzo (Reuters) - Il Centro studi di Confindustria (Csc) stima un ulteriore allentamento della Banca centrale europea entro maggio che porti il tasso di riferimento all'1% dall'attuale 1,5% e poi una lieve stretta a metà 2010 all'1,25%.

"Nello scenario del Csc la Bce prosegue l'allentamento riducendo il tasso di riferimento all'1% entro maggio come segnalato dai future sull'Eonia", si legge nel documento presentato stamani accanto all'osservazione che "il tasso reale sarà leggermente negativo (-0,1% da 2,8% nel 2008)".

Nel 2010, aggiunge la Confindustria, "sulla scia della ripresa e per allontanarsi da livelli giudicati troppo bassi, la Bce rialzerà lievemente il tasso di riferimento a metà anno all'1,25%".
dgambera
00venerdì 27 marzo 2009 20:11
UK economy shrinks at faster pace

The UK economy shrank even more than expected in the last three months of 2008, revised official figures show.

The Office for National Statistics (ONS) said the economy shrank by 1.6% compared to the third quarter.

That was the biggest fall in GDP (gross domestic product) since 1980 and more than an earlier 1.5% estimate.

The figures have also revealed a large jump in the proportion of household income that is being saved, producing the highest "savings ratio" since 2006.

Rising savings
The savings ratio surged from a negative number in the first quarter of 2008 to almost 5% by the end of the year, as people put aside money for hard times.

The jump was particularly strong in the last three months of the year.

"On the face of it this rise is good news - it means that a large portion of the necessary rebalancing of the economy away from spending and towards saving has occurred already," said George Buckley, an economist at Deutsche Bank.

Household behaviour has clearly been changing.
A regular survey carried out by National Savings & Investments (NS&I) showed that people are now saving an average of £90 a month, up from £87 a month during 2008.

The savings ratio has also been boosted by people borrowing less, with a slump last year in new mortgages, and consumers reining in their spending on credit cards and other types of borrowing.

A series of interest rate cuts by the Bank of England in the past year, taking rates to a record low, has dramatically lowered the cost of some mortgages.

Shrinking economy
"Income from falling mortgage interest payments may particularly being saved," suggested Vicky Redwood, UK economist at the consultancy Capital Economics.

For the year as a whole, the UK economy grew 0.7%, which was unrevised. The GDP growth rate has fallen sharply from 2007, when the UK grew at 3%.

Analysts are expecting the UK economy to shrink in 2009 as whole.

Household expenditure fell by 1%, and all the major sectors of the economy contracted.

The main reason for the weaker growth was a slump in output of the construction sector. It fell 4.9% over the quarter, revised down from the initial estimate of 1.1%.
dgambera
00domenica 29 marzo 2009 16:56
Primi segnali di ottimismo, Borse 2009 in pareggio

«Le percentuali dei rialzi o dei ribassi in Borsa non danno la direzione». Avvisano gli operatori di mercato di fronte al recupero dei listini delle ultime due settimane. Ma certo i rialzi contribuiscono a migliorare l'umore dei mercati. Gli indici a livello mondiale, nonostante la corsa delle ultime due ottave, restano infatti sotto i livelli di inizio anno ad eccezione dei mercati emergenti (+4,17%), supportati da economie che seppur non in corsa come negli anni passati possono contare su stime di crescita rilevanti (per il 2009 Cina a +7,6%, India a +5,5%).

Negli Stati Uniti la chiusura di venerdì scorso (terza settimana positiva consecutiva) ha visto l'S&P 500 con un saldo negativo da inizio anno dell'9,66% nonostante il recupero del 20% dai minimi della prima settimana di marzo, mentre il Nasdaq Composite è tornato in parità. In Asia in leggera perdita da fine 2008 Tokyo (-2,63%), mentre spiccano per i rialzi a due cifre Shanghai (+29,5%), Shenzen (38,9%) e Taipei (+17,5%). L'Europa resta dominata dai segni meno: dove la peggiore è Milano (-16%) nonostante sia la piazza che dai minimi del 9 marzo ha recuperato di più (+29,5%). Francoforte (-12,6%), Londra (-11,2%) e Parigi (-11,7%) segnano comunque flessioni a due cifre. In un contesto in cui i tassi sul mercato interbancario continuano a scendere (Libor a tre mesi all'1,22%, Euribor a tre mesi ha aggiornato il minimo storico all'1,53% dal 2,89% di inizio anno).

L'attenzione è concentrata più che sui fondamentali delle società, che sono attesi inevitabilmente in peggioramento nel primo trimestre del 2009, piuttosto sui segnali che vengono dalla macroeconomia. E qualcosa nell'ultima settimana ha fatto sperare di poter presto avere visibilità sulla fine della crisi.

I segnali macroeconomici
Nell'ultima settimana il recupero dei listini è stato supportato dai segnali provenienti dall'economia statunitense. Se è vero infatti che i sussidi di disoccupazione restano ai massimi storici (d'altra parte la disoccupazione è un indicatore ritardato dell'andamento economico), altri dati hanno alimentato le speranze se non di una svolta almeno di una frenata della contrazione economica. Un primo segnale non più negativo è venuto dalle vendite di case esistenti a febbraio aumentate più di quanto atteso dopo i minimi di gennaio (4,72 milioni, +5,1% mese su mese). Ma c'è di più: per la prima volta in 10 mesi è tornato a crescere l'indice Fhfa che misura i prezzi delle case (+1,7%). Allo stesso tempo i tassi d'interesse bassi hanno dato una spinta alle richieste di mutui salite del 32,2% nella settimana al 20 marzo. Poca cosa dicono gli scettici, ma a questo va sommato il dato degli ordini di beni durevoli positivo dopo sei mesi di contrazione (in febbraio +3,4% m/m e -28,9% a/a) e la spesa per consumi (+0,2% in febbraio dopo il +1% di gennaio). La settimana prossima si avrà maggiore visibilità sulla reale attendibilità di questi primi segnali. È atteso per martedì l'indice Pmi Chicago (che misura la fiducia dei direttori d'acquisto di Chicago): il consensus degli analisti è per un lieve miglioramento a 34,7 da 34,2. Un segno di stabilizzazione è atteso anche dall'indice Ism manifatturiero (a 35,8) mercoledì, mentre la fiducia dei consumatori è prevista in recupero a 28 punti da 25.

L'Europa è un capitolo a parte, perchè i riflessi dell'andamento dell'economia statunitense arrivano con sei mesi di ritardo. Anche in questo caso, però, il consensus degli analisti sui dati attesi in settimana vede una complessiva stabilizzazione: l'indice di fiducia dei consumatori è stimato in ripresa a 65,8 da 65,4, mentre l'indice Pmi è previsto invariato a 37,6 punti. Sul fronte occupazione sia negli Stati Uniti sia in Europa i tassi sono previsti in rialzo: a 8,5 da 8,1 nel primo caso e a 8,3 da 8,2 nel secondo.

Le banche guidano i listini
Le banche hanno tolto e le banche stanno restituendo, commenta qualche operatore di mercato. E d'altra parte i numeri parlano chiaro: l'indice dei finanziari Usa ha guadagnato dai minimi dal 5 marzo il 67,5% (-41,5% da inizio anno), il corrispondente indice europeo dai minimi del 9 marzo ha messo a segno un +42,6% (-13,8% da inizio anno), mentre le banche italiane hanno registrato un +53,5 per cento. Questo non vuol dire che i titoli abbiano recuperato quanto perso: Citigroup al 5 marzo cedeva l'84% da inizio anno, Bank of America il 77%, mentre in Italia Unicredit ha raggiunto un minimo a inizio mese con un -58,5% e Banca Intesa con un -44,8 per cento. Di strada da fare quindi ne rimane, ma il comparto sta guadagnando fiducia dopo la presentazione da parte del Tesoro Usa dei dettagli del piano di acquisto dei titoli tossici e dopo le dichiarazioni positive dei gruppi americani sull'andamento del primo trimestre del 2009. Questo nonostante negli Stati Uniti si continui ad aggiornare la lista delle banche fallite: l'ultima in ordine di tempo è Omni National Bank, la 21esima bancarotta da inizio anno e la 46esima da inizio 2008.

Rally in tempo di Orso?
La domanda se si tratti di un rally in tempi di mercato dell'Orso o se si tratti di una stabilizzazione rimbalza da un desk all'altro nelle piazze finanziarie. Sono pochi, però, quelli che si sbilanciano.
Gli indici, come si accennava, hanno messo a segno recuperi a due cifre dai minimi di inizio marzo: +20,7% S&P 500, +12,15% Stoxx, +12,75% Francoforte, +14,6% Parigi e ben +29,5% Milano. A livello settoriale negli Usa domina il segno meno ad eccezione dei semiconduttori e del comparto costruzioni case. In Europa non si trova invece un settore in positivo. La maglia nera va alle assicurazioni (-24,7%), seguite dalle utilities (-19,4%), dai trasporti (-18,5%) e dall'industria di base (-17,4%). Hanno invece limitato i danni il retail (-1,17%), i petroliferi (-4,33%) e l'automotive (-7,8%).

Sul fronte dei risultati del primo trimestre gli analisti hanno rivisto settimana su settimana le previsioni al ribasso: attualmente il consensus indica un calo del 35% circa degli utili per la corporate Usa anno su anno, mentre per l'Europa le attese indicano una flessione dei risultati del 26,3 per cento, secondo le elaborazioni di Thomson Financial Reuters.

Quanto queste stime sono già scontate dai valori di mercato? «Il mercato ha già scontato molte brutte notizie. I coraggiosi possono trovare delle opportunità agli attuali livelli» commenta Don Hanna di Goldman Sachs, aggiungendo però: «noi rimarremmo fuori dalla corsa al rally ad oggi. Il momento per essere più aggressivi sarà quando le attese degli economisti indicheranno una svolta».


laplace77
00domenica 29 marzo 2009 19:56
dgambera
00lunedì 30 marzo 2009 11:55
Eurozona: fiducia stabile, calo più accentuato in Italia

In Italia l'indice che misura la fiducia di business e consumatori in marzo ha registrato «il calo più significativo tra i grandi paesi», -4,5 punti a quota 67,1 da 71,6 in febbraio. Lo rileva la direzione generale Affari economici della Commissione europea.

La fiducia dei consumatori sembra stabilizzarsi invece nella Ue e cade di un punto nell'Eurozona; nel commercio al dettaglio aumento di due punti nella Ue e di un punto nell'Eurozona; nelle costruzioni si stabilizza in entrambe le zone. Cali «più marginali» della fiducia, rispetto all'Italia, in Francia e Polonia (-1 punto), Germania (-0,8) e Gran Bretagna (-0,4). Miglioramento leggero in Olanda (1,3 punti) e Spagna (0,8). Ci sono «segni di stabilizzazione in alcuni settori», ha affermato la direzione generale degli affari economici Ue commentando i dati.
laplace77
00martedì 31 marzo 2009 11:38
previsioni OCSE
al 13 novembre 2008


...............................2008.....2009......2010

Crescita.Pil
Stati.Uniti.....................1.4.....-0.9.......1.6
Giappone........................0.5......-0.1......0.6
Area.Euro.......................1.1......-0.5......1.2
Totale.Ocse.....................1.4......-0.3......1.5

Inflazione
Stati.Uniti......................3.6......1.2......1.3
Giappone.........................1.4......0.3.....-0.1
Area.Euro........................3.4......1.4......1.3
Totale.Ocse......................3.3......1.7......1.5

Tasso.disoccupazione
Stati.Uniti......................5.7......7.3......7.5
Giappone.........................4.1......4.4......4.4
Area.Euro........................7.4......8.6......9.0
Totale.Ocse......................5.9......6.9......7.2

Bilancia.corrente
Stati.Uniti.....................-4.9.....-3.9.....-3.6
Giappone.........................3.8......4.3......3.9
Area.Euro.......................-0.3......0.2......0.2
Totale.Ocse.....................-1.5.....-1.0.....-1.0

