Fallimento banche postate le news

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dgambera
00mercoledì 6 aprile 2011 15:13
dgambera
00mercoledì 6 aprile 2011 15:29
Banche, ok agli aumenti di capitale


In Italia, come nel resto d'Europa, sono aumentate le perdite sul credito di tipo tradizionale ....

dgambera
00venerdì 8 aprile 2011 20:10
Basilea 3: il fabbisogno delle banche italiane è di 11 miliardi. Metà solo per UniCredit, ecco le stime di Goldman

di Andrea Franceschi e Fabio Pavesi 7 APRILE 2011


È di oltre 11 miliardi di euro il fabbisogno delle principali banche italiane, di cui più della metà in capo alla sola UniCredit. Questa è la cifra che, secondo un recente report di Goldman Sachs, i maggiori istituti di credito del nostro paese dovrebbero raccogliere per adeguare il proprio core tier one (uno dei principali coefficienti patrimoniali) ai nuovi standard di Basilea 3. L'indice, che rappresenta il capitale di più alta qualità di una banca ed è misura della sua solidità, dovrebbe essere sopra l'8%. Una soglia che sale al 10 per cento per le banche cosiddette "di sistema" (UniCredit e Intesa Sanpaolo).

A Piazza Cordusio servono 5,798 miliardi di euro
La fetta più consistente degli 11 miliardi di deficit di capitale, stimato da Goldman per le banche italiane, è in capo a UniCredit. A Piazza Cordusio servirebbero 5 miliardi e 798 milioni di euro (il 17% della sua attuale capitalizzazione). Si tratta di una stima prudenziale perché calcolata su un core tier 1 "obiettivo" al 9 per cento. Per le banche "troppo grandi per fallire" dovrebbe essere al 10%. Per raggiungere questa soglia Intesa Sanpaolo ha recentemente varato un aumento di capitale da 5 miliardi di euro.

A Ubi ed Mps serve uno sforzo in più
In queste settimane si è parlato anche di un rafforzamento patrimoniale anche per Mps. La cifra dell'operazione, secondo le anticipazioni, sarebbe di 2 miliardi di euro. Perché il core tier one di Monte Paschi possa salire dal 6,1% attuale all'8%, secondo Goldman dovrebbero essere aggiunti altri 327 milioni di euro. Servirebbe uno sforzo in più anche a Ubi Banca, che ha recentemente varato un aumento di capitale da un miliardo di euro. Secondo gli analisti di Goldman Sachs, se a questa cifra si aggiungessero altri 390 milioni, il coefficiente di patrimonializzazione potrebbe tranquillamente arrivare alla soglia obiettivo dell'8%.

L'elenco prosegue con Banco Popolare. Per l'istituto di credito, che a gennaio ha lanciato un aumento di capitale da due miliardi, Goldman calcola un "capital gap" di 1 miliardo e 492 milioni (pari al 37% del capitalizzazione). Ci sono poi Banca Popolare di Milano (350 milioni pari al 27% del market cap) e Credito Valtellinese a cui mancherebbero 173 milioni per considerarsi ben patrimonializzata.

La più solida è Credem
L'unica a non aver problemi è Credem che ha chiuso il 2010 con un rispettabile core tier one all'8,6%, ben al di sopra della soglia di tranquillità. Tra i punti di forza della banca emiliana c'è poi la buona qualità degli asset. Il "non performing loan ratio", cioè il rapporto tra i crediti non performanti (sofferenze e incagli) e il totale dei crediti è a un modesto 1 per cento. Per questo motivo il Credem è l'unica ad essere stata risparmiata da Keefe, Bruyette & Woods, che recentemente ha tagliato il rating sul settore bancario del nostro paese. Anche il broker americano stima un deficit di "capitale". Nel complesso, secondo una stima di Kbw, Mps, Banco Popolare, Bpm, Ubi e Credem, dovrebbero raccogliere sul mercato 3 miliardi di euro per arrivare ad avere un core tier one all'8 per cento. La cifra raddoppierebbe con l'obiettivo al 9 per cento.

Domani con Plus24 in edicola approfondimenti sul fabbisogno delle banche italiane e sul caso Credem

©RIPRODUZIONE RISERVATA

dgambera
00domenica 10 aprile 2011 19:18
«Sondrio è pronta a ricapitalizzarsi»

di Luca Davi 10 aprile 2011


Un gruppo «solido», che per il momento non ha «alcun bisogno di una ricapitalizzazione» perché il patrimonio è «adeguato». Ma per la Banca Popolare di Sondrio l'ipotesi di un aumento di capitale è tutt'altro che lontana. Anzi, l'idea «è in cima ai nostri pensieri», spiega il presidente Piero Melazzini a margine dell'assemblea di approvazione del bilancio 2010.

Gli appelli di Bankitalia al rafforzamento dei coefficienti di solidità patrimoniale trovano insomma preparato l'istituto valtellinese che ieri ha comunicato i risultati del 2010, un anno che ha visto un utile in calo del 32,7% e la conferma di un dividendo di 0,21 euro per azione.

Come gruppo, conferma Melazzini, «abbiamo sempre mirato alla patrimonializzazione, e per noi (l'aumento, ndr) non è un obbligo». Piuttosto, segnala il banchiere che è stato confermato all'unanimità al vertice dell'istituto, quella di rafforzare ulteriormente il capitale «è una nostra volontà: più la banca è patrimonializzata e meglio è». Una linea approvata anche dal direttore generale Mario Alberto Pedranzini. «Noi stiamo già lavorando in un'ottica di Basilea 3. Oggi i nostri requisiti sono oltre i livelli richiesti (il Tier 1 Capital Ratio è all'8,07%, l'11,07% a livello d'impresa, ndr) ma la politica del gruppo è sempre stata quella di mantenere più alta del dovuto l'asticella dei requisiti patrimoniali. Quando saranno chiare le richieste del regulator allora ci muoveremo di conseguenza».

Dopo aver retto con tranquillità agli scossoni della crisi, il gruppo lombardo guarda così con fiducia al 2011. Come detto, il 2010 ha fatto segnare una flessione dell'utile del 32,7%, a 135 milioni (destinati per metà circa a dividendo e per metà a riserve) contro i 191 dell'anno precedente, in quello che si è affermato come un risultato record per la banca. A pesare sulla redditività è stato il calo del margine di interesse (sceso da 446 a 393 milioni) e le forti minusvalenze registrate nella gestione della tesoreria, specie sui CcT. D'altra parte, l'istituto, che può contare su 168mila soci, ha registrato sia un aumento della raccolta diretta (+8,3%, a 18.967 milioni di euro) che dei crediti verso la clientela (+9,2%, a 18.248 milioni) a conferma dell'ottimo rapporto costruito col territorio. Positivo il contributo di Factorit, società di factoring acquisita al 60% da Italease per 103 milioni di euro, che ha prodotto un utile di 10 milioni di euro circa.

Risultati che nel complesso consentono ai manager del gruppo di Sondrio di dirsi «soddisfatti», anche alla luce degli «effetti della prolungata crisi economica, della compressione dei differenziali di tasso e delle incertezze dei mercati finanziari». Un positivo avvio del 2011 («stiamo registrando una plusvalenza di circa 30 milioni di euro sui titoli di Stato», segnala Pedranzini) lascia insomma ben sperare per i futuri risultati. «Confidiamo di migliorare i dati del 2010 - conclude Melazzini -. Nel frattempo, se ci fossero occasioni interessanti sul mercato, non escludiamo possibili acquisizioni».

dgambera
00lunedì 11 aprile 2011 11:33
Mps convoca cda per aumento di capitale fino a 2 miliardi


Banca Mps ha rotto gli indugi e ha convocato per oggi un consiglio di amministrazione che ha all'ordine del giorno la proposta ai soci di tenere un'assemblea straordinaria per un aumento di capitale fino a 2 miliardi di euro. Lo hanno detto a Reuters due fonti vicine al dossier.

A metà seduta a Piazza Affari il titolo procede in lieve rialzo e poco dopo l'apertura quota 0,9360 in progresso di 0,6%. Mps ha un massimo dell'anno il 17 febbraio a 1,0360 e un minimo l'11 gennaio a 0,79 euro.

L'operazione di aumento di capitale, di cui si vocifera da giovedì 7 aprile, sarebbe stata sbloccata dopo il via del Tesoro a far indebitare la Fondazione fino a 1 miliardo per eventualmente finanziare la spesa dell'aumento.

Aumento di capitale per sostituire i Tremonti bond
L'aumento servirà come previsto a sostituire nel capitale della banca 1,9 miliardi di Tremonti bond che valgono 155 punti base di core Tier 1, oggi circa all'8,3% includendo le obbligazioni in mano al Tesoro, e che costano l'8,5% annuo di interesse pari a 160 milioni ad esercizio.
L'assemblea che potrà deliberare la delega al cda per l'avvio sul mercato dell'offerta delle nuove azioni dovrà tenersi almeno 30 giorni dopo la delibera del consiglio e quindi dopo la prima decade di maggio e sicuramente dopo l'assemblea di bilancio prevista per il 29 aprile.

Da allora, metà maggio, ogni giorno sarebbe buono per l'inizio dell'offerta. Fino a quel momento il management limerà i termini dell'offerta, sia per l'ammontare che «con molta probabilità sarà di 2 miliardi» sia per lo sconto da offrire sul prezzo, «non meno del 20% considerando che c'è la concomitanza di altre operazioni di raccolta di capitale», spiega la prima fonte vicina al dossier riferendosi agli aumenti da 1 miliardo di Ubi e e da 5 miliardi Intesa Sanpaolo.