Saldo.di.bilancio
Stati.Uniti.....................-5.3.....-6.7.....-6.8
Giappone........................-1.4.....-3.3.....-3.8
Area.Euro.......................-1.4.....-2.2.....-2.5
Totale.Ocse.....................-2.5.....-3.8.....-4.1

Tasso.d'interesse.a.breve
Stati.Uniti......................3.3......1.7......2.0
Giappone.........................0.8......0.7......0.4
Area.Euro........................4.7......2.7......2.6




oggi, 31 marzo 2009:

..............................2008.....2009......2010

Crescita.Pil
Stati Uniti.....................1.1.....-4,0.......0.0
Giappone.......................-0.6.....-6.6......-0.5
Area Euro.......................0.7.....-4.1......-0.3
Italia.........................-0.1.....-4.3......-0.4
Totale Ocse.....................0.9.....-4.3......-0.1

Inflazione
Stati Uniti......................3.8....-0.4.......0.5
Giappone.........................1.4....-1.2......-1.3
Area Euro........................3.3.....0.6.......0.7
Italia...........................3.5.....0.7.......0.7

Tasso disoccupazione
Stati Uniti......................5.8.....9.1......10.3
Giappone.........................4.0.....4.9.......5.6
Area Euro........................7.5....10.1......11.7
Italia...........................6.8.....9.2......10.7
Totale Ocse......................6.0.....8.4.......9.9


Saldo di bilancio
Stati Uniti.....................-5.8...-10.2.....-11.9
Giappone........................-2.6....-6.8......-8.4
Area Euro.......................-1.8....-5.4......-7.0
Italia..........................-2.5....-4.7......-5.9
Totale Ocse.....................-3.0....-7.2......-8.7

Tasso d'interesse a breve
Stati Uniti......................3.2.....1.2.......0.7
Giappone.........................0.7.....0.6.......0.3
Area Euro........................4.7.....1.3.......0.6 


nazionalsindacalista
00mercoledì 1 aprile 2009 20:33
L’Argentina tradisce il dollaro per lo yuanIn gergo tecnico si chiama “currency swap”: è un’intesa bilaterale fra le due banche centrali di Pechino e Buenos Aires per i regolamenti valutari dell’interscambio tra le due nazioni.

In partenza l’accordo-swap vale 70 miliardi di yuan o renminbi (la valuta cinese) ma potrà essere aumentato a seconda della crescita dell’import-export bilaterale. La novità è che le transazioni commerciali tra i due paesi potranno essere regolate in valuta cinese, anziché in dollari Usa come accadeva di consueto. Il cambiamento ha una portata notevole. E’ un altro pezzo della leadership mondiale del dollaro che se ne va, sgretolato sotto la paziente ma implacabile offensiva dei cinesi. E stavolta la penetrazione dello yuan avviene addirittura nel “cortile di casa” degli Stati Uniti, quell’America latina dove fino a un’epoca recente l’influenza economico-finanziaria di Washington era dominante.

L’accordo firmato con l’Argentina è l’ultimo episodio nell’escalation di mosse con cui la Cina alza il suo profilo nella governance globale. La recessione internazionale diventa per Pechino un’opportunità: accelera i tempi del declino dell’Occidente e quindi dell’assunzione di un ruolo più importante da parte della Repubblica Popolare. Appena una settimana fa il governatore della banca centrale di Pechino ha fatto scalpore chiedendo che al G-20 di Londra sia messo all’ordine del giorno proprio il superamento del dollaro come moneta universale. Il governatore Zhou Xiaochuan ha proposto che nelle riserve ufficiali delle banche centrali e nei pagamenti internazionali al posto del dollaro Usa subentrino gradualmente i Diritti speciali di prelievo, una moneta-paniere (composta da dollaro, euro, yen e sterlina) attualmente usata come unità di conto dal Fondo monetario internazionale.

Zhou ha motivato la sua proposta con la necessità di stabilizzare l’economia globale, sottraendola agli choc provocati dal ruolo del dollaro. La moneta americana oggi è la più usata dalle banche centrali e nel commercio mondiale (per esempio per la quotazione delle materie prime), ma è condannata a riflettere le fragilità dell’economia americana e del suo deficit pubblico. Quella proposta del banchiere centrale cinese è stata accolta in Occidente come un ballon d’essai, non un’idea concretamente praticabile a breve termine. Intanto però Pechino procede su altri tavoli per dimostrare che la leadership del dollaro non è destinata a durare all’infinito.

L’accordo con l’Argentina è sorprendente perché investe un’area geografica tradizionalmente sotto la tutela finanziaria di Washington, e tuttavia non è una novità assoluta. Simili accordi di “currency swap”, per sostituire lo yuan al dollaro nell’interscambio con la Cina, sono stati firmati da dicembre a oggi con Corea del Sud, Bielorussia, Indonesia, Malesia, nonché con la piazza finanziaria di Hong Kong (un fatto significativo quest’ultimo, perché se Hong Kong è tornata a far parte politicamente della Repubblica Popolare dal 1997, tuttavia ha conservato la propria moneta che è agganciata al dollaro Usa).

In soli tre mesi dunque Pechino ha sfoderato una formidabile capacità di seduzione a scapito del dollaro. Gli accordi-swap che promuovono l’uso dello yuan nel commercio mondiale sono un “cavallo di Troia” per indebolire la supremazia mondiale della moneta Usa: i leader cinesi fanno leva sul proprio ruolo di partner commerciale per accompagnare alla penetrazione dell’export anche quella della loro moneta. La nuova grinta esibita da Pechino sarà messa alla prova giovedì al G-20. Uno dei test riguarderà il ruolo del Fondo monetario internazionale. Questa istituzione, che sembrava condannata a un declino inesorabile fino al 2008, è tornata di colpo in primo piano per effetto della recessione.

Di fronte al rischio-bancarotta che ha colpito una schiera di Stati sovrani (cominciando dall’Islanda per finire con la Romania), il Fmi è l’unica istituzione “addestrata” a intervenire velocemente con aiuti finanziari alle nazioni in difficoltà. L’Amministrazione Obama ha riscoperto l’utilità del Fondo: di fronte a un’Europa che rifiuta di varare manovre di spesa pubblica più sostanziose, gli aiuti del Fmi ai paesi emergenti possono essere una scorciatoia per sostenere la domanda dei paesi emergenti e quindi la crescita mondiale. Ma anni di marginalità hanno dissanguato le casse del Fondo monetario.

Il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, ha proposto una ricapitalizzazione di 500 miliardi di dollari. Stati Uniti, Europa e Giappone al massimo riusciranno a offrire 300 miliardi. Per andare oltre, tutti guardano alla Cina. Che però è determinata a negoziare duramente il proprio aiuto finanziario. In seno al Fmi l’influenza europea e americana è condannata a diminuire per fare spazio al nuovo azionista-Cina, deciso a pesare quanto la propria economia.

dgambera
00venerdì 3 aprile 2009 02:33
La Bce taglia i tassi all'1,25 per cento. Trichet: «Non è il limite minimo»

Il costo del denaro nell'Eurozona scende di 25 punti base, ma i mercati si attendevano una sforbiciata anche più drastica. Il presidente della Bce precisa: sulle eventuali misure non convenzionali si deciderà a maggio. Dal 2010 economia in grduale ripresa

«L'economia dell'eurozona si è indebolita ulteriormente nei primi mesi dell'anno e ci aspettiamo che rimanga debole per tutto il 2009 con segnali di miglioramento graduale nel 2010». Lo ha detto il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet durante la conferenza stampa di fine meeting del consiglio direttivo che ha ridotto il costo del denaro di 25 punti base all'1,25%, il nuovo minimo assoluto nei 10 anni di storia dell'Istituto. L'Eurotower, già a inizio marzo aveva ridotto i tassi di 50 punti base all'1,5%. Ridotti parallelamente anche il tasso marginale sulle operazioni di rifinanziamento e quello sui depositi presso l'istituto centrale, rispettivamente al 2,25% e allo 0,25 per cento.

Il livello raggiunto oggi dai tassi in Eurolandia, ha sottolineto il presidente della Bce, «non è il minimo possibile» e «possiamo scendere ulteriormente, in modo molto, molto misurato». .Sul come è maturata la decisione «tutti igovernatori erano d'accordo sulla necessità di ridurre ulteriormente i tassi di interesse. Nessuno ha proposto di lasciarli invariati» ha detto ancora Trichet. La Bce comunque deciderà a maggio su eventuali ulteriori misure non convenzionali, che vadano cioè al di là della leva dei tassi

Prezzi in frenata nei prossimi mesi
L'inflazione, secondo la Bce, rimarrà «ben sotto il livello del 2% sia nel 2009 che nel 2010». «Il livello dei prezzi - ha proseguito il presidente delle Bce - calerà ancora nel corso dei prossimi mesi risentendo dei ribassi dei prezzi delle commodities degli ultimi sei mesi. Per questo - ha detto il numero uno dell'Eurotower - riteniamo che verso metà dell'anno registreremo dei livelli negativi di crescita dell'inflazione». Questo tuttavia non preoccupa i banchieri. «Nel lungo periodo l'inflazione tornerà a crescere» ha detto Trichet secondo cui, per ora, non ci sono rischi di deflazione, quanto piuttosto con una forma di disinflazione che porterà a livelli negativi di inflazione a metà anno.

La reazione delle Borse
Le Borse europee hanno rallentato il passo di colpo, dopo l'annuncio del taglio di 0,25 punti base del costo del denaro da parte della Bce. Gli investitori si aspettavano un ribasso di mezzo punto percentuale. Nella consueta conferenza stampa del pomeriggio, il presidente dell'Istituto centrale europeo Jean-Claude Trichet spiegherà se la Bce intende adottare anche misure «non convenzionali» come indicato dallo stesso presidente dell'Eurotower nel corso del meeting del mese scorso. In particolare ci si aspettano possibile notizie sul fronte dell'allentamento quantitativo, magari tramite l'acquisto di titoli del Tesoro o di obbligazioni di società europee.tassi sia il minimo che possiamo permetterci».

Tassi ufficiali (in %)Ultima modifica
Stati UnitiFed Funds0 - 0,2516/12/2008
tasso di sconto0,5016/12/2008
Eurozonapronti contro termine1,252/04/2009
Gran Bretagnatasso di intervento0,50 5/03/2009
Svizzerabanda di oscillazione
del Libor a tre mesi
0-0,7512/03/2009
Giapponetasso di riferimento0,1019/12/2008


-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Sento puzza di:
- altro piccolo taglio dei tassi;
- quantitative-easing;
- deflazione sulla scia della Spagna.
laplace77
00venerdì 3 aprile 2009 09:12
le prime 3 banche del mondo sono cinesi?

cosi' dice grillo, e dice pure altro...





[SM=g7728]


nazionalsindacalista
00sabato 4 aprile 2009 12:33
Il presidente Chavez ha detto che i risultati del G20 "sono stati peggiori di ciò che ci si aspettava" e ha detto che è una "pazzia" la decisione di iniettare 500 milardi di dollari in organismi come il FMI e il Banco Mondiale.
"Dare soldi al FMI e al BM è come buttare carne agli avvoltoi, perchè sono essi i responsabili che hanno affondato il mondo".
"La cosa da fare, cioè quella di proporre una moneta alternativa al dollaro, non è stata fatta.". (Dichiarazione di Chavez in Iran dove si trova in visita di Stato).
dgambera
00giovedì 9 aprile 2009 18:37
Economia, ansia e brutte notizie come pesano su spesa e consumi

In periodo di crisi, è giusto dare informazioni ansiogene? Quali i meccanismi psicologici che determinano le scelte di investimento? Risposte e proposte di economisti ed esperti

Stop al pessimismo diffuso dai giornali. E poi, «la crisi è in gran parte colpa loro». Ancora, «basta con le previsioni» economiche negative. Le critiche del Governo ai mass-media (meglio, a parte di loro) e a istituti economici (anche prestigiosi) sono note e reiterate. Un agire cui sottende, più o meno, questo pensiero: la crisi c'è, ma basta alle notizie ansiogene, alle informazioni negative che minano la (scarsa) fiducia dei consumatori e degli investitori. La ripresa, altrimenti, diventa difficile.
Già, la fiducia della gente, dei consumatori. Ma è proprio vero che il news flow influenza le aspettative delle persone? E se sì, in che modo? E, poi, ha senso "alleggerire", "edulcorare", e diciamo pure, censurare certe notizie per non spaventare l'indifeso cittadino?