Anche la Fondazione, principale azionista di Mps con il 55% del capitale totale in virtù di oltre il 10% di azioni privilegiate, dovrà definire le modalità con cui aderire all'operazione. Il 14 aprile è prevista la riunione della deputazione amministratrice che dovrebbe decidere quanto indebitamento utilizzare, rispetto a un miliardo di limite che ha ottenuto dal Tesoro, per finanziare l'aumento. Mercoledì 6 aprile una fonte aveva detto che sarà probabile che post aumento la Fondazione resti con il 50% delle azioni totali, rivendendo parte dei diritti dell'aumento ad altri azionisti, che hanno la prelazione, e diluendo così la sua quota attuale. In tal caso la Fondazione si indebiterebbe per meno del 20% dei suoi attivi e utilizzerebbe il debito come prestito ponte in attesa di cedere alcune partecipazioni non più strategiche. Sicuramente tra queste c'è la quota dello 0,42% in Intesa Sanpaolo, da tempo messa tra gli asset da cedere, mentre non è chiaro se ci sarà anche il 2% di Mediobanca, finora ritenuta strategica.

C'è anche la possibilità che la Cdp, scrive La Stampa, rilevi l'eventuale inoptato. Tra le opzioni possibili, ma sullo sfondo, c'è anche la possibilità di un aumento di importo ridotto rispetto ai 2 miliardi, convertendo parte dei Tremonti bond in modo da lasciare entrare l'azionista pubblico, con una quota minoritaria e rimborsando la parte restante delle obbligazioni con i proventi dell'aumento. Lo statuto di Banca Mps prevede, per tutti gli azionisti tranne la Fondazione, un limite ai diritti di voto sulle quote eccedenti il 4% del capitale.

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dgambera
00lunedì 11 aprile 2011 14:31
(sylvestro)
00lunedì 11 aprile 2011 21:53
Banche Ue: tra i rischi anche l'esposizione nell'immobiliare

11/04/2011

- Tra i rischi che pesano sul sistema bancario europeo c'è anche l'esposizione sul settore immobiliare.

L'allarme arriva da un'analisi dell'Eba (European banking authority) dal titolo “Key risks and vulnerabilities in the Eu banking sector” (I rischi principali e le vulnerabilità nel sistema bancario Ue).

Il documento, una ventina di pagine destinate all'Ecofin, è stato confezionato, come riporta l'agenzia Radiocor, sulla base dei dati relativi ai 26 maggiori gruppi bancari con attività transfrontaliere.

Non sono citate le banche nome per nome, ma di queste dovrebbero far parte almeno due italiane (Unicredit e IntesaSanPaolo).

In cima alla lista dei dieci maggiori rischi i del sistema bancario europeo figurano il rischio di credito relativo alle Pmi, seguito dal rischio relativo all'esposizione al settore immobiliare commerciale e agli sviluppi generali del settore immobiliare e dall'esposizione ai prestiti concessi alle grandi imprese.

L'elenco prosegue con le difficoltà del finanziamento della liquidità, relativamente al rinnovo dei titoli e alle nuove emissioni per finanziamenti all'ingrosso non garantiti con o senza garanzie pubbliche.

Al quinto posto troviamo l'esposizione sui mutui casa.

Seguono credito al consumo carte di credito comprese, finanziamento della liquidità in relazione alle evoluzione dei mercati finanziari, per esempio l'aumento degli spread del debito sovrano, il deprezzamento degli strumenti finanziari strutturati, il rischio sovrano derivante dall'impatto del taglio delle valutazioni delle agenzie di rating del debito sovrano; situazione dei mercati e rischio di controparte (sia riferito al trading che al banking book) oltre all'aumentata volatilità su equity e mercati del reddito fisso incluso l'aumento degli spread Cds.

Tornando al settore immobiliare, nel documento viene indicato come l'esposizione diretta delle 26 banche con attività cross-border è aumentata del 4,9% a fine settembre 2010 rispetto ai dati di fine 2009.

La parte più grande dell'aumento ha riguardato l'esposizione verso i mutui residenziali, mentre quella verso l'immobiliare commerciale è calato.

La proporzione più alta di esposizione delle banche nell'immobiliare rispetto al totale riguarda in Irlanda (25,9%), Lettonia (14,7%), Lituania (12,2%) e Bulgaria (11,6%).

La quota di esposizione “deteriorata” è del 30% in Irlanda, del 14,7% in Lettonia, del 12,7% in Lituania e dell'11,6% in Bulgaria.
dgambera
00martedì 12 aprile 2011 13:33
Allied Irish Bank quadruplica le perdite e annuncia il licenziamento di duemila dipendenti

di Nicol Degli Innocenti 12 aprile 2011


LONDRA - Nuove pessime notizie sulla condizione delle banche irlandesi "salvate" dallo Stato. Oggi Allied Irish Banks ha annunciato che le perdite annuali sono quadruplicate a 10,4 miliardi di euro nel 2010 e che dovrà licenziare oltre duemila persone. Gran parte delle perdite è relativa a crediti inesigibili e "bad asset" nel settore immobiliare verso il quale la banca era molto esposta e che è crollato con la crisi finanziaria.

«Il gruppo ha subito una perdita al netto delle tasse di 10,4 miliardi di euro nel 2010, a fronte di una perdita netta di 2,3 miliardi nel 2009, - ha fatto sapere la banca in un comunicato. – Prevediamo che una riduzione del personale di oltre duemila unitá avrá luogo in diverse fasi nel corso del 2010 e 2011». La banca ha un totale di 12mila dipendenti in Irlanda e oltre 2.500 in Gran Bretagna.

Allied Irish Banks, che è controllata al 92,8% dallo Stato irlandese, ha detto che le condizioni di mercato restano difficili e che deve quindi ridurre i costi per poter in futuro «giocare un ruolo attivo nella ripresa dell'economia irlandese». In seguito ai recenti stress test condotti dopo la concessione del maxi-prestito da parte di Unione Europea e Fondo monetario internazionale, è stato concluso che la banca, che ha giá ricevuto 7,2 miliardi di euro di aiuti statali, ha bisogno di altri 13,3 miliardi di euro. Delle quattro banche irlandesi rimaste, Allied Irish è stata giudicata quella in condizioni peggiori.

Il Governo irlandese prevede di consolidare il settore bancario in crisi, riducendo il numero di banche locali da sei a due cosiddette "banche-pilastro" nazionali. Allied Irish si fonderà con Ebs Building Society per formare un primo pilastro, mentre Bank of Ireland formerà il secondo.

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dgambera
00mercoledì 13 aprile 2011 17:51
Allarme Fmi sui debiti in scadenza delle banche: nei prossimi due anni 3600 miliardi di dollari

13 aprile 2011


Nonostante il trasferimento di rischio dal settore privato a quello pubblico verificatosi durante la crisi, «la fiducia nel settore bancario di molte delle economie avanzate non è ancora stata recuperata e continua a interagire in modo negativo con il rischio sovrano nell'Eurozona». È questa la fotografia scattata dal Fondo Monetario Internazionale nel suo Global Financial Stability Report, diffuso dal durante i meeting primaverili in corso a Washington.

Vulnerabili le banche dell'area euro
Quasi quattro anni dopo l'inizio della crisi globale insomma, la fiducia nella stabilità del sistema bancario non è pienamente ristabilita, con i mercati che continuano a temere che alcuni istituti «non abbiano sufficienti livelli di capitale, alla luce della qualità dei loro asset». In particolare, «le banche dell'area euro rimangono vulnerabili» al fabbisogno di finanziamento.

La spada di damocle del debito in scadenza
A livello globale, secondo lo studio, gli istituti bancari vedranno arrivare a maturazione debito per 3.600 miliardi di dollari nei prossimi due anni. «Le necessità di finanziamento del debito saranno più acute per le banche irlandesi e tedesche, che dovranno rifinanziare tra il 40 e il 50% del debito totale di loro competenza nei prossimi due anni».

Servono aumenti di capitale
Come si legge nel documento, per ristabilire la fiducia e ridurre l'eccessivo affidamento fatto sui finanziamenti della banca centrale, «sarà necessario un considerevole e ulteriore rafforzamento degli istituti dell'Eurozona». Questo richiederà più alti livelli di capitale e «la ristrutturazione, e qualora necessario la chiusura, di una serie di banche di minori dimensioni». Su questa strada, anche su indicazione del governatore della banca d'Italia Mario Draghi, si sono mosse diversi istituti di credito del nostro paese: Ubi Banca (con un aumento da un miliardo di euro) e successivamente Intesa Sanpaolo (5 miliardi) e più di recente Monte dei Paschi di Siena.

Gli stress test siano credibili
«Le autorità nazionali devono agire in modo specifico, perché hanno le notizie necessarie su ogni istituto» ha detto José Vinals, direttore del dipartimento mercati valutari e di capitale del Fondo Monetario Internazionale. Gli stress test che saranno messi in atto in Europa «sono un'opportunità importante per esaminare lo stato di salute delle banche, ma davono essere credibili, severi e di ampia portata».

Banche americane e il "nodo immobiliare"
Anche negli Stati Uniti, il sistema bancario «è ancora sotto pressione», soprattutto a causa di un mercato immobiliare ancora in difficoltà dopo la crisi del settore dei mutui. Come riporta il Fmi, le autorità negli Stati Uniti, in Irlanda, Spagna, Germania e Regno Unito hanno fatto o stanno facendo considerevoli sforzi per «cristallizzare le perdite, incrementare i capitali e aumentare il deleveraging» (la riduzione della leva finanziaria) «ma queste misure devono essere rafforzate e ampliate all`interno del sistema bancario di ogni Paese». In generale, «una serie completa di strategie è necessaria per eliminare le vulnerabilità del sistema bancario e senza queste riforme il rischio di frenata tornerà ad emergere».

©RIPRODUZIONE RISERVATA



Fmi: i rischi per la stabilità finanziaria
dgambera
00venerdì 15 aprile 2011 00:23
Dove l'ho letta una cosa simile?