Informazioni negative? Sì grazie, ma più precise
«Attualmente - risponde Carlo Maria Pinardi, docente di finanza adiendale internazionale alla Bocconi - le notizie negative sono sovrastimate». Noi, checché ne dica la teoria neoclassica, non ci muoviamo secondo "razionalità". L'homo economicus spesso è imprigionato o si nasconde dietro affetti, ricordi e paure. «Molti esperimenti hanno mostrato- spiega Enrico Rubaltelli, esperto di psicologia degli investimenti dell'Università di Padova - che le nostre scelte "economiche" sono molte volte influenzate da ciò che ricordiamo di più: un esperienza, negativa o positiva, che ci ha segnati e cui attribuiamo un forte significato affettivo». È quella che gli studiosi chiamano euristica della disponibilità: stimiamo maggiormente probabile un fatto più sul suo ricordo e sull'impatto emotivo che sulla sua oggettiva probabilità. «In generale, però, l'evento brutto ci colpisce di più perché si allontana con maggiore forza da ciò che consideriamo normale».Una difficoltà ci fa "più male" e, giocoforza, ci obbliga (se possibile) a reagire. «Ci rimane più impressa. Così, soprattutto in periodi di crisi come l'attuale, sovrastimiamo le informazioni negative».

Come , dire quindi, che non vanno pubblicate? «No. L'informazione negativa deve essere comunque diffusa», risponde Pinardi. «Anche perché - fa da eco il professore Salvatore Rizzello, esperto di economia cognitiva - se poi l'evento, di cui non si è data notizia, si verifica può avere sul mercato un effetto prociclico, cioè amplificare le sue conseguenze negative». «È fondamentale - conferma Giacomo Pasini, docente di econometria all'università di Venezia - evitare asimmetrie informative: la notizia, cattiva o buona, va data». Anche se, «sembrerà lapalissiano - precisa Pinardi -, dev'essere precisa. Prendiamo, per esempio, il neologismo asset-tossici». Ebbene? «Si fa di tutta un'erba un fascio. Attraverso questa definizione si induce il pensiero che i titoli garantiti da immobili siano tutti "cattivi". Non è così: negli ultimi mesi, per esempio, le morosità sui mutui immobiliari americani sono salite sì ma solo del 6 per cento. Un trend negativo, ma non tale da giustificare rendimenti così elevati dei bond emessi dalle banche. Si tratta di un premio al rischio "drogato" dalla mancanza di fiducia a sua volta esasperata da un'informazione non precisa».

Italiani, popolo disincantato
Di più. «Molte volte - dice Marco Valli, chief italian economist di UniCredit - si parla di fiducia e non si distingue tra confidence dei consumatori e quella delle imprese. Quest'ultima, rappresentata da indici che vengono calcolati in base alle scorte, gli ordini e all'outlook aziendale di produzione, è difficilmente influenzabile da fattori esterni», quali i titoli e le notizie ansiogeni dei giornali. Questi, eventualmente, possono deprimere, sfiduciare noi comuni mortali. Anche se, su questo fronte, va notata una caratteristica tutta italiana. Se si confronta l'andamento (vedere il grafico sotto) dell'indice della fiducia dei consumatori nella Penisola rispetto all'Eurozona, «si nota - dice Valli - che nel nostro Paese c'è molta meno volatilità, non risultano così marcati i cicli economici. In particolare, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2008». E questo cosa significa? «Vuole dire che nei periodi di forte crescita economica l'ottimismo non sale così tanto e, al contempo, in quelli di crisi non crolla». Scontiamo un disincanto di fondo, una disillusione conseguenza (anche) dei problemi del sistema-paese: dal mercato del lavoro ingessato alla crescita comunque sempre limitata . Un umore che, paradossalmente, fa da scudo psicologico nelle recessioni, come l'attuale. Siamo già poco ottimisti: non sarà una notizia sul Pil che crolla o un'inchiesta in più sulla finanza mondiale a intaccare troppo la nostra fiducia.

La fiducia degli italiani a confronto con quella dell'Eurozona




Grafico normalizzato Fonte: Commissione Europea (Europa); Isae (Italia)

A ciascuno il suo annuncio
Al di là dell'effetto, o presunto tale, delle notizie negative sui consumi, quale l'influenza di quelle positive? Meglio: gli annunci politici, dei leader a favore dei consumi, a non farsi prendere dall'ansia che-tanto-la crisi-passerà sono efficaci? «Dipende - risponde Rubaltelli - L'effetto annuncio, in generale, è legato molto all'autorevolezza che noi attribuiamo a chi si pronuncia. In politica, poi, è importante il principio dell'identificazione. La dichiarazione colpisce maggiormente chi si riconosce nel personaggio che lo realizza. Più difficile, invece, che possa incidere sui comportamenti di chi non ha le stesse convinzioni». Al limite, bisognerebbe fare seguire all'annuncio delle concrete politiche economiche in grado di convincere della (presunta) validità dell'annucio stasso. «E, in questo, il neopresidente Usa Barak Obama è un vero maestro».

La Borsa e l'ottimismo
Fin qui l'ansia e la macroeconomia. Il discorso, però, può estendersi anche alla finanza dove il legame tra la fiducia e gli andamenti dei mercati azionari da sempre è molto stretto (vedere i grafici a pié di pagina). Ma quali, in particolare, i meccanismo psicologici che si mettono in moto durante l'attività d'investimento? Se le azioni crollano in Borsa, cosa succede? Spesso vendiamo subito. Ma ancora più spesso succede che teniamo i titoli ben oltre la perdita massima preventivata. Il motivo? «Non vogliamo - dice Rubaltelli - anticipare il dolore della minusvalenza». E poi, implicitamente, speriamo sulla ripresa dei corsi azionari. Aspettiamo, quindi, pazienti che parta un bel rally? Manco per ridere. «Passato un certo periodo, quando ci accorgiamo che gli altri investitori vendono a mani basse, ci adeguiamo. Per conformismo entriamo nel gregge». E il rimbalzo degli indici, ovviamente, l'abbiamo solo ancora immaginato.

Beatamente irrazionali.
Certo, non è un bel esempio di comportamento razionale. Eppure sono molti i signori Rossi, più o meno esperti investitori, che in questo periodo di Orso si sono comportati esattamente così. In maniera "prevedibilmente irrazionale". «Si tratta della cosiddetta avversione alle perdite - afferma Rubaltelli - , che un comportamento confermato da molti esperimenti». Come funziona? «Facciamo un esempio. Da una parte c'è l'ipotesi sicura di una perdita di 100 euro; dall'altra la scommessa di una probabilità del 50% di perdere 200 euro e del restante 50% di perdere nulla. Ebbene, la maggioranza delle persone sceglie la scommessa», anche se l'utilità attesa è uguale nelle due ipotesi. «Così come si preferisce tenere il titolo che sta crollando in Borsa, così si preferisce rischiare e cercare di evitare , o allontanare, la perdita e la sofferenza psicologica ad essa legata». Al contrario, quando il titolo è al rialzo, forte è la tentazione di vendere subito. «Qui, tra un guadagno certo di 100 euro e la scommessa al 50% di vincere 200 e al 50% di guadagnare nulla, la maggioranza sceglie la prima ipotesi». Porta a casa, cioè, il guadagno sicuro, anticipando la soddisfazione della plusvalenza. Insomma, anche nelle scelte d'investimento il tanto decantato homo economicus spesso si dissolve. Anche in questo siamo "prevedibilmente irrazionali".

In Europa, fiducia dei consumatori e Borsa a braccetto


Negli Stati Uniti l'ottimismo dei consumatori e quello di Wall Street


dgambera
00giovedì 9 aprile 2009 18:46
Bce: «L'inizio della ripresa nel 2010»

L'economia mondiale sta attraversando «una fase di profonda recessione», avverte la Banca centrale europea, che tuttavia nel suo ultimo bollettino mensile inserisce anche alcune note meno negative sulla situazione della congiuntura. «Anche se finora non sono emersi molti segnali chiari di una svolta dell'economia mondiale - si legge nel capitolo dedicato al contesto economico mondiale - di recente la velocità di rallentamento sembra essersi complessivamente moderata». «Le prospettive per l'economia mondiale sono caratterizzate da livelli molto elevati di incertezza - prosegue l'Eurotower - ma i rischi appaiono ora complessivamente più equilibrati». In questo quadro «è probabile che nel corso del 2009 la domanda continui ad essere debole sia a livello mondiale sia nell'area dell'euro, per poi registrare una graduale ripresa nel 2010».
Inflazione stabile sotto il 2 per cento. La scorsa settimana l'istituzione di Francoforte ha deciso un ulteriore taglio dei tassi di interesse, per 0,25 punti con cui il principale riferimento sul costo del danaro è stato abbassato all'1,25 per cento. Si tratta del nuovo minimo nei 10 anni di storia della Bce. Un taglio dei tassi che,oltre a tenere conto della debolezza economica, giunge mentre non si rilevano segnali di criticità dal fronte dell'inflazione. Anzi, l'andamento dei prezzi al consumo appare destinato a moderarsi ulteriormente nei mesi a venire, tanto che il Consiglio direttivo della Bce prevede che potrebbe «raggiungere livelli temporaneamente negativi alla metà dell'anno. In seguito - si legge - riprenderebbe ad aumentare».
Su orizzonti temporali più lunghi, quelli rilevanti per la politica monetaria, la Bce prevede che l'inflazione permanga a un livello inferiore al 2 per cento, sostanzialmente in linea con i suoi obiettivi, e rileva che anche gli indicatori sulle attese generali di inflazione nell'Unione monetaria sono in linea con gli obiettivi.
Responsabilità nella spesa pubblica e «credibili» misure anti-crisi. La Bce continua a richiamare i governi alle loro responsabilità nell'assicurare la solidità delle finanze pubbliche, mentre i deficit di bilancio risultano sotto pressione a causa della crisi, tra rallentamento delle entrate fiscali e surplus di spesa per i piani di sostegno a economia e finanza: «Molti paesi dovranno precisare ulteriori misure di risanamento credibili per il 2010 e gli anni a seguire». Secondo la Bce un «impegno credibile» a mantenere i conti in ordine sul lungo termine «è essenziale per mantenere viva la fiducia del pubblico, importante sia per la ripresa economica - recita il bollettino - sia a beneficio della crescita di lungo periodo».
«Alcune delle misure adottate di recente dai Governi per fare fronte al rallentamento economico - continua - rischiano di non portare a un miglioramento della qualità dei conti pubblici, in particolare perché potrebbero essere difficili da annullare, contribuendo così a creare distorsioni economiche che potrebbero inibire la crescita a lungo termine».
Flusso dei prestiti «molto contenuto». Il flusso di prestiti verso famiglie e imprese resta «molto contenuto» nell'Eurozona. Per quanto riguarda invece le società non finanziarie, il dato lievemente negativo di febbraio rispecchia un calo dei prestiti a breve scadenza, mentre per le scadenze più lunghe il flusso rimane positivo. La contrazione dei prestiti a breve termine, spiega l'Eurotower, potrebbe indicare una flessione della domanda di credito connessa all'indebolimento dell'attività economica. Dal punto di vista dell'offerta, è possibile che le tendenze dei mesi scorsi riflettano in parte gli sforzi delle banche per ridurre le posizioni a elevata leva finanziaria assunte negli ultimi anni.
Forte rischio di credito sul mercato dei titoli di Stato. Le turbolenze sui mercati finanziari hanno portato ad un aumento del rischio di credito nel mercato dei titoli di Stato, anche se gli stessi titoli hanno beneficiato della riallocazione dei portafogli verso attività ritenute più sicure. Con l'acuirsi delle turbolenze nell'autunno del 2008 - sottolinea la Bce - c'è stato un incremento della dispersione dei rendimenti tra paesi, riconducibile alle condizioni di liquidità divenute più difficili e alla maggiore incertezza e alle variazioni nell'apprezzamento del rischio e dei premi per il rischio.
In Italia cala la spesa pubblica, ma non per sanità, protezione sociale e affari economici. In Italia dal 1998 al 2006 l'ammontare della spesa pubblica rispetto al valore totale dell'economia ha segnato una riduzione, dal 49,2 al 48,9 per cento, rimanendo tuttavia a un livello superiore alla media dell'area dell'euro, dove è passata dal 48,6 al 46,7 per cento. L'incidenza della spesa pubblica è aumentata però su tre voci: sanità, dal 5,6 al 7 per cento, protezione sociale, dal 17,7 al 18,2 per cento, e affari economici, dal 4 al 5,9 per cento.
Questa incidenza della spesa sul Pil è invece diminuita sulle altre voci, ovvero i servizi generali delle amministrazioni pubbliche, dall'11,4 all'8,7 per cento, difesa, ordine pubblico e sicurezza, dal 3,1 al 2,7 per cento, istruzione, dal 4,8 al 4,5 per cento.
dgambera
00giovedì 9 aprile 2009 18:49
Trichet: i Governi devono essere più veloci

FRANCOFORTE – L'ufficio di Jean-Claude Trichet non è certo disordinato, ma è sommerso di documenti, faldoni e incartamenti vari. Sono ovunque: sulla scrivania, sulla mensola della libreria, sul lungo tavolo di riunioni. A due anni dallo scoppio della peggiore crisi economica e finanziaria dai tempi della Grande Depressione, il 66enne presidente della Banca centrale europea è in trincea o meglio in prima linea, e su diversi fronti. "È affaticato?", chiede l'intervistatore. "I tempi sono impegnativi, ma no, grazie, non sono stanco". Il banchiere centrale si è appena accomodato in poltrona per un'intervista con Il Sole/24 Ore. Risponde alle domande in modo preciso e meditato.
È un Trichet diverso dal solito, meno economista, più discorsivo e quindi più politico. La Bce, criticata per essere stata troppo lenta e cauta, respinge le accuse. Anzi incita i governi a introdurre le tante misure promesse in questi mesi. Dal canto suo, il compito dell'istituto monetario è di infondere fiducia, evitare scelte che penalizzerebbero la fiducia a lungo termine e dalle quali è poi difficile tornare indietro: "In molti campi abbiamo preso decisioni non convenzionali prima di altri. Lei lo sa per esempio che grazie in particolare all'offerta illimitata di liquidità i tassi d'interesse a sei e a dodici mesi sul mercato monetario sono più bassi in Europa che negli Stati Uniti?".

È appena terminata la riunione del G-20 a Londra. Una strategia comune tra i maggiori Paesi del mondo è stata trovata, anche se talvolta manca di mordente in molti campi. Che giudizio ne dà, almeno sul fronte della cooperazione internazionale?
Questa riunione rappresenta una svolta molto, molto importante nella cooperazione internazionale. Il G-20 appare ormai come un foro indispensabile nella gestione di questa crisi. Bisogna dire che il G-20 non è una istituzione informale totalmente nuova. È nata in realtà alla fine degli anni 90 come reazione alla crisi asiatica e si era dimostrata anche allora molto utile. Oggi però ha fatto un evidente salto di qualità, diventando un importante complemento del G-7 o del G-8. Insomma, la riunione di Londra è stata un'occasione storica, molto importante.

Sono state prese molte decisioni: nuove regole per la finanza, nuovo denaro al Fondo monetario internazionale, nuovo assetto più strutturato del Financial Stability Forum. Quali le più importanti?
Non metterei l'accento su una misura in particolare. Sono tutte importanti e vanno considerate insieme. Mi sembra che coprano tutti gli aspetti più rilevanti di questa crisi. Ora l'importante è che queste vengano introdotte in modo rapido, veloce e il più professionalmente possibile. Sarà importante a questo punto anche introdurre progressivamente misure anti-cicliche, nel campo dei regolamenti in particolare.

Vuole dire per caso che nonostante tutto finora i governi sono stati lenti nell'introdurre misure per alleviare le conseguenze della crisi e aiutare l'economia e la finanza?
Non direi che i governi siano stati lenti. Direi piuttosto che a livello mondiale, e quindi anche della zona euro, non sono stati abbastanza rapidi per essere interamente convincenti agli occhi degli operatori economici. Le misure di sostegno decise sono molto significative – rappresentano nell'Unione il 23% del Pil –, ma non sempre sono state introdotte in modo efficace. Ecco perché le misure decise a Londra debbono essere introdotte velocemente, rapidamente e nel modo più professionale possibile.

Eppure c'è chi alla Bce, Jürgen Stark, membro del comitato esecutivo, critica la decisione di aumentare il denaro a disposizione del Fondo e parla di "denaro distribuito a man bassa"?
Jürgen Stark ha parlato a titolo personale. Per quanto riguarda le risorse del Fondo, la Bce è d'accordo che l'Fmi ha un ruolo essenziale da giocare nelle circostanze attuali per assistere i Paesi in difficoltà. La gravità della situazione mondiale giustifica un aumento significativo delle risorse del Fondo. Queste risorse devono essere distribuite sulla base di appropriate politiche economiche nei Paesi che prendono a prestito. Per quanto riguarda la ripartizione dei Diritti Speciali di Prelievo (SDR, in inglese), non vi è ancora una valutazione del consiglio direttivo, che in ogni caso dovrà essere coinvolto. In quanto banca centrale dobbiamo rimanere permanentemente all'erta e attenti alla stabilità dei prezzi nel medio e lungo termine, come affermato nel comunicato del G-20.

Dalle autorità cinesi è giunta la proposta di una nuova moneta di riserva basata sugli speciali diritti di prelievo dell'Fmi che rappresentano in fin dei conti un paniere di valute. L'obiettivo è di uscire da un sistema monetario troppo incentrato sul dollaro. Lei cosa ne pensa?
Il tema dei cambi è per definizione estremamente delicato. Per quanto riguarda le monete convertibili, resto fermo sulle posizioni contenute nell'ultimo comunicato del G-7. Mi limiterò ad aggiungere che accolgo con calore le dichiarazioni di Ben Bernanke, Tim Geithner e del presidente Obama secondo le quali un dollaro forte è nell'interesse degli Stati Uniti. In questo campo, è essenziale che tutti siano molto responsabili.

A proposito giust'appunto della situazione finanziaria: da qualche settimana i mercati sono in rialzo. C'è luce in fondo al tunnel? O è più saggio rimanere cauti?
È da 18 mesi che questa domanda mi viene posta con una certa regolarità, prima e dopo il 15 settembre 2008 quando la crisi peggiorò a causa del fallimento improvviso di Lehman Brothers. Stiamo affrontando una correzione di mercato molto importante, molto impegnativa e molto turbolenta. È un processo ancora in corso. Dobbiamo dimostrare responsabilità, a livello pubblico e privato, e dobbiamo essere pronti ad affrontare eventi inattesi, una caratteristica propria di questa crisi. Insomma, dobbiamo rimanere permanentemente all'erta.

L'impressione è che la crisi finanziaria si sia travasata nell'economia e che ora la stessa crisi economica possa tornare a pesare sulla finanza, attraverso l'aumento dei fallimenti societari.
Fino a metà settembre dell'anno scorso, la crisi era soprattutto finanziaria. Le ricordo che fino al fallimento di un'istituzione sistemica americana i Paesi emergenti non erano stati toccati o quasi dal rallentamento economico. Con la bancarotta della banca d'investimento americana la crisi è peggiorata improvvisamente, si è generalizzata all'intero pianeta, colpendo non solo il sistema finanziario ma anche l'economia reale. Si è quindi creato una specie di circolo vizioso, che ha caratterizzato gli ultimi due trimestri. Le ripeto: siamo in un periodo di correzione dei mercati sempre in corso e di grandissima magnitudine.

In questo contesto, in molti Paesi si discute dell'ipotesi di nazionalizzare le banche. Secondo alcuni sarebbe un modo per ridare fiducia ai mercati e agli investitori, sempre preoccupati da istituti di credito ancora troppo fragili. Lei cosa ne pensa?
Quando si parla di nazionalizzazione vi sono due opzioni. Nella prima opzione, lo Stato prende il controllo di una banca, senza però modificare l'impianto legale. La società rimane di diritto privato e il Governo è un semplice azionista. Nella seconda opzione, lo Stato cambia la natura stessa dell'istituto di credito, che diventa di diritto pubblico. Dal mio punto di vista, se il controllo statale dovesse rivelarsi necessario sarebbe preferibile di gran lunga che fosse effettuato in base alla prima opzione.

L'obiettivo è quindi di garantire una presenza dello Stato nella società che sia temporanea, dando al Governo una via d'uscita?
Esattamente. La credibilità delle scelte dipende anche dalla presenza di una strategia di ritorno a una situazione normale. Nello stesso modo in cui noi come banca centrale dobbiamo avere una via d'uscita da una politica monetaria in tempi eccezionali, i governi devono pensare a una via d'uscita da misure straordinarie di politica economica.

In politica monetaria, via d'uscita significa che i tassi non possono scendere più di tanto?
Per le banche centrali via d'uscita significa avere un cammino chiaro attraverso il quale revocare le misure non convenzionali prese finora. Questo è essenziale per garantire ai cittadini che possono contare su di noi non solo per prendere decisioni coraggiose oggi, ma anche per assicurare la stabilità dei prezzi nel medio e lungo termine.

Tornando alle nazionalizzazioni, Lei crede che il controllo pubblico delle banche sia inevitabile per uscire da questa crisi?
È molto importante in queste circostanze essere umili. Guardare alle cifre e ai fatti caso per caso. Certamente non esiste una unica e sola soluzione per tutti. In alcuni casi eccezionali, però, il controllo di un istituto di credito da parte dello Stato potrebbe rivelarsi necessario e inevitabile.

La crisi ha colpito gli azionisti, con il crollo delle Borse. Pensa che anche gli obbligazionisti debbano pagare delle conseguenze, al di là del calo dei prezzi sul mercato secondario?
Noto che i governi di tutto il mondo si sono impegnati a non fare fallire istituzioni finanziarie sistemiche. Così facendo si sono impegnati a proteggere i creditori dal fallimento, mentre gli azionisti devono accettare i propri rischi. Questo impegno non può essere considerato una mezza promessa. Se vogliamo eliminare il rischio di un fallimento sistemico dobbiamo essere chiari su questo punto: l'ambiguità in questo campo sarebbe deleteria.

Veniamo in ultimo alla situazione economica nella zona euro. Le proiezioni di marzo degli economisti dell'Eurosistema parlano di una contrazione dell'attività economica nel 2009 intorno al 2,7%. Pensate che saranno riviste al ribasso?
Riducendo i tassi d'interesse di 50 punti base in marzo e di altri 25 punti base in aprile abbiamo preso in considerazione un ulteriore alleviamento delle pressioni inflazionistiche. In questo momento consideriamo di avere tenuto conto delle ulteriori informazioni emerse dall'inizio di marzo. Il 2009 sarà un anno difficile, con una forte contrazione dell'attività. I dati su base trimestrale probabilmente non torneranno in territorio positivo che nel corso del 2010. Ci aspettiamo l'anno prossimo una graduale ripresa, a patto che le misure di politica economica annunciate finora a livello internazionale siano introdotte, come ho già detto, in modo veloce e molto professionale.