Spagna: approvato il piano per la ricapitalizzazione del sistema bancario

Finanzaonline.com - 14.4.11/19:49

La Banca di Spagna ha approvato un piano per la ricapitalizzazione di 13 istituti di credito (9 Casse di Risparmio). Secondo le stime della Banca centrale saranno necessari 15 mld di euro per portare i ratios patrimoniali all´8-10%.


Fonte: Finanza.com
dgambera
00venerdì 15 aprile 2011 00:26
Banco di Sardegna: Cda propone aumento di capitale gratuito

Finanzaonline.com - 14.4.11/18:35

Il Banco di Sardegna ha annunciato che il Cda della società proporrà all´assemblea straordinaria un aumento di capitale gratuito imputando a capitale le riserve disponibili e aumentando il valore nominale delle azioni da 3 a 6 euro. L´operazione è finalizzata al rafforzamento patrimoniale.


Fonte: Finanza.com
dgambera
00venerdì 15 aprile 2011 12:57
Il dilemma della ricapitalizzazione agita ancora Bpm. Gli analisti vedono aumento oltre 600 mln

Finanzaonline.com - 15.4.11/12:26

Il cielo è terso su Milano, ma il vento che soffia è gelido. Anche Piazza Meda non è risparmiata. Passano i giorni e gli investitori continuano a ragionare sull'eventualità di ricapitalizzazione della Banca Popolare di Milano. Il titolo dell'istituto meneghino non a caso va giù: cede due punti percentuali, scambiando a 2,656 euro. La Banca di Italia due ha invitato ufficialmente l'istituto ad esaminare il capitolo rafforzamento patrimoniale, alla luce dei rilievi seguiti all'ispezione. E ad attuarlo. Un monito che lascia poco spazio al diritto di replica ai sindacati-azionisti della Bpm, che nelle ultime settimane hanno continuato a fare muro alla proposta di effettuare l'iniezione di capitale ventilata dal presidente Massimo Ponzellini. Per evitare il rischio della Milano, di ritrovarsi ultima tra le grandi cooperative a ricapitalizzare a un prezzo sempre più salato è intervenuta Banca d'Italia.

A inizio mese lo scontro tra Ponzellini e l'associazione Amici della Bpm, il "parlamentino" dei sindacati cui fa capo la maggioranza del cda di Bpm si era spostato anche su un altro fronte: quello della governance con la richiesta del presidente di mettere a verbale la votazione in cda sull'aumento di capitale da 500-600 milioni di euro su cui 13 consiglieri su 18 hanno risposto picche. Secondo quanto riportano i quotidiani nella sua relazione Banca d'Italia avrebbe messo nero su bianco diversi punti: primo avrebbe richiesto una ricapitalizzazione in tempi stretti anche superiore ai 600 milioni di euro, secondo la cancellazione del dividendo, terzo differenti ponderazioni di RWAs con incrementi di 300-400 milioni. E per fare quadrato anche sul fronte governance Palazzo Koch avrebbe sgombrato il campo con la richiesta di un aumento delle deleghe da 1 a 6. Tutto verrà deciso nel cda di martedì prossimo.

"L'aumento di capitale non potrebbe essere deliberato dall'assemblea del 30 aprile causa tempi", commentano questa mattina gli analisti di Equita. "L'eventuale execution sarebbe quindi nel terzo trimestre, principale elemento negativo qualora l'indiscrezione fosse confermata".Secondo il broker un aumento di capitale da 600 milioni di euro porterebbe il Core Tier 1 ratio pro-forma compreso il deal bancassurance da 7,1% a circa il 7,7%, ma richiederebbe la modifica dei termini del mandatory 2013, visto che a quel punto il capitale derivante dalla conversione non sarebbe più necessario. "Nelle nostre stime ipotizziamo la conversione del mandatory: un aumento di capitale da 600 milioni diluirebbe il ROTE da 7,8% a 7,3%, ma se venisse mantenuto anche il mandatory ci sarebbe un'ulteriore diminuzione di 1 punto percentuale".

Quanto all'aumento delle deleghe, a detta degli analisti della sim milanese, si tratterebbe di una modifica marketfriendly che migliorerebbe la governance, anche se il grip dei sindacati nel board potrebbe essere difficilmente ridotto. "Il cda indetto per martedì prossimo", segnalano invece gli analisti di Intermonte, "potrebbe annunciare la ricapitalizzazione funzionale anche al riacquisto di alcune minorities, come la Carialessandria e la Banca di Legnano, che secondo le nostre stime potrebbero mangiare altri 30 punti base di Core Tier 1 ratio. Al netto dei Tbonds e incorporando i maggiori RWA il core tier1 ratio di fine 2010 rivisto dovrebbe attestarsi intorno al 6,6% rispetto al 7,1%, ovvero sotto il 5,5% al netto dei Tbonds".


Fonte: Finanza.com


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Unicredit va giù in Borsa. Lo spauracchio ricapitalizzazione snerva il titolo

Finanzaonline.com - 15.4.11/12:47

Unicredit va giù in Borsa. E' ancora lo spauracchio di una ricapitalizzazione ad agitare il titolo che a Piazza Affari imbocca la via dei ribassi portandosi in calo dello 0,76% a 1,69 euro. L'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, a margine di una cerimonia a Praga ha ribadito che la banca non ha in programma alcun aumento di capitale essendo già conforme nel 2013 a Basilea III solo con la generazione di cassa. Il ceo di Piazza Cordusio poi ha aggiunto che si vedrà a fine anno la disciplina finale sui SIFI (banche a rischio sistemico) e quali requisiti potranno essere richiesti. Ma il mercato ci crede poco. Da settimane gli analisti si sono portati avanti, ipotizzando l'ammontare dell'aumento di capitale, che secondo loro prima o poi la banca sarà costretta ad attuare.

Fonte: Finanza.com
dgambera
00sabato 16 aprile 2011 20:34
Voi ci credete che è solo una questione politica?

Lettera al risparmiatore: se le banche aumentano il capitale brinderà anche Piazza Affari?

di Antonella Olivieri 16 aprile 2011


La risposta all'appello lanciato al Forex di fine febbraio dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, non si è fatta attendere. Draghi aveva sollecitato le banche italiane a rafforzare il capitale in vista degli stress test di giugno. In realtà Basilea 3 c'entra poco, perché entrerà in vigore solo a partire dal 2013 per arrivare a regime a fine 2018, ma Piazza Affari è già assillata dalle richieste di mezzi freschi da parte delle banche.

Prima dell'intervento del Governatore, si era mosso di sua spontanea iniziativa il Banco Popolare con un'operazione da due miliardi. A rompere gli indugi, poi, Ubi con la richiesta di un miliardo. A seguire Intesa-Sanpaolo (5 miliardi) e Mps (2,5 miliardi), mentre Bpm dovrà decidere in settimana sull'aumento da 600 milioni che era stato già bocciato dal cda a fine marzo. Basilea 3 non c'entra, nella corsa delle banche italiane a far scorta di capitali. C'entra probabilmente il desiderio del Governatore della Banca d'Italia di presentarsi alla selezione per la Bce con alle spalle un sistema in perfetta regola. Ma soprattutto conta l'obiettivo, in comune con il Tesoro, di garantire più ossigeno alle imprese e di innescare un circolo virtuoso contro la speculazione.

Più capitale delle banche significa migliori condizioni di funding per le stesse, migliori condizioni per le emissioni del Tesoro e sostegno all'economia. Una ricetta perfetta, se alla fine a brindare sarà anche Piazza Affari: gli aumenti di capitale diluiscono gli utili per azione, a meno che i banchieri sappiano far rendere al meglio il tesoretto a loro affidato.

Sul Sole 24 Ore di domenica 17 aprile la versione integrale della Lettera al risparmiatore sulle banche

©RIPRODUZIONE RISERVATA

kemar71
00domenica 17 aprile 2011 14:18
Sono tutti bravi a parlare degli altri...?!?!?
L'immobiliare azzoppa gli utili
di Bank of America

di ANDREA GRECO
MILANO - Inizia l'anno nettamente sotto le attese del mercato la Bank of America, il maggiore istituto americano e uno tra i principali al mondo. Nel primo trimestre chiuso a fine marzo l'utile netto del gruppo è stato di 2,05 miliardi di dollari (pari a 17 centesimi per azione, il 37% meno rispetto a 12 mesi prima), dopo ricavi di 26,88 miliardi, in calo del 16%. La media degli analisti finanziari si aspettava profitti per 27 centesimi ad azione, pertanto il titolo a Wall Street ha aperto in calo e prosegue perdendo l'1,2% poco sotto quota 13 dollari. Per avere un ordine di grandezza, si tratta all'incirca degli stessi utili che le maggiori banche italiane hanno totalizzato in tutto l'esercizio 2010.

Sul risultato di Bofa hanno pesato nuovi accantonamenti dovuti ai ritardi nei pignoramenti immobiliari e ai contenziosi legati della divisione mutui, che ha contribuito con una perdita di 2,39 miliardi alla trimestrale. Di queste passività, circa due terzi rivengono dalla transazione con l'assicuratore di bond Assured guaranty, per risolvere in via extragiudiziale contenziosi legati a passate cartolarizzazioni di mutui. Proprio negli Stati Uniti, quasi quattro anni fa, l'eccesso di prestiti al sistema immobiliare e ai cattivi pagatori (clienti "subprime") aveva innescato la crisi che ha portato alla recessione globale tra il 2008 e il 2009. E proprio tre anni fa Bank of America aveva acquisito Countrywide, uno dei grandi operatori immobiliari negli States.