Avete preannunciato novità per maggio. Non avete escluso nuovi ribassi del costo del denaro - oggi il tasso di riferimento è all'1,25% - e nuove misure non convenzionali di politica monetaria: dall'allungamento delle operazioni di rifinanziamento all'acquisto di obbligazioni sul mercato. Può darci qualche precisazione in più?
Per quanto riguarda il tasso di riferimento ho detto, per conto del consiglio direttivo, che non possiamo escludere ulteriori riduzioni in modo molto moderato. Per quanto riguarda il tasso sui depositi, ho detto che il livello attuale di 0,25% è già estremamente basso e che non mi aspetto cambiamenti nel prossimo futuro. Per quanto riguarda nuove misure non convenzionali, ho spiegato che il consiglio direttivo prenderà decisioni in occasione della riunione di maggio. Il consiglio non vuole anticipare in alcun modo le decisioni che verranno prese.
dgambera
00martedì 14 aprile 2009 15:24
La crisi dei mutui Usa finirà nel 2012

Un uomo in giacca e cravatta vende mele all'angolo di una strada, una folla è in fila per un piatto di minestra, un'auto sgangherata e stracarica arranca su una strada senza fine: questa è l'immagine degli anni 30 e della Grande Depressione, in America. Oggi, in un quadro assai meno deprimente, l'immagine sono i cartelli con su scritto Foreclosure, pignoramento, o For sale, in vendita, davanti a 3,8 milioni di case unifamiliari e ad almeno il doppio di altre unità abitative di ogni genere, dall'appartamento di lusso al monolocale, vuoti su uno stock complessivo di 130milioni di unità. Un eccesso di abitazioni che, alcuni mesi fa, era pari all'intero patrimonio abitativo australiano. A febbraio si è registrata una ripresa della domanda. Ma il 40-45% delle case in vendita sono abbandonate per pignoramento o difficoltà del mutuatario. E il lascito finanziario della grande bolla immobiliare non è finito.

I mutui subprime, concessi cioè a chi dava scarse garanzie, e detonatore della crisi, cartolarizzati, impacchettati, mescolati con altri titoli e venduti come Cdo in tutto il mondo, stanno esaurendo la loro carica esplosiva. Ma nel mondo dei mutui americani altre mine pericolose stanno per esplodere. Anche se non più inattese, e in parte contenute dal basso costo del denaro imposto dalla Federal reserve. È un problema vicino, perché di titoli infestati dai mutui americani sono piene molte banche europee.

La discesa dei prezzi immobiliari continua e questo spinge anche chi ha mutui non subprime a rifare i conti e a restituire l'immobile, cosa che la legge americana consente assai più che in Europa. Si restituiscono le chiavi e non si paga più il mutuo. Nel primo grande crollo nazionale dagli anni Venti il mercato immobiliare abitativo ha perso il 19% nel 2008 e il 30% dai picchi di inizio 2006. E potrebbe arrivare a perdere il 40 per cento. Milioni di americani hanno un mutuo più alto del valore della casa, ormai. Non sorprende quindi che il tasso di insolvenza sia stato finora per i tutti mutui - non solo subprime - dell'8,5% circa. Su un monte mutui di quasi 11 mila miliardi questo dà un ammanco attorno ai 900 miliardi. Poiché nell'insolvenza e nella vendita all'asta va in fumo circa la metà del valore, il danno finora generato sarà di circa 500 miliardi. Attraverso i Cdo, e con l'aggiunta poi della crisi di altri debiti, carte di credito, commerciali, corporate, la perdita di questa cifra ha avviato l'inceppamento della finanza mondiale.

I mutui subprime erano un anno fa pari a circa 1300 miliardi. A circa mille miliardi arrivano gli alt-a, quasi altrettanto inaffidabili dei subprime. A 500-600 milioni gli option arm (adjustable rate mortgages), forse i più allettanti all'inizio, e pericolosi. L'80% di subprime e alt-a, e tutti gli option, indicano una data in cui la rata va rinegoziata, e questo è il punto di rottura. I contratti iniziali, proprio perché si rivolgevano a clientela non ottimale, prevedevano uno, tre o cinque anni di rate più basse, poi la rinegoziazione. Dopo questa, molti mutuatari possono essere spinti a gettare la spugna, perché la rata può aumentare anche del 30%.

Come si vede dal grafico 1, le rinegoziazioni subprime sono quasi ultimate, quelle degli alt-a e option-arm hanno un primo breve picco nella seconda metà di quest'anno e poi riprendono con forza nel 2010 e s'impennano nel 2011 per poi crollare a metà 2012. Da allora in poi i mutui non daranno più pensieri. Ma nel 2011 e 2012 potrebbero creare guai seri. «Prevedo dei tassi di insolvenza pari al 50 per cento", ha detto Whitney Tilson, uno dei maggiori esperti del mercato. Un recentissimo studio del Tesoro dice che nel terzo trimestre 2008 per mutui rinegoziati nel primo trimestre c'era un tasso di insolvenza del 55 per cento. Se si tiene conto che il valore delle case è sceso molto, e scenderà ancora secondo gli esperti per tutto il 2009 e oltre scoraggiando sempre più il pagamento dei mutui, la portata del problema è chiara: altri 600-700 miliardi di insolvenze. Che ci saranno anche nella categoria agency, cioè i mutui acquistati, cartolarizzati e garantiti dalle megafinanziarie pubbliche Fannie Mae e Freddie Mec. Cambiando una politica consolidata che si limitava ai mutui prime, e sotto le pressioni della politica, negli ultimi anni hanno acquistato anche numerosi mutui di categoria inferiore. Le eventuali perdite ricadranno però per gli agency direttamente sul bilancio federale. Quelle di alt-a e option non agency, sulla finanza americana e mondiale.

Alan Greenspan chiariva tempo fa i termini del problema. Greenspan non è più quel gran banchiere centrale di cui si favoleggiava, è squalificato come stratega monetario e della finanza, ma il gran mea culpa fatto davanti al Congresso a fine ottobre lo ha un poco riabilitato come analista. «L'attuale crisi creditizia – diceva l'ex presidente Fed nel maggio 2008 – finirà quando l'inventario eccessivo delle case invendute sarà in gran parte liquidato e quando la deflazione dei prezzi immobiliari sarà finita. Questo stabilizzerà il valore ora incerto dei titoli immobiliari che sorreggono tutti i mutui, e soprattutto quelli legati ai titoli cartolarizzati. Come conseguenza della crisi vi saranno naturalmente grandi perdite. Ma dopo un periodo di lungo adattamento, l'economia degli Stati Uniti, e del mondo, potrà riprendere ad operare normalmente».

Il grosso vantaggio al momento è che le rinegoziazioni della seconda tranche delle rate avvengono con il costo del denaro quasi a zero, e questo incide sensibilmente e limita molto gli aumenti di rata, in numerosi casi. Il problema è che per tamponare la falla la Fed dovrebbe riuscire a tenere i tassi a zero ancora per due o tre anni. Non sembra facile. Nella rinegoziazione delle seconde tranche, come indica il grafico 2, il mercato non è nemmeno a metà del cammino, e si salirà in modo netto fino al 2012. Poi, la vicenda dei mutui americani potrà dirsi superata, se non conclusa.

Undici mesi fa, e Il Sole 24 Ore dell'11 maggio 2008 lo faceva a pagina 29 [SM=g7626] , era possibile prevedere per la fine estate o l'autunno 2008 l'impatto maggiore della crisi subprime, e il momento della verità per l'intero sistema finanziario. Questo perché tra il momento della rinegoziazione (riguarda anche il 15% dei mutui prime, a tasso variabile, computati quindi nel grafico 1, gli altri sono al fisso) sono necessari 3-6 mesi per vedere i pignoramenti. Il grosso delle rinegoziazioni subprime incominciava a primavera 2008. Puntualmente il 7 settembre Washington doveva salvare Fannie Mae e Freddie Mac, che oppresse dalle perdite da subprime non trovavano più credito sui mercati, e il 14-15 falliva schiacciata dai Cdo, zeppi di subprime, Lehman Brothers.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Bernanke: negli Usa la recessione sta rallentando

Ci sono «cauti segnali» di un rallentamento del passo della recessione negli Usa. Lo si legge in un discorso che il presidente della Fed, Ben Bernanke, pronuncerà ad Atlanta. Bernanke si é detto «fondamentalmente ottimista» sulle prospettive di lungo termine dell'economia statunitense e ha aggiunto che la Riserva federale continuerà a fare "tutto il necessario" per sbloccare i mercati.

L'inflazione
Per combattere il rischio inflazione interverremo «al momento opportuno», ha detto Bernanke che spiega come la banca centrale americana «ha a disposizione una serie di strumenti per drenare l'eccesso di liquidità e iniziare ad elevare i tassi di interesse al momento opportuno»

Caso Aig
Un fallimento di Aig avrebbe messo a rischio l'intero sistema finanziario. Ha detto il Presidente della Fed che ha spiegato come una bancarotta del colosso assicurativo americano avrebbe scatenato una reazione a catena, colpendo i numerosi istituti che, ad esempio, detenevano nel loro portafogli titoli assicurati dalla compagnia. Il caso Aig, afferma Bernanke, ha dimostrato la necessità di fornire alle autorità strumenti normativi che consentano di gestire situazioni di questo genere, sul modello dei poteri riservati alla Fdic in campo bancario. Il presidente della Federal Reserve ha poi sottolineato che pratiche come i mutui subprime hanno potuto avere campo libero in quanto non erano disponibili strumenti legislativi per limitarle.

-.-.-.-.-.-.-.-

La coda della crisi



dgambera
00giovedì 16 aprile 2009 12:16
Cina, la crescita rallenta. Pil a 6,1%

La crescita economica della Cina continua a rallentare. Secondo i dati del primo trimestre di quest'anno, diffusi oggi dall'Ufficio nazionale di statistica, il Pil - prodotto interno lordo - della Cina è aumentato soltanto del 6,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Nell'ultimo trimestre del 2008 il Pil annuale era aumentato del 6,8 per cento. L'anno precedente, l'aumento annuale del Pil era stato del 10,6 per cento.
Gli investimenti cinesi in capitale fisso nelle zone urbane sono cresciuti del 28,6 per cento nel primo trimestre del 2009 rispetto allo stesso trimestre del 2008, secondo l'annuncio dell'Ufficio statistica cinese.
L'indice dei prezzi al consumo in Cina segna una diminuzione dello 0,6 per cento su base annuale nel primo trimestre di quest'anno. Un anno fa la Cina faceva i conti con una inflazione dell'8 per cento.
La produzione industriale in Cina è aumentata soltanto del 5,1 per cento nel primo trimestre 2009 rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nel 2008 l'aumento nel primo trimestre sullo stesso periodo dell'anno precedente era stato del 16,4 per cento.
I dati sono stati diffusi oggi dall'Ufficio nazionale delle statistiche a Pechino.
dgambera
00giovedì 16 aprile 2009 20:22
Eurozona: nuovo calo della produzione industriale

Nei 16 Paesi di Eurolandia il calo della produzione industriale rallenta su base mensile ma continua a crescere su base annua.

Secondo i dati resi noti oggi da Eurostat lo scorso febbraio la flessione rispetto a gennaio è stata del 2,3% (le stime parlavano di un -2,5%) contro il 3,5% segnato a gennaio su dicembre 2008. Rispetto a un anno fa il calo della produzione industriale è stato però più pronunciato registrando un meno 18,4% rispetto al febbraio 2008 contro il 17,3% segnato a gennaio 2009 rispetto allo stesso mese del 2008.
Nei primi 2 mesi dell'anno la produzione si è contratta del 6,3% rispetto al quarto trimestre del 2008.

In questo contesto, Eurostat segnala che l'Italia, su base mensile, ha registrato il peggiore risultato nell'Eurozona (-3,5%) subito prima della Germania, la locomotiva dell'economia europea (-3,2%): Peggio dell'Itlaia, nella Ue a 27 fanno solo Lituania (-4,1%) ed Estonia (-3,6%).


Per l'insieme dei 27 Paesi Ue, la produzione industriale, secondo i dati Eurostat, ha registrato a febbraio un calo dell'1,9% rispetto a gennaio e del 17,5% su febbraio 2008.

Nella nota diffusa dall'Ufficio statistico europeo, si precisa anche che sono state riviste le stime sull'andamento della produzione industriale su base mensile relative allo scorso gennaio diffuse il 20 marzo. I dati aggiornati indicano che nel primo mese del 2009, rispetto al dicembre 2008, la flessione della produzione è stata del 2,4% per Eurolandia (meno 3,5% il dato diffuso il 20 marzo) e del 2,3% per l'insieme dei 27 (meno 2,9% la prima stima).