Gli effetti di quella crisi, nel libri delle banche americane, continuano a vedersi. E suona profetica la raccomandazione espressa a marzo dalla Federal reserve, che aveva suggerito a Bofa (e non solo) di frenare nella distribuzione di dividendi. "Il gruppo è ancora indietro - ha detto a Bloomberg Ben Wallace, analista finanziario di Grimes & Co - lo vediamo in quel che succede nel business dei mutui"- Anche la rivale Jp Morgan, martedì, aveva ammesso nella contabilità trimestrale simili problemi sui prestiti immobiliari. "Sfortunatamente, queste perdite continueranno ancora per un po'", aveva detto l'ad di Jp Morgan, Jamie Dimon. Il suo collega in Bofa, Brian Moynihan, ha detto a riguardo: "Dobbiamo lavorare di più per dimostrare agli investitori che possiamo contenere simili oneri".

Buone notizie vengono, invece, dalla divisione Merrill Lynch, acquisita dopo il crac di Lehman Brothers (settembre 2008), che nell'ultimo trimestre ha mostrato una redditività in forte rialzo e ha assunto 200 banchieri.

Bofa, insieme ai conti a fine marzo, ha comunicato alcuni cambiamenti ai vertici: Bruce Thompson, attuale chief risk officer, assumerà alla fine del secondo trimestre la carica di direttore finanziario lasciata libera da Chuck Noski che a sua volta diventerà vicepresidente.
(15 aprile 2011)
link
dgambera
00lunedì 18 aprile 2011 01:05
Guardate la colonna dei crediti deteriorati

La selezione del credito alla prova di maturità delle ricapitalizzazioni

di Antonella Olivieri 17 aprile 2011


Basilea 3 non c'entra. Non sono le nuove regole di vigilanza, che andranno a regime solo a fine 2018, ad aver scatenato la corsa delle banche italiane agli aumenti di capitale. C'è tutto il tempo per adeguare il patrimonio, ma il problema è che le insidie non aspettano. E le opportunità nemmeno. A dare il «la» è stato il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che a fine febbraio, al Forex di Verona, aveva gelato la platea degli operatori con le parole che pochi avrebbero voluto sentire. «Sarebbe saggio che le banche che intendono procedere ad aumenti di capitale procedano con queste decisioni prima degli stress test», aveva invitato il Governatore».

Ma chi "intendeva" batter cassa agli azionisti? Di fatto, nessuno. E chi invece "intendeva" l'aveva già fatto. A muoversi, senza aspettare solleciti, era stato infatti solo il Banco Popolare, che il mercato aveva già messo nel mirino perché di tutte le banche quotate a Piazza Affari era quella che aveva i voti peggiori, con un 5,7 di core tier 1. Già a metà dicembre il Banco Popolare aveva preparato i soci all'ineluttabile evento, riuscendo a mandare in porto, tra gennaio e febbraio, una ricapitalizzazione da 2 miliardi.
grafici

Il Banco ha rimborsato gli onerosi Tremonti bond (1,45 miliardi) e recuperato la sufficienza con il core tier 1 risalito a un meno stiracchiato 6,5%. Ma vabbè, il mercato se l'aspettava la mossa della Popolare che si è sobbarcata la doppia eredità della Lodi e di Italease e non ci aveva fatto caso più di tanto: via il dente via il dolore. Invece le parole del Governatore, come un fulmine a ciel sereno, qualche sorpresa l'hanno destata. Ma chi avrebbe detto che a prenotarsi davanti a tutti, sarebbe stato proprio chi non aveva alcuna urgenza? Eppure è stata proprio Ubi a dare il buon esempio.

A fine marzo ha sparato un aumento di capitale da un miliardo che le consentirà di alzare di un punto il suo core tier 1, già vicino al 7%. E in canna ha pure un prestito convertibile che può migliorarle il ratio di altri 70 punti base. Però – a guardare la progressione dei crediti deteriorati sul patrimonio netto tangibile (poste immateriali escluse) – come evidenzia la tabella di analisi R&S-Il Sole 24Ore – si capisce che un po' di prudenza non guastava: i crediti problematici sono infatti balzati dal 34,4% del capitale netto tangibile nel 2008 all'81,4% nel 2010.

Alla fine anche Intesa-Sanpaolo ha dovuto arrendersi. Fosse stato per l'ad, Corrado Passera, non l'avrebbe fatto (l'ha dichiarato lui stesso alla presentazione del piano industriale), ma viste le sollecitazioni delle autorità ha considerato che era meglio rispondere. Tanto più che Intesa è nel rango delle "banche di sistema": dalla prima della classe si pretende di più. Intesa deve essere da 10 e infatti con l'aumento da 5 miliardi alzerà il ratio dal 7,9% al 9,4%. Scavalcata UniCredit, che ha l'8%.

Che dire? Mps ha resistito, ma anche lei alla fine ha dovuto capitolare. Dopo il Banco Popolare, l'istituto senese era quello dal quale tutti attendevano una mossa. C'era bisogno di rimborsare i prestiti più onerosi – 1,9 miliardi di Tremonti bond e 471 di obbligazioni perpetue "fresh" emesse nel 2003 – e comunque di far fronte a una situazione di crediti deteriorati superiori al patrimonio netto tangibile. Il rapporto tra le due grandezze (si veda la tabella R&S e Il Sole-24Ore) è andato peggiorando, dal 100,1% del 2008, al 104,4% del 2009 per finire al 115,3% del 2010. Meno peggio solo della Popolare, che però almeno ha segnato un'inversione di marcia: dal picco del 142,9% nel 2009 è infatti scesa al 138,2% del 2010.

Alla fine, dovrà cedere anche Bpm, che riunisce nuovamente il consiglio martedì. La Banca d'Italia, che ha appena concluso un'ispezione, non transige: l'aumento da 500-600 milioni, che il presidente Massimo Ponzellini ha proposto invano tre settimane fa, s'ha da fare. La Popolare di Milano - che con un core tier 1 del 7,1% – non se la cava poi tanto male, pensava di scamparla, dato che non dovrà neppure passare dalle forche caudine dello stress test di giugno.

Insomma, doccia fredda nell'immediato, per il mercato e i destinatari del messaggio di Draghi, ma poi, bene o male, tutti se ne stanno facendo una ragione. Tant'è che le banche italiane, che dall'inizio del 2010 avevano sottoperformato alla grande, dall'inizio di quest'anno hanno invece rimontato: il credito nostrano dal 1° gennaio è avanzato in Borsa del 5,67%, meno del listino che è cresciuto del 7,69%, ma più del doppio rispetto all'indice Ftse bancario europeo che è salito appena del 2,64%. Alla fine non tutto il male vien per nuocere. Se è vero che gli aumenti di capitale rischiano di "diluire" gli utili per azione (le azioni aumentano, ma gli utili sono più o meno sempre gli stessi), è anche vero che si vedrà sul campo chi saprà far meglio il banchiere, facendo rendere il capitale. Senza contare che a Draghi, autorevole candidato alla Bce, non può che far piacere presentarsi al rush finale con un sistema dalle carte in regola alle spalle.

E al ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, pure: dopo tutto più capitale significa più ossigeno per le imprese. E non solo: il rafforzamento patrimoniale migliora il merito di credito. Provare per credere. A Mps è bastato l'annuncio per incassare da S&P l'upgrading da BBB+ ad A-. Tornasse a soffiare il vento della speculazione sul rischio sovrano, l'Italia sarebbe in migliori condizioni per farvi fronte. Migliori condizioni di funding per le banche, migliori condizioni per il Tesoro, più ossigeno per le imprese: la formula funziona, se a festeggiare alla fine sarà anche la Borsa.

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dgambera
00martedì 19 aprile 2011 20:57
BPM costretta all'aumento, patrimonio sceso al 6%

Bankitalia riduce il Core Tier 1 a BPM


secondo le valutazioni di Bankitalia che ha passato al setaccio le ponderazioni dei rischi di mercato della banca (dai crediti ai covered bond, all'immobiliare), il Core Tier 1 "reale" è più basso di quello dichiarato



Cominciamo coi mark-to-market per caso?
dgambera
00martedì 19 aprile 2011 23:11
Bpm verso un aumento di capitale fino a 1,2 miliardi. Assemblea a fine giugno

19 aprile 2011


Il cda della Banca Popolare di Milano, in programma il prossimo 12 maggio, convocherà per il 25 giugno un'assemblea straordinaria per deliberare un aumento di capitale per un importo massimo di 1,2 miliardi. È uno dei punti essenziali dell'integrazione del piano industriale decisa dal board «nella prospettiva del rafforzamento patrimoniale e della ristrutturazione tecnica e organizzativa della banca» in risposta all'esito dell'ispezione di Bankitalia. Secondo quanto apprende Radiocor, inoltre, martedì 3 maggio, è stata convocata una riunione straordinaria del board che inizierà ad approfondire i temi e gli strumenti da adottare per raggiungere i target annunciati.

Aumento del numero delle deleghe
Nell'assemblea a fine giugno verrà proposto anche l'aumento del numero massimo di deleghe rappresentabili dai soci in assemblea a cinque dalle attuali due (era già previsto l'innalzamento a tre nell'assemblea del prossimo 30 aprile) e una «radicale semplificazione e riorganizzazione del gruppo».

Le previsioni sul core tier 1
Con un aumento da 1,2 miliardi Bpm stima di raggiungere un core tier 1 dell'8,6% nel 2011 considerando anche l'alleanza bancassicurativa con Covea. Il valore è atteso poi in aumento al 9,8% nel 2013 «con la rimozione dei requisiti patrimoniali aggiuntivi in virtù del venir meno delle criticità evidenziate dalla Banca d'Italia» e includendo il rimborso dei Tremonti bond e «a conversione automatica del prestito obbligazionario in essere».

Gli obiettivi dell'integrazione del piano industriale
Bpm indica tra gli obiettivi dell'integrazione del piano industriale «assicurare un ritorno sui tangible equity in linea con i peers, snellire la struttura del gruppo a beneficio della sua efficienza, ammodernare gli assetti organizzativi interni e i relativi processi, rafforzare l'assetto di governo attraverso scelte organizzative e riforme statutarie». Tra gli interventi previsti si citano quindi «miglioramenti strutturali del sistema informatico, riallocazione degli impieghi per settore merceologico, dismissione di partecipazioni di minoranza non strategiche, ridefinizione delle politiche di remunerazione e di incentivazione, riduzione delle strutture dei costi e conseguente incremento della produttività».

Le ispezioni di Bankitalia
Nel comunicare i dettagli delle misure varate dal cda, Bpm sottolinea che le recenti valutazioni ispettive della Banca d'Italia si concludono con un giudizio «parzialmente sfavorevole» e che «l'Autorità di Vigilanza ha rilevato profili di criticità connessi agli assetti tecnico-organizzativi e ai presidi di controllo, nonché alla governance e alla struttura del gruppo». Bankitalia ha quindi chiesto a Bpm «di adottare, finché perdurino le carenze di cui sopra, fattori di ponderazione particolarmente prudenziali e di procedere a un correlato aumento di capitale». Il cda ha preso atto dei rilievi e delle richieste e, «nel riservarsi di esprimere le proprie controdeduzioni ai rilievi ispettivi nei termini di legge», ha deciso di «adottare provvedimenti idonei a recepire le prescrizioni».

L'aumento di capitale
Quanto all'aumento di capitale, sarà curato da Banca Akros e Mediobanca in qualità di joint global coordinators. Mediobanca, inoltre, sarà garante della sottoscrizione dell'eventuale inoptato. Oltre all'aumento e alla questione deleghe, nella futura assemblea, in sede ordinaria, verrà poi «proposto un nuovo documento sulle politiche di remunerazione che recepisca la più recente normativa di vigilanza in materia, anche alla luce delle indicazioni contenute nel verbale ispettivo». Il board, infine, ha dato mandato alla direzione generale «di integrare il piano industriale in modo che siano incorporate le suddette misure, con particolare urgenza per gli interventi di implementazione e di efficientamento del sistema informatico, in modo che il consiglio, nella riunione del 12 maggio prossimo, possa adottare opportune iniziative al riguardo». «Si confida, peraltro - si legge in una lunga nota della banca - che l'attuazione delle misure organizzative su indicate faccia venir meno i penalizzanti requisiti patrimoniali indicati come misura prudenziale temporanea dalla Banca d'Italia e consenta a Bpm di raggiungere livelli di capitale ben superiori rispetto a quelli prudenzialmente considerati come adeguati e tali da consentire una redistribuzione al mercato a far data dal 2013».

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dgambera
00mercoledì 20 aprile 2011 15:49
Aumento di capitale: dopo BPM tocca a Unicredit?

Scritto il 20 aprile 2011 alle 12:45 da Dream Theater


Come previsto il sistema bancario inizia a subire le conseguenze della normativa di Basilea 3 che richiede requisiti di liquidità importanti al mondo bancario. L’Italia non è immune da questo scenario e, dopo aver assistito all’annuncio dell’aumento di capitale di UBI, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare, Intesa San Paolo, e ieri di BPM (Banca Popolare di Milano sta per varare un’ aumento capitale pari a circa 1.2 miliardi di Euro), il mercato oggi si domanda su cosa potrà fare il colosso che manca all’appello: Unicredit Group.

Secondo Citigroup la banca di Piazza Cordusio ha bisogno di liquidità e si parla di una cifra non certo da poco: 8.5 miliardi di euro, più di quanto hanno chiesto, insieme, Intesa San Paolo, Monte dei Paschi e UBI Banca.

Il CEO Ghizzoni smentisce qualsiasi ipotesi di aumento capitale, anche quella “prudenziale” che vedrebbe un AUC di “soli” 5.5 miliardi di Euro.
Ovvio che una notizia del genere potrebbe essere tremendamente destabilizzante se annunciata senza le dovute precauzioni, ovvero senza avere avuto la benedizione da parte degli azionisti forti i quali si sono detti disponibili a partecipare attivamente all’aumento (dando un chiaro segnale di volerci credere).
Ma il fatto che conta è un altro. Il sistema bancario continua ad essere in forte difficoltà e molti giochini di bilancio, che hanno nascosto partite, imboscato perdite e titoli tossici, non reggono più. E ci vogliono dei rattoppi, chiesti però in un momento di profonda difficoltà
.

Ma non temete, l’Italia non è il peggior paese, anzi… Gli altri stanno peggio messi di noi, compresi gli USA che, guarda un po’, ogni tanto escono fuori con qualche news. Ultima in ordine cronologico quella della stessa Citigroup prima citata: venderà asset tossici per 12.7 miliardi di dollari. Hai capito? I signori vogliono sbolognarsi un po’ di materiale radioattivo che avevano nella loro discarica. E a chi lo cederanno? Al momento non si sa, ma…scommettiamo che alla fine, in modo anche indiretto, finiranno sulla collettività?

STAY TUNED!

DT

iandy73
00mercoledì 20 aprile 2011 16:24
BANCHE: ABI; SOFFERENZE A 92 MLD, OLTRE RADDOPPIO IN 2 ANNI

Salgono a oltre 92,2 miliardi di euro le sofferenze lorde per il sistema bancario italiano, un numero che ha registrato una continua crescita negli ultimi due anni tanto da essere quasi raddoppiato rispetto a febbraio 2009 (quando ammontavano a 43,4 miliardi). Lo rivela il bollettino mensile dell'Abi .



...mi sa che siamo seduti su una bomba nucleare! [SM=g7840] [SM=j7568]
dgambera
00mercoledì 20 aprile 2011 18:54
Re:
iandy73, 4/20/2011 4:24 PM:

BANCHE: ABI; SOFFERENZE A 92 MLD, OLTRE RADDOPPIO IN 2 ANNI

Salgono a oltre 92,2 miliardi di euro le sofferenze lorde per il sistema bancario italiano, un numero che ha registrato una continua crescita negli ultimi due anni tanto da essere quasi raddoppiato rispetto a febbraio 2009 (quando ammontavano a 43,4 miliardi). Lo rivela il bollettino mensile dell'Abi .



...mi sa che siamo seduti su una bomba nucleare! [SM=g7840] [SM=j7568]




Il nostro sistema bancario è solido [SM=g6942]
dgambera
00giovedì 21 aprile 2011 13:26
Sarà questo il primo zombie italiano? Chi lo sa?

Ponzellini: «Per la Bpm una scossa necessaria»

di Alessandro Graziani 21 aprile 2011


MILANO. Presidente Ponzellini, ci risiamo. La Banca Popolare di Milano è di nuovo sotto esame. Ma stavolta la Banca d'Italia non ha usato mezze misure. E ha suonato il campanello finale...
La Bpm è e resterà una delle più belle banche che esista in Italia. Una scossa però era necessaria e può essere salutare per tutti. La Banca d'Italia aveva già lanciato segnali chiari nel 2001 e nel 2008, ma erano stati quasi ignorati. Stavolta sono stati più decisi.

Altro che decisi. Vi hanno inviato 40 pagine di rilievi strutturali. E imposto un aumento di capitale doppio rispetto a quanto preventivato, riducendo d'ufficio il Core Tier 1 che, anche se solo temporaneamente, scende al 6%.
Quando da ragazzo andavi male a scuola, la mamma ti diceva: non vai più al cinema finchè non prendi bei voti. È lo stesso atteggiamento "materno" che Bankitalia ha usato con Bpm. Il mio impegno è che tutti gli input della Vigilanza vengano eseguiti in tempi rapidi. Il 3 maggio faremo un consiglio per un pre-esame del nuovo piano e il 12 maggio approveremo in via definitiva piano e aumento, oltre alla riforma della governance. Poi a fine giugno ci sarà l'assemblea. E prevedo che a fine settembre, dopo la semestrale, l'aumento di capitale arriverà sul mercato.

Andiamo un passo alla volta. Chi metterà a punto il nuovo piano? Il direttore generale Fiorenzo Dalu è nel mirino di una parte dei sindacati. E il condirettore generale Enzo Chiesa è dato come uscente.
Al piano lavorerà l'intera struttura di direzione generale: Dalu, Chiesa, Frigerio. Che io sappia per il momento nessuno è uscente. Nè il tema è stato affrontato in consiglio.

Poche settimane fa il consiglio Bpm ha bocciato la sua proposta di un aumento di capitale da 600 milioni. Ora ne sta per approvare uno fino a un massimo di 1,2 miliardi. Che è successo?
Sapete bene che nel frattempo Bankitalia ha presentato una relazione ispettiva dura. Ma a differenza di quanto è stato scritto, vorrei precisare che sui crediti non sono emersi rilievi particolari. Il 95% delle sofferenze corrisponde alle nostre calssificazioni. Su circa 17 miliardi di crediti, le osservazioni riguardano poste non superiori a 150 milioni. È vero però che Bankitalia ci ha chiesto di ridurre l'esposizione al settore immobiliare, che pesa per il 43% del totale. Ma anche in questo caso, occorre precisare: gran parte di questi crediti riguardano i mutui ai privati, mentre l'esposizione ai grandi immobiliaristi è contenuta
.

Crede che la temporanea diversa ponderazione dei rischi imposta da Bankitalia possa essere modificata nel 2013, quando Basilea 3 sarà in vigore?
Credo che se eseguiamo in tempi rapidi l'aumento di capitale, tutto sarà risolto ben prima del 2013. Ora bisogna solo lavorare a testa bassa e abbandonare le polemiche interne.

Ma è vero che il Credit Mutuel ha chiesto di avere il ruolo di global coordinator dell'aumento. Li avete accontentati?
L'aumento sarà guidato da Mediobanca e Banca Akros. Ma nel consorzio di collocamento e garanzia ci sarà con un ruolo di rilievo anche la controllata del Mutuel, Cmc-Cic securities.