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Fmi: la ripresa sarà lenta. Segnali contrastanti negli Usa

«L'attuale recessione sarà insolitamente lunga e severa, e la ripresa lenta». Lo afferma il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), in uno dei capitoli analitici del World Economic Outlook che sarà diffuso la prossima settimana. «Recessioni associate a crisi finanziarie tendono a essere severe. La ripresa da queste recessioni è solitamente lenta. Se queste recessioni - spiega il Fmi - sono sincronizzate a livello globale tendono a essere ancora più lunghe e seguite da riprese ancora più deboli».

Intanto, dopo la pubblicazione del Beige Book della Federal Reserve, secondo il quale la crisi Usa è in fase di lenta stabilizzazione, è stato registrato un calo inaspettato per le richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione. Nella settimana terminata lo scorso 11 aprile, gli iscritti all'Ufficio disoccupazione sono diminuiti di 53mila unità, attestandosi a 610 mila. Gli analisti stimavano che le richieste fossero circa 658mila. La media mobile a quattro settimane dei nuovi sussidi è così scesa di 8.500 unità a 651 mila. Tuttavia nella settimana che si è conclusa il 4 aprile, il numero di persone che continua a ricevere assegni di sussidio è salito ancora di 146 mila unità al record di 5,79 milioni.

Altro dato positivo: l'indice del distretto della Federal Reserve di Philadelphia è migliorato in aprile a -24,4 punti dai -35 di marzo. Il dato è migliore delle attese degli analisti che si aspettavano un miglioramento più contenuto a -32,8 punti. Ad ogni modo, siamo ancora ampiamente in area negativa, che indica contrazione dell'attività manifatturiera della regione (si tratta del terzo più grande distretto degli Stati Uniti: include due terzi della Pennsylvania, il Sud del New Jersey e il Delaware).

Per contro, a sottolineare che il quadro resta assolutamente fluido e tutt'ora ben poco lusinghiero, il numero di nuovi cantieri avviati negli Stati Uniti è calato del 10,8% alla quota destagionalizzata di 510mila unità nel mese di marzo. Il dato reso noto oggi dal governo americano è peggiore delle attese degli analisti che alla vigilia avevano previsto una flessione del 7,4% a quota 540mila unità. In forte calo nel mese anche i nuovi permessi edilizi che sono scesi del 9% a 513mila unità contro attese per una flessione del 2,5 per cento.

Proprio oggi un'altra notizia dall'immobiliare ha dato il segnale della gravità delle crisi attraversata dal settore, che da mesi registra drammatici cali dei prezzi: General Growth Properties (numero due Usa nel settore dei centri commerciali, ne possiede circa 200) ha dichiarato bancarotta e chiesto al Tribunale di New York di accedere al chapter 11 della legge fallimentare Usa per essere protetta dalle richieste dei creditori e di operare sotto l'amministrazione controllata. Si tratta di uno dei più grandi fallimenti registrati nel settore immobiliare Usa. General Growth presenta 29 miliardi di attivo e 27 miliardi di debiti, quest'ultimi, in gran parte mutui immobiliari, non più rinegoziabili nell'ambito della gestione ordinaria.
laplace77
00giovedì 16 aprile 2009 20:39
Re:
dgambera, 14/04/2009 15.24:



...

-.-.-.-.-.-.-.-

La coda della crisi






mi ricorda qualcosa



poi dice che uno si firma cosi':

Laplace77 :: "una crisi che nessuno poteva prevedere"... ma ciucciatemi il calzino !!!




laplace77
00giovedì 16 aprile 2009 23:44
occhio domani...

Market Mover: L´agenda macroeconomica di venerdì 17 aprile

Finanzaonline.com - 16.4.09/21:47

Dal punto di vista Macroeconomico la mattinata di domani , venerdì 17 aprile, si aprirà con la diffusione dei dati relativi alla variazione del fatturato e degli ordini dell´industria italiana. A seguire verrà cominicata la bilancia commerciale dell´area euro. Dall´America invece si attente il dato della fiducia delle famiglie a cui seguirà , alle 18:00 ora italiana, il discorso del presidente della Fed Ben Bernanke.
In dettaglio:
Ore 10.00
ITA Fatturato industriale a/a febbraio Precedente -19,9%;
ITA Fatturato industriale m/m febbraio Precedente -2,1%;
ITA Ordini all'industria a/a febbraio Precedente -31,3%;
ITA Ordini all'industria m/m febbraio Precedente -2,1%;

Ore 11.00
EUR Bilancia commerciale dest. febbraio Precedente -5,5Mld€ , Consenso -3,4mld;

Ore 16.00
USA Fiducia famiglie (Michigan) (prelim.) aprile Precedente 57,3 Consenso 58,5.




dgambera
00mercoledì 22 aprile 2009 16:09
Fmi, Pil Italia -4,4% nel 2009, salgono debito e deficit

Il Fmi vede ancora dense nubi sul futuro dell'economia italiana, penalizzata come tutta l'Europa, dalla crisi. Nel «World Economic Outlook» di primavera, diffuso mercoledì 22 aprile a Washington, il Fondo monetario ha riveduto drasticamente la stima di crescita per l'Italia, abbassandola per il 2009 a -4,4 per cento. Il taglio é di ben 2,3 punti percentuali rispetto al -2,1% stimato soltanto tre mesi fa, a fine gennaio quando era stato diffuso l'ultimo aggiornamento dell'Outlook. Per il 2010 il peggioramento, stimato allo 0,1% in gennaio, é stato portato a -0,4 per cento

Il rapidissimo peggioramento della congiuntura é evidente nel confronto con il Pil 2008 (-1%) e 2007 (+1,6%). Anche l'Italia, come il resto del globo, é nella morsa di quella che il Fondo descrive come «la peggiore recessione dalla Grande Depressione» del 1929, innescata da «una massiccia crisi finanziaria» e da «un'acuta perdita di fiducia» a tutti i livelli del sistema economico. Per l'Italia la crisi si tradurrà anche in un balzo in avanti della disoccupazione che continuerà a salire, passando dal 6,8% del 2008 all'8,9% previsto per quest'anno e al 10,5% nel 2010. Il fortissimo calo di prezzo delle materie prime, soprattutto del petrolio, e il collasso della domanda, stanno invece, facendo scendere «in modo molto rapido», anche in Italia le pressioni inflative: il tasso di inflazione é, infatti, previsto allo 0,7% quest'anno, una discesa verticale dal 3,5% del 2008, con un ulteriore lieve assestamento allo 0,6% nel 2010
dgambera
00mercoledì 22 aprile 2009 17:41
Pil 2009 Germania, Steinbrück: «In calo almeno del 5%»

I maggiori istituti economici tedeschi prevedono per quest'anno un calo del Prodotto interno lordo della Germania del 6 per cento. Lo rivela il sito del quotidiano Sueddeutsche Zeitung, anticipando la previsione congiunta che otto centri studi presenteranno giovedì. La stima risulta più pessimistica rispetto a quella diffusa dal Fondo monetario internazionale, che si aspetta un calo del 5,6%. Lo stesso ministro delle Finanze, Peer Steinbrueck, ha ammesso che probabilmente il Pil tedesco scenderà quest'anno di almeno il 5%. Tuttavia l'Esecutivo federale non ha intenzione di preparare un terzo pacchetto anti-crisi, come confermato dal ministro dell'Economia, Karl-Theodor zu Guttenberg, al termine di un vertice anti-crisi svoltosi in cancelleria a Berlino.

Per il 2010, scrive la Sueddeutsche Zeitung, gli istituti tedeschi si attendono un calo del Pil dello 0,5%. Quest'anno il numero dei disoccupati dovrebbe crescere di oltre un milione di unità, superando quota quattro milioni in autunno e arrivando, in media, a 4,7 milioni nel 2010. Sul fronte dei conti pubblici, la Germania dovrebbe registrare un deficit pari al 3,7% del Pil nel
2009 e del 5,5% nel 2010.

Nel corso di una conferenza stampa a Berlino Steinbrueck ha spiegato che, a causa dell'attuale crisi, «non è improbabile» che ci sarà «un cinque prima della virgola». L'Esecutivo si avvia dunque a tagliare drasticamente le sue attuali stime, che prevedono per il 2009 un calo del 2,25%. Ciononostante «le speculazioni su un eventuale terzo pacchetto di stimolo sono controproducenti», ha precisato Steinbrueck. In tal modo il ministro delle Finanze ha respinto la richiesta dei sindacati tedeschi, che premono per un nuovo piano anti-crisi, dopo quelli già approvati a fine 2008 e a inizio 2009.

In mattinata il cancelliere Angela Merkel ha incontrato a Berlino i rappresentanti di sindacati, aziende e banche tedesche, per discutere gli effetti delle misure anti-crisi già approvate dal governo. Un vertice simile si era già svolto a dicembre. Alla vigilia dell'incontro il leader della confederazione sindacale Dgb, Michael Sommer, non ha escluso l'ipotesi di tensioni sociali in Germania, nel caso di un'ondata di licenziamenti nei prossimi mesi.
dgambera
00venerdì 24 aprile 2009 12:42
Gran Bretagna, la recessione si aggrava: Pil -4%

In Gran Bretagna la recessione economica si aggrava: nel primo trimestre il Pil ha accusato una contrazione dell'1,9 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, e del 4,1 per cento su base annua.

I dati diffusi dall'Ufficio statistico Gb si sono rivelati peggiori di quanto atteso in media dagli analisti. La flessione congiunturale del Pil è inoltre la più marcata da quella registrata nel terzo trimestre del 1979. Negli ultimi tre mesi del 2008 il Pil britannico aveva registrato una contrazione dell'1,6 per cento dal trimestre precedente. Nei giorni scorsi il ministro delle Finanze Alistair Darling aveva riferito che secondo il governo nel 2009 il Pil subirà un calo del 3,5 per cento, per poi segnare un parziale recupero dell'1,25 per cento nel 2010.

La produzione di auto in Gran Bretagna è scesa in marzo del 51,3% a 61.829 unità, di cui il 75,1% destinate all'esportazione. Lo ha comunicato la Smmt, associazione dei costruttori di auto britannici. In calo anche la produzione di veicoli industriali che é scesa del 57,1% a 8.074 unità nel mese scorso. La Smmt sottolinea in una nota l'urgenza di misure per il settore dell'auto, sperando che il varo di provvedimenti sulla falsariga di quelli adottati da Francia e Germania, possano far ripartire il mercato.
laplace77
00venerdì 24 aprile 2009 21:42
la cina e il dollaro
Cina rivela grande aumento riserve auree

Finanzaonline.com - 24.4.09/20:25

La Cina ha quasi raddoppiato la sua riserva d'oro negli ultimi cinque anni,seguendo una politica di diversificazione delle sue enormi riserve di valuta estera specie in dollari US. La Cina ora detiene 1054 tonnellate di oro, da 600 tonnellate possedute nel 2003, secondo quanto riferito da Hu Xiaolian, capo della Amministrazione statale del Foreign Exchange, che gestisce $ 1954bn in riserve in valuta estera.


[SM=g7728]

avoja a compra' petrolio...

dgambera
00lunedì 27 aprile 2009 12:21
Moody's conferma la doppia A all'Italia e ai suoi titoli di Stato

Il rating "Aa2" di Moody's sull'Italia e sui titoli di Stato italiani è saldamente a prova di crisi. La peggiore e più lunga recessione dal Dopoguerra non ha scalfito questa doppia "A" italiana che si traduce in un alto grado di affidabilità dello Stato nella sua capacità di ripagare tutti i debiti, puntualmente e integralmente. Assegnata da Moody's all'Italia nel maggio 2002, a distanza di sette anni questa "Aa2" mantiene le prospettive "stabili" in virtù della "forza economica italiana molto elevata" e nonostante "il peso del debito pubblico e i problemi strutturali" del Paese.