Bankitalia chiede anche una «radicale semplificazione e riorganizzazione del gruppo». In pratica, è un obbligo di procedere alla fusione delle controllate, ovvero alla banca unica?
La Vigilanza non ha fornito indicazioni ufficiale, ma è evidente che quella della banca unica è la strada maestra suggerita da Bankitalia per procedere all'attesa riduzione dei costi. Se conviene, la faremo.

Per i dipendenti, non si preannunciano tempi facili. Bankitalia chiede anche di rivedere la distribuzione degli utili. E, sembra, di ridicscutere il contratto integrativo aziendale. Oltre a chiedere l'eliminazione della commissione paritetica, che di fatto era un modo di concertazione azienda-sindacato sugli avanzamenti di carriera interna. È questa, più che l'aumento delle deleghe di voto, la vera rivoluzione?
Bankitalia chiede un adeguamento dei costi del personale. Consulteremo tutti e valuteremo il da farsi. tenendo conto che il piano d'intervento ha comunque un orizzonte temporale di 3 anni. Credo che Bpm, ancora una volta, potrà fare affidamento sull'attaccamento dei dipendenti alla banca.

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L'operazione spaventa la Borsa

21 aprile 2011


L'aumento di capitale monstre della Bpm non passa l'esame del mercato. Ieri le azioni della banca hanno chiuso le negoziazioni in discesa dell'8,55% a 2,31 euro toccando un minimo a 2,29 euro peraltro tra volumi mai registrati, ossia oltre sei volte la media giornaliera dell'ultimo mese con il 10,5% del capitale passato di mano.

Una vera e propria doccia fredda che gli esperti giustificano con la sorpresa del mercato di fronte all'ammontare dell'iniezione di liquidità, 1,2 miliardi. Perchè Banca d'Italia ha chiesto uno sforzo così sostanzioso alla Popolare, superiore addirittura alla capitalizzazione di Borsa? È questa la domanda che ha innescato le vendite e soprattutto ha alimentato la preoccupazione degli investitori rispetto alla reale situazione dell'istituto, complessa, a loro dire, sia sul fronte patrimoniale che su quello della governance. Gli ultimi giorni hanno dimostrato che la spaccatura interna alla Bpm è concreta, sia quando si parla di management sia quando si parla di rapporti tra azienda e sindacati, e i potenziali risvolti sono ancora tutti da verificare.

Piazza Affari non esclude ulteriori colpi di scena e per questo ha assunto una posizione assai prudente sul titolo, conscia del fatto che la decisione di mettere in agenda una ripatrimonializzazione è stata figlia solo delle pressioni di Bankitalia e questo ha accresciuto le tensioni che già serpeggiavano in banca. Complice il fatto che i rilievi mossi dalla Vigilanza toccano i delicati equilibri che governano l'istituto: dall'incremento delle deleghe ai soci non dipendenti da due a cinque alla revisione dei meccanismi di incentivazione del personale. Due provvedimenti che chiamano in causa direttamente i sindacati, sia in termini di rappresentatività (oggi l'associazione Amici della Bpm esprime 10 dei 18 membri del board) sia in termini strettamente economici. Ragion per cui sono in molti ad aver messo già in conto l'ostruzionismo dei sindacati/azionisti al punto che, alcuni analisti, nel caso in cui i soci dovessero bocciare la ripatrimonializzazione, già prefigurano lo spettro del commissariamento della banca. Un rischio che, anche chi lo nomina, ha il pudore di definire assai remoto ma che, sulla carta, potrebbe aver già iniziato a impattare sulle quotazioni.

Le prossime settimane saranno cruciali per chiarire un quadro che al momento appare di difficile interpretazione. Tanto più che, nei corridoi della Bpm, c'è chi inizia a parlare di minore coesione alla direzione generale. Fiorenzo Dalu, che nelle scorse settimane era dato per uscente dopo il confronto con i sindacati, ora deve condividere con il condirettore che avrebbe dovuto sostituirlo, Enzo Chiesa, la stesura del nuovo piano industriale. Il tema della responsabilità di chi firmerà il nuovo progetto e di chi lo attuerà nei fatti starebbe scaldando gli animi e mettendo nuovamente sotto esame l'assetto della direzione. (L.G.)

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dgambera
00giovedì 21 aprile 2011 13:28
dgambera
00giovedì 21 aprile 2011 14:50
Leggete, leggete e capirete cosa è successo e cosa sta succedendo. Credo che fra non molto apriranno il vaso di Pandora, almeno in EU

Ecco quanto potrebbe costare alle banche europee la ristrutturazione del debito della Grecia

di Andrea Franceschi 21 aprile 2011


Una eventuale ristrutturazione del debito di Atene potrebbe costare alle banche europee (ad esclusione di quelle greche) fino a 41 miliardi di euro. Lo stima la banca d'affari Goldman Sachs ipotizzando un haircut (cioè il taglio del valore nominale dei titoli) da un minimo del 20 a un massimo del 60 per cento. Nella migliore delle ipotesi, la perdita che il sistema creditizio registrerebbe sarebbe di 13 miliardi. Nella peggiore di 41.

Un anno fa l'impatto sarebbe stato peggiore
Gli analisti segnalano tuttavia che questa cifra sarebbe stata decisamente superiore se la ristrutturazione del debito greco fosse avvenuta un anno fa. E questo per le via dei canali privilegiati di rifinanziamento che la Bce ha messo a disposizione prima alle banche greche (fino 91 miliardi di euro) e poi a quelle di Portogallo e Irlanda (altri 153 miliardi).

Ridotta l'esposizione delle banche europee
In sostanza l'Eurotower si è sostituita al mercato interbancario a cui le banche greche faticano ad avere accesso. Basti pensare che, ad ottobre dell'anno scorso, il 17,3% del totale dei finanziamenti erogati dalla Bce (le cosiddette lending facilities) è stato destinato alle banche greche. Questo fenomeno ha portato a una riduzione dell'esposizione del sistema creditizio europeo verso le banche greche.

L'impatto sulla patrimonializzazione
Queste ultime infatti sono le più esposte verso il debito di Atene e subirebbero inevitabilmente il peso maggiore di una ristrutturazione. Secondo Goldman, in caso di un "haircut" del 60%, le banche grece registrerebbero una riduzione fino all'80% del proprio tier one (coefficiente di patrimonializzazione che misura della solidità di un istituto di credito). Insomma conseguenze devastanti per il settore creditizio e, a cascata, per la già depressa economia greca.

Decisamente più contenuto l'impatto sul capitale delle banche europee. Secondo gli analisti di Goldman Sachs, nella peggiore delle ipotesi (taglio del 60% del valore nominale dei titoli) queste vedrebbero calare del 3% il proprio tier one capital ratio. «Diverse banche - fa notare Angelo Drusiani gestore obbligazionario di banca Albertini Syz - hanno parzialmente assorbito il colpo della svalutazione dei titoli greci. Alcune li hanno venduti, altre li hanno contabilizzati a prezzo di mercato mettendo quindi a bilancio una svalutazione».

Nuovi record per i rendimenti dei titoli greci
Intanto continuano a salire vertiginosamente i rendimenti dei titoli di Stato della Grecia. L'interesse sui bond a due anni è schizzato al record storico del 22,41% mentre quello sui titoli a dieci anni è volato al 14,92%. La forbice tra il bond greco a dieci anni e il corrispettivo bund tedesco si è allargata a 1.159 punti base. Record anche per i premi di rendimento dei titoli decennali portoghesi. Lo spread col bund è salito a 600 punti base.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

iandy73
00giovedì 21 aprile 2011 15:03
Re:
dgambera, 21/04/2011 14.50:

Leggete, leggete e capirete cosa è successo e cosa sta succedendo. Credo che fra non molto apriranno il vaso di Pandora, almeno in EU

Ecco quanto potrebbe costare alle banche europee la ristrutturazione del debito della Grecia

di Andrea Franceschi 21 aprile 2011


Una eventuale ristrutturazione del debito di Atene potrebbe costare alle banche europee (ad esclusione di quelle greche) fino a 41 miliardi di euro. Lo stima la banca d'affari Goldman Sachs ipotizzando un haircut (cioè il taglio del valore nominale dei titoli) da un minimo del 20 a un massimo del 60 per cento. Nella migliore delle ipotesi, la perdita che il sistema creditizio registrerebbe sarebbe di 13 miliardi. Nella peggiore di 41.

Un anno fa l'impatto sarebbe stato peggiore
Gli analisti segnalano tuttavia che questa cifra sarebbe stata decisamente superiore se la ristrutturazione del debito greco fosse avvenuta un anno fa. E questo per le via dei canali privilegiati di rifinanziamento che la Bce ha messo a disposizione prima alle banche greche (fino 91 miliardi di euro) e poi a quelle di Portogallo e Irlanda (altri 153 miliardi).

Ridotta l'esposizione delle banche europee
In sostanza l'Eurotower si è sostituita al mercato interbancario a cui le banche greche faticano ad avere accesso. Basti pensare che, ad ottobre dell'anno scorso, il 17,3% del totale dei finanziamenti erogati dalla Bce (le cosiddette lending facilities) è stato destinato alle banche greche. Questo fenomeno ha portato a una riduzione dell'esposizione del sistema creditizio europeo verso le banche greche.

L'impatto sulla patrimonializzazione
Queste ultime infatti sono le più esposte verso il debito di Atene e subirebbero inevitabilmente il peso maggiore di una ristrutturazione. Secondo Goldman, in caso di un "haircut" del 60%, le banche grece registrerebbero una riduzione fino all'80% del proprio tier one (coefficiente di patrimonializzazione che misura della solidità di un istituto di credito). Insomma conseguenze devastanti per il settore creditizio e, a cascata, per la già depressa economia greca.

Decisamente più contenuto l'impatto sul capitale delle banche europee. Secondo gli analisti di Goldman Sachs, nella peggiore delle ipotesi (taglio del 60% del valore nominale dei titoli) queste vedrebbero calare del 3% il proprio tier one capital ratio. «Diverse banche - fa notare Angelo Drusiani gestore obbligazionario di banca Albertini Syz - hanno parzialmente assorbito il colpo della svalutazione dei titoli greci. Alcune li hanno venduti, altre li hanno contabilizzati a prezzo di mercato mettendo quindi a bilancio una svalutazione».

Nuovi record per i rendimenti dei titoli greci
Intanto continuano a salire vertiginosamente i rendimenti dei titoli di Stato della Grecia. L'interesse sui bond a due anni è schizzato al record storico del 22,41% mentre quello sui titoli a dieci anni è volato al 14,92%. La forbice tra il bond greco a dieci anni e il corrispettivo bund tedesco si è allargata a 1.159 punti base. Record anche per i premi di rendimento dei titoli decennali portoghesi. Lo spread col bund è salito a 600 punti base.

©RIPRODUZIONE RISERVATA





Odissea Grecia: rendimenti due anni al 23%

www.wallstreetitalia.com/article.aspx?IdPage=1117995


....ao', ma stiamo parlando di uno stato nell'europa occidentale con moneta EURO, mica del sud america o del sud est asiatico o dell'africa!!!! [SM=g7840]
dgambera
00giovedì 21 aprile 2011 20:14
In Irlanda fallisce perfino la banca centrale

Fabrizio Goria

21 aprile 2011 - 17:53

Da ieri non esiste più Anglo Irish Bank, e lasciano sul tavolo passività da 71 miliardi. Che fine faranno? A peggiorare la situazione ci pensano poi i conti della Banca Centrale Irlandese, che ha appena registrato 202,7 miliardi di euro di perdite, di cui 157 sono iscritti alla colonna “altre perdite” senza alcuna specifica. E per Dublino il futuro è sempre più preoccupante.

Anglo Irish Bank non esiste più. Il più grande buco nero della finanza irlandese da ieri ha cessato di esistere. Le sedi di Dublino, Belfast e Cork sono state smantellate, come anche tutte le altre. In previsione c’è la creazione di una nuovo istituto di credito, ma rimane da chiarire che fine faranno le passività registrate nell’ultimo bilancio del gruppo, oltre 71 miliardi di euro. Un peso che equivale al 49,6% del Pil irlandese, 143 miliardi di euro. E considerando le garanzie, quasi 200 miliardi di euro, emesse da Dublino per sostenere le banche tramite la National asset management agency (Nama), la bad bank statale, emerge che l’Irlanda è di fatto insolvente. A peggiorare la situazione ci pensa il bilancio della Banca centrale d’Irlanda: al 25 marzo le perdite registrate erano 202,7 miliardi di euro.

Anglo Irish è il simbolo della crisi bancaria irlandese. Dopo aver ricevuto a pioggia liquidità per resistere al crollo delle proprie attività, è arrivato il de profundis. Meno di un mese fa aveva presentato l’ultimo bilancio consolidato, evidenziando una perdita netta di 17,7 miliardi di euro. Gli oltre 120mila clienti della banca, circa 8,6 miliardi di depositi, hanno spostato i propri conti in Allied Irish Banks. Peccato che proprio quest’ultima sia la peggiore degli istituti di credito analizzati da BlackRock nella tornata di stress test dello scorso mese, con un’urgenza di ricapitalizzazione pari a 13,3 miliardi di euro.

Dublino cercò di salvare a più riprese la banca, anche tramite operazioni straordinarie. Una di queste è la Emergency liquidity assistance (Ela), un programma capace di permette a una banca centrale nazionale di battere moneta in via indipendente rispetto alla Bce. Tramite l’Ela la Banca d’Irlanda ha erogato 28,1 miliardi di euro, stampati ex novo, ad Anglo Irish. Nonostante ciò, nell’ultimo bilancio dell’istituto è emerso che negli ultimi 12 mesi sono state rilasciate cambiali (promissory note) per 25,7 miliardi di euro, di cui non è chiaro quale potrebbe essere il loro destino.

A peggiorare la situazione ci ha pensato il ministero delle Finanze nello scorso settembre. Con l’attivazione dello schema ELG (Eligible liabilities guarantee) gli istituti di credito dell’isola hanno potuto emettere obbligazioni garantite dal Tesoro ponendo come collaterale le proprie passività di bilancio. Secondo una stima effettuata da Goldman Sachs, sono stati emessi bond per un valore di 35 miliardi di euro tramite questo programma. Denaro che è diventato un onere statale, cioè l’unico garante del sistema bancario irlandese.

A dire basta a questo circolo vizioso ci ha pensato Jürgen Stark, membro tedesco del board della Bce. Il banchiere centrale ha ribadito che «non è più possibile continuare a fornire liquidità» agli istituti irlandese. Parole che seguono quelle di Nout Wellink, governatore della Banca centrale olandese, che nel giorno degli stress test disse chiaramente che «l’unica soluzione è far fallire un paio di banche».

Quello che è certo è che la Central Bank of Ireland è insolvente. Secondo l’ultimo bilancio, registrato al 25 marzo scorso, le perdite erano 202,7 miliardi di euro. Fra queste, 157 miliardi sono iscritte nella colonna «altre perdite», senza nessuna specifica. È ipotizzabile che derivino dalle malversazioni degli istituti di credito dell’isola che, unite ai costi derivanti degli interessi sul debito sovrano, stanno affossando Dublino ogni giorno di più.

Il rischio più grande arriverà nelle prossime settimane. La Bce ha già detto che non si sostituirà alla Banca d’Irlanda nell’erogazione di liquidità tramite l’Ela. Francoforte assumerà nuovamente il ruolo di prestatore di ultima istanza per il sistema bancario irlandese. Tuttavia la differenza fra un istituto di credito illiquido e uno insolvente è sostanziale: il primo si può salvare, il secondo no. E le banche irlandesi non sono illiquide, sono insolventi.

fabrizio.goria@linkiesta.it
dgambera
00domenica 24 aprile 2011 16:04
Faro sui crediti a rischio: conto a quota 91,4 miliardi

di Vittorio Carlini. All'interno articolo di Luca Davi 24 aprile 2011


di Vittorio Carlini

MILANO - La qualità del credito delle banche di Piazza Affari? Nel 2010 è peggiorata. Seppure, nella seconda metà dell'anno, le nuvole all'orizzonte sembrano diradarsi. E non di poco.

Per rendersene conto basta guardare ai crediti deteriorati al netto delle rettifiche. Prestiti cioè, epurati dalle somme considerate ormai perdute, che non sono sinonimo di mancata riscossione bensì, con diversi livelli di rischio, di possibile svalutazione.

Ebbene i tredici principali istituti quotati in Borsa, a fine 2009, avevano sul "groppone" 80,87 miliardi di crediti problematici; dodici mesi dopo questi prestiti, al netto delle rettifiche, sono saliti a quota a 91,44 miliardi. Un balzo cioè di 10,57 miliardi. La cifra non è indifferente. Lo stesso incremento del loro peso sul credito alla clientela è lì a dimostrarlo: due anni fa rappresentavano il 5,6% degli impieghi netti; a fine 2010 la percentuale è salita al 6,24 per cento.

Il bicchiere è quindi vuoto? Non proprio: l'andamento dei numeri sull'intero esercizio ci dice che la situazione è meno peggio di quanto appaia. Già a metà anno lo stock netto di sofferenze, incagli, prestiti ristrutturati e scaduti aveva raggiunto 90 miliardi. Negli ultimi sei mesi del 2010, invece, i deteriorati sono cresciuti “solamente” di 1,3 miliardi. Insomma, c'è stato un rallentamento nella corsa dei loan con più rischio.

Certo: l'Abi di recente ha indicato che, nello scorso febbraio, le sofferenze dell'intero sistema bancario italiano sono cresciute dell'1,3% rispetto al mese precedente. Tuttavia, guardando ai numeri dei bilanci delle quotate, non può negarsi che nella seconda metà del 2010 il "deterioramento" ha perso di forza.

Un trend cui, nonostante la diversificazione europea di diverse banche, ha certamente contribuito lo stato di salute del tessuto industriale italiano.
«Indubbiamente - spiega Vincenzo Boccia, presidente delle piccole imprese di Confindustria - hanno giocato positivamente le moratorie raggiunte con l'Abi. Ma fattore essenziale del rallentamento è la selezione realizzata dal mercato. Le imprese hanno reagito alla crisi. Ci sono state ristrutturazioni, i costi sono stati ridotti. Ora molte aziende vantano una buona forza creditizia». La quale, giocoforza, si riflette anche sull'andamento dei crediti deteriorati delle banche.

Già le banche. Ovviamente ogni istituto fa storia a sé. Tra i big, UniCredit ha visto incrementare (dal 5,49 al 6,73%) il peso dei prestiti problematici, a fronte peraltro di una riduzione degli impieghi netti. Intesa Sanpaolo, dal canto suo, ha anch'essa aumentato in valori assoluti il loans deteriorati (da 20,8 a 21,8 miliardi), ma la loro incidenza, nonostante gli impieghi siano saliti, è rimasta pressoché uguale (da 5,4 a 5,59%). Per Ubi Banca, invece, il loro peso è cresciuto dal 4,6 al 5,17 per cento; mentre il Monte dei Paschi, che nell'ultimo trimestre può vantare una riduzione dei prestiti problematici (da 11,5 a 11,3 miliardi), deve fronteggiare una loro incidenza sui crediti netti alla clientela superiore alla media (il 7,28% a fine 2010).