Sono questi i concetti principali contenuti nell'ultimo rapporto sull'Italia pubblicato oggi da Moody's, l'agenzia di rating che assegna il voto più alto allo standing creditizio dello Stato italiano, un gradino al di sopra della "AA-" di Fitch e due gradini sopra la "A+" di Standard & Poor's.
L'analisi sul rischio-Paese è un appuntamento che rientra nelle attività di routine delle agenzie di rating: tuttavia il tempismo di questo rapporto sull'Italia - un documento lungo 11 pagine fitto di numeri, previsioni e valutazioni che toccano tutti gli aspetti della vita economica, politica, sociale e finanziaria del Paese - consente a Moody's, nel contesto di una crisi caratterizzata da un impressionante grado di imprevedibilità, di dare le sue risposte alle preoccupazioni dei trader e degli investitori che detengono oltre 1.400 miliardi di BoT, CTz, CcT e BTp e che si interrogano continuamente sulla capacità dell'Italia di conservare i suoi rating mentre quelli di altri solidi Stati europei vengono declassati (Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia) o minacciati dalle retrocessioni. Per quanto riguarda Moody's, dunque, per ora la "Aa2" è solida con prospettive di medio termine stabili.

Questo rapporto sull'Italia è firmato da quattro analisti di peso: Alexander Kockerbeck (senior credit officer e primo analista per il rating sovrano italiano), Dietmar Hornung (senior analyst), Kristin Lindow (Regional credit officer for Europe and Africa) e Pierre Cailleteau (managing director). L'analisi si sofferma sulle grandi quattro aree tematiche che contribuiscono all'assegnazione del rating, in base alla metodologia di questa agenzia, con l'assegnazione all'Italia di un livello scelto tra cinque: molto alto, alto, moderato, basso, molto basso. Così la "Aa2"italiana ha una forza economica "molto alta"; un assetto istituzionale "alto"; una forza finanziaria del Governo "alta"; un'esposizione al rischio di eventi negativi "bassa".

Ecco i principali giudizi contenuti dell'analisi di Moody's
Forza economica – Molto alta ma con un'economia in recessione
•La forza economica dell'Italia è molto alta in virtù della diversificazione e delle dimensioni dell'economia e del reddito pro-capite degli italiani. Moody's ricorda che l'Italia è la settima economia al mondo e il quinto esportatore per volumi di beni manufatti (automobilistico, aerospaziale e difesa, meccanica di precisione, petrolchimica, armi da fuoco, elettricità, moda, lusso, alimentari), e gode di un settore turistico molto dinamico.

•Per Moody's, la forza economica dell'Italia è indebolita dalla perdita graduale di competitività: l'Italia nell'ultimo decennio è cresciuta "solo" a un tasso medio dell'1,2 per cento. Inoltre dli oneri e il finanziamento del debito pubblico assorbono gran parte del risparmio del Paese.

•Il mercato nero è molto esteso, non è rilevato statisticamente e quindi rende difficile la vera stima della ricchezza nazionale, secondo Moody's.

•Nonostante le riforme degli ultimi anni, le dinamiche della crescita economica continuano a essere frenate da numerose inefficienze: l'importazione di energia, l'alta pressione fiscale (resa più pesante dalla diffusa evasione fiscale), una crescita della produttività fiacca. Moody's sottolinea anche l'aggravante degli alti costi di lavoro per unità di prodotto "nonostante i livelli salariali modesti che a loro volta influiscono sui consumi".

•Il calo della competitività a livello internazionale dei prodotti italiani è accompagnato da un aumento abbastanza forte dei costi di produzione, dal 2001. Il tessuto industriale italiano dominato dalle Piccole e medie imprese è capace di grande flessibilità, riconoscono gli analisti di Moody's, ma è limito nella capacità di innovare: questo frena la crescita nella catena dei prodotti con alto valore aggiunto per affrontare la concorrenza dalle economie emergenti asiatiche che hanno costi salariali bassi.

•Le inefficienze della burocrazia ostruiscono la politica economica e il miglioramento del gap infrastrutturale, specialmente nel Sud del Paese dove permane il problema della criminalità organizzata.

•Anche Moody's prevede una contrazione dell'economia italiana nel 2009 e attribuisce questo calo non solo alla recessione su scala mondiale ma anche alle fragilità a livello nazionale: tra queste la mancanza di fiducia del consumatore e le condizioni di precarietà del lavoro della popolazione più giovane.

•Un fattore positivo sottolineato nel rapporto è rappresentato dal basso livello di indebitamento dei privati e l'alto tasso di risparmio delle famiglie: questo riduce il rischio di "deleveraging" (riduzione del debito) che per contro sta influendo negativamente sulle prospettive di crescita di molti altri Paesi industrializzati. Moody's cita come punto a favore delle risorse finanziarie dei privati il fatto che in Italia vi siano tra i 30 (Mef) e i 70 (Confindustria) miliardi di euro di crediti vantati dalle imprese nei confronti dello Stato.

•Lo spazio di manovra delle politiche fiscali per il Governo è limitato dalla situazione globale, dalla crisi economica e dalle dimensioni dello stock del debito pubblico. Moody's cita i 44 miliardi di euro del recente pacchetto di misure governative di stimolo, ricordando però che in parte erano già previste dalla Finanziaria 2009. La sfida per il Governo "è di sostenere la base industriale nel Nord del Paese, quella maggiormente colpita dalla crisi, e migliorare il flusso del credito bancario alle imprese". Il rapporto mette in chiaro che le banche italiane sono state meno colpite dalla crisi finanziaria internazionale (modello di business convervativo) ma restano comunque esposte al deterioramento dei crediti causato dalla recessione: sono valutati positivamente a questo riguardo i Tremonti-bond (che aumentano la capacità delle banche di erogare credito), l'estensione dell'attività della Cassa depositi e prestiti, gli incentivi per le auto, i nuovi investimenti dello Stato nelle infrastrutture.

•Secondo Moody's le banche italiane hanno un'esposizione limitata e altamente frammentata nei confronti dell'Est Europa.

•L'agenzia di rating non prevede che lo Stato italiano sarà chiamato a intervenire d'urgenza con piani massicci di salvataggio di banche (come è avvenuto invece negli Usa, in Irlanda, nel Regno Unito ndr.). Tuttavia, Moody's ci tiene a precisare che qualsiasi salvataggio sul sistema bancario italiano a carico dello Stato danneggerebbe le dinamiche del debito pubblico, che concede al Governo margini di manovra ristretti.

Forza istituzionale. Alta ma la governance e il sistema giudiziario sono carenze importanti.
•Tra le sfide importanti per l'Italia rilanciate dal rapporto-Moody's permane il miglioramento dell'efficienza della burocrazia nel Sud, considerato un passaggio obbligato per velocizzare lo sviluppo della Regione.

•Una maggiore efficienza del sistema giudiziario è altrettanto necessaria: la durata troppo lunga dei processi è un ostacolo all'applicazione dei diritti contrattuali.

•Moody's rileva una debolezza del sistema amministrativo italiano anche per quanto riguarda la politica dell'immigrazione, che "ha fallito nel promuovere l'integrazione" ed è sfociata in nuove tensioni sociali. "Una politica dell'immigrazione lungimirante è importante in un Paese come l'Italia che deve affrontare il calo della popolazione".

•Un'altra peculiarità del sistema Italia, secondo Moody's, continua a essere quella delle forti tensioni tra Governo e magistratura, risalenti al periodo di Mani Pulite e Tangentopoli.

• Quanto all'attuale Governo, Moody's ricorda che questa coalizione gode di una forte maggioranza alla Camera e al Senato, "una grande differenza" rispetto al precedente Governo Prodi. L'attuale opposizione, secondo Moody's è relativamente debole dopo le dimissioni di Walter Veltroni: nonostante la formazione del Partito Democratico, "le liti interne permangono".

Forza finanziaria del Governo. Alta ma pesa sempre il debito pubblico
•Il fattore principale che impedisce all'Italia di ottenere una promozione di rating dalla "Aa2" è l'alto livello del debito pubblico sopra il 100% del Pil abbinato alla mancanza di dinamismo economico e una popolazione in calo.

•Tra il 1970 e il 1990 il debito pubblico italiano è aumentato anche a causa del consociativismo. Il rapporto debito/Pil è migliorato per assicurare l'ingresso nell'Unione monetaria negli anni '90 ed è calato dal 120% al 104% del 2004: ma questo impulso al miglioramento si è affievolito dopo l'adesione all'euro. Il miglioramento dei conti pubblici italiani non ha tenuto il passo con quello di altri Stati con alto debito pubblico come il Belgio. Il surplus primario dell'Italia è calato dal 6% circa del 2000 a quasi zero nel 2005: scenderà all'1% del Pil nominale quest'anno e rimarrà sotto il 3% fino al 2011. Per Moody's questo livello di surplus primario non basta a compensare gli oneri per interessi sul debito vicini al 5% e un debole tasso di crescita del Pil. "Non si può escludere che i tassi d'interesse aumenteranno ancora a causa degli spread più elevati richiesti dal mercato sui titoli di Stato". In aggiunta, il rapporto ricorda che quest'anno l'Italia deve rinnovare 300 miliardi di debito in scadenza, al quale vanno sommati 60 miliardi di nuove emissioni di titoli di Stato in un mercato primario dei bond governativi nell'area dell'euro già molto affollato.

•Il deficit/Pil italiano quest'anno andrà oltre il 4% e si assesterà ad almeno il 3% nel seguente biennio: questo aumenterà dell'8% il debito/Pil che viaggiava al 106% nel 2008. Il deterioramento ciclico della dinamica del debito pubblico in Italia, durante questa crisi, è una conseguenza del calo delle entrate tributarie e di un aumento della spesa pubblica, due tendenze comunque in linea con quello che Moody's prevede accadrà anche in altri Paesi. Secondo le stime di questo rapporto, il consolidamento dei conti pubblici riprenderà in Italia nel 2011, ma solo se la crescita dovesse tornare in terreno positivo dopo una recessione di oltre il 3% quest'anno e una stagnazione nel 2010.

•Secondo Moody's la strada maestra per il miglioramento dei conti pubblici e il controllo sulle dinamiche del debito pubblico resta quella del contenimento della spesa pubblica, tenuto conto che le prospettive della crescita non sono buone. In questo contesto, il processo del federalismo fiscale secondo Moody's potrebbe contribuire ad aumentare il grado di responsabilizzazione e qualità della spesa pubblica: ma il trasferimento delle responsabilità dall'amministrazione centrale a quella locale dovrà essere accompagnato da controlli più rigidi di finanza pubblica.

•La crisi spinge l'Italia verso un'alteriore riforma delle pensioni, quanto mai necessaria. Secondo Moody's il sistema pensionistico italiano deve essere riformato perché è un capitolo di spesa che al 15% circa del Pil è già tra i più alti nei Paesi industrializzati. La riforma dell'età pensionabile può liberare risorse che dovrebbero essere riallocate per aiutare le generazioni più giovani a trovare un lavoro stabile. Per Moody's il problema della disoccupazione o sottoccupazione dei giovani è grave.

•In quanto dal rapporto debito/Pil, è previsto all'111% nel 2009 da Moody's, ben sopra la media del 72% stimata per l'Eurozona. Inoltre in termini di rapporto percentuale rispetto alle entrate dello Stato, il debito/Pil in Italia orbita attorno a quota 240%, ben sopra la media di 170% per la zona dell'euro nel 2010. L'alto debito pubblico assorbe in Italia, con gli oneri degli interessi, oltre il 10% delle entrate tributarie annuali contro il 6,7% in media nell'Eurozona. Ma la vulnerabilità causata dall'alto debito pubblico è attenuata, anche secondo Moody's, dal basso tasso di indebitamento dei privati.
dgambera
00mercoledì 29 aprile 2009 19:12
Germania, rivisto drasticamente al ribasso il Pil: nel 2009 -6%

Il Governo tedesco ha tagliato le stime del Pil 2009 da -2,25% a -6%. Per il 2010 é attesa invece una crescita dello 0,5%. Lo ha comunicato il ministero dell'Economia in una nota. Per i consumi privati é atteso un calo dello 0,1% nel 2009 e dello 0,3% nel 2010. Nel corso dell'anno il Ministero prevede una stabilizzazione della congiuntura. Il calo stimato del Pil per quest'anno è di gran lunga il più ampio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La peggiore performance dell'economia tedesca da allora si registrò nel 1975, quando il Pil scese dello 0,9%, la peggiore dalla Riunificazione delle due Germanie nel 1993, quando ci fu un calo dello 0,8%.

dgambera
00mercoledì 29 aprile 2009 19:15
Stati Uniti, il Pil giù del 6,1% ma ripartono consumi e prezzi

Il Pil (prodotto interno lordo) degli Stati Uniti ha subito una contrazione del 6,1% nel primo trimestre del 2009, un risultato nettamente inferiore alle stime degli economisti, che si attendevano un calo del 4,7%. L'economia americana ha continuato quindi a contrarsi a un ritmo pressoché costante fra il quarto trimestre 2008 (-6,3%) e i primi tre mesi del 2009, risentendo soprattutto della corsa delle aziende a ridurre gli investimenti in conto capitale. Si tratta dei peggiori sei mesi degli ultimi 50 anni.

È la prima volta dal 1975 che l'economia a stelle e strisce si contrae per tre trimestri consecutivi. A pesare sull'andamento dell'economia è il calo delle esportazioni, scese del 30% registrando il calo maggiore dal 1969. Le importazioni sono invece scese del 34,1%, la flessione più ampia dal 1975.

Il crollo del 37,9% degli investimenti aziendali, inoltre, è il maggiore di sempre ed è una conseguenza logica della scelta della Corporate America di pensare in primo luogo a ridurre le scorte di magazzino prima di finanziare nuovi progetti di sviluppo. Secondo i dati del governo, nel trimestre gli inventari sono calati di 103,7 miliardi di dollari contro la riduzione di 25,8 miliardi effettuata nel trimestre precedente. Questa maggiore riduzione delle scorte ha sottratto 2,79 punti percentuali al totale del pil del primo trimestre. Nel trimestre sono calate anche le spese del Governo federale (-4%) e del 3,9% quelle delle amministrazioni locali.

Una notizia davvero buona, tuttavia, è giunta dal fronte delle spese per i consumi che rappresentano il 70% dell'economia americana: dopo essere calate del 4,3% nel quarto trimestre del 2008 sono infatti tornate a crescere nei primi tre mesi del 2009 salendo di un 2,2% che, sebbene modesto per gli standard americani, è molto beneaugurante e allontana lo spettro della deflazione. Nel trimestre le spese per beni durevoli sono cresciute del 9,4% dopo essere calate del 22,1% nei tre mesi precedenti mentre gli acquisti di beni non durevoli sono saliti dell'1,3% e le spese in servizi dell'1,5%.

Nel complesso, le spese per i consumi hanno aggiunto l'1,5% al prodotto interno lorod. Ancora in grave crisi invece il comparto immobiliare: gli investimenti residenziali fissi sono calati del 38% (levando l'1,36% al pil) in ulteriore peggioramento rispetto al -22,8% del quarto trimestre 2008. Positivo infine (per 1,99 punti percentuali) il contributo dell'interscambio commerciale. Fra gennaio e marzo le esportazioni Usa sono precipitate del 30% ma le importazioni sono calate in misura ancora superiore, pari al 34,1%.

Buone notizie anche dal fronte dei prezzi: l'inflazione calcolata in base alla spesa per beni e servizi è aumentata del 2,9%. L'indice core, quello di cui la Federal Reserve tiene conto per le proprie decisioni di politica monetaria, è invece salito dell'1,5 per cento.

Dopo il rilascio del dato preliminare sulla crescita economica degli Stati Uniti, i prezzi dei titoli di Stato Usa hanno confermato i rialzi accumulati in precedenza, spingendo al ribasso i rendimenti sui titoli a breve. Il rendimento del Treasury a due anni cedeva nel primo pomeriggio 8 punti base attestandosi a 0,93%. Sul mercato delle valute il dollaro Usa ha confermato le perdite accumulate nei confronti della maggior parte delle concorrenti: l'euro si rafforza dello 0,9% a quota 1,3256, mentre la sterlina britannica guadagna lo 0,8%, scambiando a 1,4739 dollari. Il biglietto verde, tuttavia, sale dello 0,4% contro lo yen giapponese, a 96,74 yen. Contro il basket delle principali valute concorrenti, il biglietto verde è in calo a 84,56 da 85,18.
dgambera
00mercoledì 29 aprile 2009 22:01
Fed, tassi invariati allo 0-0,25%: «Modesti segnali di ripresa»

Il Fomc, il comitato di politica monetaria della Federal Reserve, ha lasciato invariati i tassi sui Fed Funds, come previsto, tra lo zero e lo 0,25%. I tassi, spiega la Fed nel documento emesso al termine della due giorni del Fomc (il comitato di politica monetaria), resteranno bassi per un lungo periodo. Le previsioni economiche sono migliorate da marzo, ma continueranno a restare deboli per un po' di tempo. «La spesa delle famiglie mostra segnali di stabilizzazione ma resta costretta dai tagli dei posti di lavoro e dalla stretta creditizia» aggiunge la Fed. «Le azioni politiche per stabilizzare le istituzioni e i mercati finanziari e gli stimoli fiscali e monetari contribuiranno a una graduale ripresa della crescita economica in un contesto di stabilità dei prezzi». L'economia americana ha accusato una contrazione del 6,1% nel primo trimestre rispetto a un anno fa, ben superiore al 4,7% atteso dagli analisti. I dati indicano tuttavia una ripresa dei consumi. Wall Street, in deciso rialzo, ha ignorato il dato sul prodotto interno lordo, apprezzando invece le pur prudenti rassicurazioni della Fed.
dgambera
00sabato 2 maggio 2009 01:58
Il Tesoro rivede le stime sul 2009: Pil in calo del 4,2%, deficit al 4,6%

L'economia italiana è risultata essere «meno esposta ai rischi specifici della crisi, anche se ha subito pesantemente il suo impatto indiretto». In particolare, il sistema bancario italiano appare «meno vulnerabile alla crisi finanziaria e l'impatto sui bilanci delle banche resta contenuto rispetto ad altri Paesi».

È con una nota di ottimismo che la Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica (Ruef), resa nota dal Tesoro, accompagna le ultime stime sui conti pubblici. Stime che si allineano con quelle già pubblicate nei giorni scorsi dalle istituzioni internazionali e dai centri studi, il più recente dei quali è stato prodotto dal Fondo monetario internazionale con il World Economic Outlook.

I timidi segnali di ripresa finora registrati in ordine sparso negli ultimi giorni si concretizzeranno però solo l'anno prossimo, quando la crescita del Prodotto interno lordo tornerà positiva a +0,3 per cento. «Nel 2009 - si legge nel documento - il Pil è stimato contrarsi del 4,2%, 2,2 punti percentuali in meno rispetto alla stima indicata nell'Aggiornamento del programma di stabilità dello scorso febbraio (-2%). Il profilo trimestrale prospetta una modesta ripresa a partire dal secondo trimestre del prossimo anno. Nel periodo 2010-2011 il Pil è proiettato crescere dello 0,7%».

Secondo la relazione del Tesoro è destinato a salire, come previsto, anche il debito pubblico: si attesterà quest'anno al 114,3% del Pil, per poi salire ancora al 117,1% l'anno prossimo e a 118,3% nel 2011. Il Tesoro ha rivisto quindi le stime in aumento: secondo le previsione pubblicate a febbraio, il debito/Pil era visto quest'anno al 110,5%, l'anno prossimo a 112% e nel 2011 a 111,6 per cento.

In aumento, ovviamente, anche il rapporto deficit/Pil. Nel 2009, secondo le previsioni contenute nella Relazione unificata sulla finanza pubblica, il disavanzo si attesterà al 4,6% del Pil, superiore di 0,9 punti percentuali rispetto alla stima elaborata a febbraio nell'Aggiornamento del Patto di stabilità interno (3,7%). Il livello di indebitamento nel 2010 si attesterà sullo stesso livello del 2009, per iniziare a scendere a partire dal 2011, anno in cui dovrebbe collocarsi al 4,3 per cento. Prevista in aumento la pressione fiscale: quest'anno salirà al 43,5% del Pil dal 43,3% delle ultime previsioni.

In difficoltà anche il mercato del lavoro. Secondo i nuovi dati, quest'anno l'occupazione, misurata in termini di unità standard di lavoro, mostrerebbe una «riduzione significativa» del 2,6 per cento. Nell'industria, la riduzione più ampia. Nell'ipotesi di una crescita nulla dell'offerta di lavoro il tasso di disoccupazione si attesterebbe all'8,6 per cento. L'occupazione tornerebbe a crescere nel 2011 (0,6%) quando il tasso di disoccupazione si attesterebbe all'8,5 per cento. Nel 2010, invece, si dovrebbe risalire all'8,7 per cento. Il tasso di occupazione invece sarà pari a 57,4% nel 2009, a 57,3% nel 2010 e a 57,7% nel 2011.

Le prospettive economiche globali, si legge nel documento, «si sono deteriorate negli ultimi mesi», ma allo stesso tempo «sono aumentati gli sforzi tanto dei governi nazionali quanto degli organismi e delle sedi sovranazionali». Ora, quindi, «si guarda con qualche speranza alla possibilità di rallentamento dell'attuale fase di crisi». Il rallentamento della crisi - spiega ancora il ministero - «dipende da fattori numerosi e variabili: dal ristabilimento di un'adeguata crescita a livello mondiale alla conservazione del commercio mondiale; dal miglioramento della situazione occupazione fino a una nuova spinta verso il progresso sociale».

«Le famiglie italiane - prosegue ancora il documento - sono meno indebitate rispetto alla media dell'area euro. Non ci sono in Italia squilibri interni che hanno contribuito ad appesantire, e in alcuni casi hanno determinato, l'attuale congiuntura sfavorevole di altri Paesi. Questo - viene sottolineato - lascia pensare che, non appena sarà superata l'attuale fase di difficoltà della domanda mondiale, l'economia italiana potrà contare su una base più solida per la sua ripresa. L'attuale crisi rappresenta un'opportunità di cambiamento e di sviluppo per l'Italia, un'opportunità che deve essere colta».


-.-.-.-.-.-.-.-.-

Alla faccia dell'ottimismo e dei segnali di ripresa [SM=g7728]
dgambera
00sabato 2 maggio 2009 02:04
Usa: più fiducia tra i consumatori, ma segnali contrastanti dall'economia

Ancora in chiaroscuro una serie di dati macroeconomici in arrivo dagli Stati Uniti. Bene la fiducia dei consumatori e l'andamento dell'attività manifatturiera, in lieve ripresa. Meno bene gli ordini industriali.

In aprile il dato rivisto sulla fiducia dei consumatori prodotto calcolato dall'Università del Michigan negli Stati Uniti ha registrato un rialzo a 65,1 punti dai 57,3 di marzo. Il dato preliminare era di 61,9 punti. Le cifre risultano superiori alle stime di mercato. Gli analisti di Wall Street si aspettavano un risultato di 61,9.

Sempre in aprile l'indice Ism, che misura l'andamento dell'attività manifatturiera negli Stati Uniti, è salito a quota 40,1 dai 36,3 di marzo, raggiungendo il livello più alto dallo scorso settembre. Lo ha comunicato l'Institute for Supply Management, di Tempe in Arizona. L'indicatore si è rivelato migliore delle stime degli analisti. Il consensus era per un rialzo più contenuto, a 38,4 punti. Ricordiamo che un valore superiore ai 50 punti indica un'espansione dell'attività manifatturiera, mentre un valore inferiore indica una contrazione.

Infine a gettare un'ombra sui barlumi di speranza per l'economia Usa - dopo che anche il Federal open market committee (Fomc), braccio operativo della Fed ha parlato di stabilizzazione e spazi per la ripresa - da segnalare che a marzo gli ordini all'industria hanno registrato una variazione negativa dello 0,9 per cento. L'indicatore si è rivelato peggiore delle previsioni degli analisti, che erano per un ribasso più contenuto dello 0,6%. A febbraio il dato era avanzato dell'1,8%, poi rivisto al ribasso a +0,7 per cento. Insomma, non si può ancora perdere il contatto con la realtà e dare la crisi per archiviata: le prove dei prossimi mesi si annunciano ancora impegnative.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:07.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com