Al di là degli istituti, come Mediolanum e Banca Generali, caratterizzati da posizioni deteriorate praticamente inesistenti, c'è poi chi ha una percentuale bassa di simili prestiti: il Credem (2,76%) e la Popolare di Sondrio (3%). Due istituti, cioè, maggiormente focalizzati sul territorio.
Un semplice caso? Probabilmente no. Guardare negli occhi l'imprenditore o il mutuatario, piuttosto che sfruttare automatici iter di backoffice nell'erogazione del prestito, può essere un grande vantaggio. Soprattutto in tempi di crisi e congiuntura debole.

Senza dimenticare, inoltre, che le banche più piccole spesso hanno azionisti meno ingombranti e affamati di cedole. Di conseguenza possono, se dal caso, concedersi l'incremento delle rettifiche e accantonare il corrispondente capitale.

Un passaggio che i big, anche a fronte della recente ondata di ricapitalizzazioni, tentano di evitare il più possibile. Scommettono sulla ripresa economica per veder migliorare le posizioni deteriotate. Oppure, puntano ai nuovi cash flow legati al rialzo dei tassi. Su questa strada Jean Claude Trichet, presidente della Bce, ha già iniziato a dare una mano. Il timore di molti è che un timing sbagliato, sulla stretta monetaria, possa strozzare nella culla la timida ripresa in atto, e con lei le industrie. Italiane e non.




In Europa servono 150 miliardi

di Luca Davi 24 aprile 2011


C'è chi ha provato a resistere fino all'ultimo. C'è chi si è mosso per tempo senza attendere solleciti. Oppure chi l'ha fatto chinando la testa e bevendo "l'amaro calice". Tutti, però, consapevoli di raggiungere un risultato decisivo: diventare più solidi e (ri)conquistare una fiducia del mercato.

L'onda di ricapitalizzazioni che sta attraversando il mercato delle banche europee si è in pratica appena alzata. E sembra assomigliare nelle dimensioni a quella già vissuta all'indomani dello scoppio della crisi finanziaria. Secondo Ubs è pari a 58,2 miliardi di euro la somma dei vari aumenti di capitale annunciati nel Vecchio Continente dall'inizio dell'anno. Una massa di denaro che è in pratica più che doppia rispetto a quella raccolta nell'intero 2010 (24 miliardi), destinata solo ad aumentare. Gli analisti della banca elvetica stimano infatti che il sistema creditizio europeo debba assorbire ulteriori 150 miliardi per raggiungere una solidità patrimoniale ritenuta soddisfacente, traducibile in un core tier 1 pari al 10 per cento. Dalle piccole realtà regionali ai grandi istituti con rilevanza sistemica, negli ultimi mesi un pò tutti gli istituti sono stati almeno sfiorati dall'idea di rastrellare capitali freschi per adeguare il patrimonio alle nuove condizioni di mercato. Un mercato che, memore degli errori recenti, oggi appare molto più esigente che nel passato. Basilea 3 in tutto questo c'entra poco. Perché l'accordo sulla vigilanza entrerà a pieno regime solo a fine 2018. Nel frattempo, dunque, chi si è mosso l'ha fatto per altri motivi.

La corsa in Italia...
In Italia ad esempio un peso decisivo l'hanno avute le parole del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, che con la sua "moral suasion" («Sarebbe saggio che le banche che intendono procedere ad aumenti di capitale, procedano con queste decisioni prima degli stress test», aveva detto Draghi dal palco del Forex di Verona a fine febbraio) ha dato la scossa alle banche nostrane. L'invito ha fatto muovere nelle scorse settimane istituti come Ubi (che ha lanciato un aumento da 1 miliardo), Intesa Sanpaolo (5 miliardi) e Monte Paschi di Siena (2 miliardi). Un tris di ricapitalizzazioni cui è seguito, in settimana, l'annuncio del maxi-aumento da 1,2 miliardi di Bpm, sollecitato da Banca d'Italia. Banco Popolare, al contrario, si era mosso in anticipo rispetto a tutti gli altri, chiudendo un aumento già da 2 miliardi tra gennaio e febbraio: un'urgenza dettata da un core tier 1 che, all'epoca, viaggiava a un debole 5,7 per cento. Insomma, se le banche italiane sono uscite dalla crisi sostanzialmente illese, è anche vero che la loro (cronica) sottocapitalizzazione non poteva essere ulteriormente tollerata.

…e in Europa
L'Italia non è però l'unico paese europeo le cui aziende di credito sono corsi ai ripari. Dalla Spagna alla Grecia, passando per la Germania o il Portogallo, la crisi del debito sovrano o gli effetti devastanti del post-Lehman sta costringendo istituti di ogni taglia a rivolgersi al mercato. La principale banca nazionale lusitana, Millenium Bcp, nei giorni scorsi ha confermato la necessità di un'iniezione di capitale di 1,12 miliardi. Un pò quello che sta accadendo alla controllata spagnola di Barclays, che sta ragionando su un'emissione azionaria da 1,3 miliardi. Peggio va invece a Commerzbank: per restituire al governo di Berlino 14,3 dei 16,2 miliardi di aiuti statali ricevuti durante la crisi, il colosso tedesco ha avviato un aumento da 8,25 miliardi di euro. E pure Bank of Ireland sta preparando una ricapitalizzazione da oltre 5 miliardi di euro, come stabilito in base ai risultati degli stress test.

E in futuro?
A chi toccherà nei prossimi trimestri? Quei 150 miliardi di euro di fabbisogno calcolato da Ubs sono in verità ben spalmati in tutta Europa. Gli analisti ritengono però che i prossimi aumenti caratterizzeranno soprattutto tre macro-aree. A pagare dazio saranno soprattutto le banche spagnole (cajas come istituti quotati) il cui fabbisogno complessivo sarà pari a 70 miliardi circa (sempre assumendo un target di core tier 1 ratio al 10 per cento). Altri 50-60 miliardi saranno chiesti da banche quotate greche, portoghesi, spagnole e italiane. Una ventina di miliardi serviranno poi a ricapitalizzare le Landesbanken tedesche. In tutti questi casi, una volta conclusi gli aumenti, sarà soprattutto il mercato ad apprezzare.

dgambera
00venerdì 29 aprile 2011 12:55
Allarme-swap da 2.500 miliardi - Stretta sui controlli: Usa più avanti, la Ue arranca ancora

articoli di Isabella Bufacchi e Fabio Pavesi 28 aprile 2011


di Isabella Bufacchi
Già il nome desta sospetto: lo strumento derivato letteralmente "deriva" prezzo e valore da tassi d'interesse e di cambio, debiti e prestiti, materie prime e metalli preziosi, azioni, indici e persino altri derivati. È una conseguenza, un'appendice.

I sospetti aumentano quando il derivato viene scambiato over-the-counter (otc) cioè fuoriborsa, negoziato fuori da piattaforme e circuiti regolamentati. I derivati con targhetta Otc, principalmente gli swap, mancano di quotazioni ufficiali e prezzi trasparenti, non sono garantiti dalla cassa di compensazione con versamento di margini giornalieri, a fronte delle perdite anche potenziali per annullare il rischio controparte. Al giugno 2010 - ultima statistica Bri - i derivati fuoriborsa avevano un valore nozionale (entità delle passività o attività sottostanti) di poco inferiore a 600.000 miliardi di dollari, di cui circa 440.000 in swap.

L'Isda, l'associazione mondiale degli operatori in derivati otc, stima che dopo il netting (compensazione delle posizioni tra due controparti) il rischio di credito di questi contratti è pari a 3.600 miliardi di dollari, 2.430 miliardi di euro. Tenuto conto che il 70% dei derivati fuoriborsa tra istituzioni finanziarie è garantito da attivi collaterali, il rischio di credito di swap e affini è quantificato in 1.100 miliardi di dollari, circa 750 miliardi di euro: pari alla somma del default di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna.

Negli ultimi 12 mesi, intanto, i volumi sono tornati a salire a ritmi sostenuti. Una dimensione monstre che, proprio a causa dell'opacità e natura sfuggente dei derivati, preoccupa autorità di controllo e governi in tutto il mondo: swap e derivati otc sono visti come fonte di rischio sistemico e quindi destinatari di una "rivoluzione regolamentare".

È però il paradosso. Gli strumenti derivati nascono per gestire i rischi e proteggere istituzioni finanziarie, stati, aziende, multinazionali e risparmiatori dall'andamento avverso di cambi, merci, tassi, prezzi di azioni oppure obbligazioni. E invece sono loro stessi un rischio. Questo perché sono stati "snaturati" quando hanno cessato di servire ai soli fini di copertura e si sono prestati alla speculazione, alimentando le scommesse sull'andamento dei mercati e quindi le opportunità di profitto o i rischi di perdita. Nulla di illecito, ma questo ha fatto sì che i derivati e i loro utilizzatori siano lievitati, tra copertura, speculazione e arbitraggio. I volumi dell'industria dei derivati, regolamentati e non, sono in costante crescita: neppure la più grande crisi economico-finanziaria dal dopoguerra, scaturita nel 2007 dalla finanza strutturata delle cartolarizzazioni sui mutui subprime, li ha messi fuori uso. E nessuno, in verità, intende sopprimerli. Solo domarli.

I derivati "buoni", come i futures, sono stati inquadrati in un sistema collaudato da decenni per evitare l'opacità e disinnescare il rischio-controparte. Sono negoziati in Borsa con contratti standardizzati che garantiscono quasi sempre la liquidabilità (compravendita per grandi volumi) e quotazioni trasparenti. Per ogni contratto future, una delle due controparti è sempre la cassa di compensazione, la "clearing house" che durante la giornata o a fine seduta calcola le perdite della controparte operatore finanziario e pretende il versamento di margini a fronte delle perdite virtuali. Margini che si riducono o si annullano quando le perdite svaniscono ma che si attivano quando i contratti chiudono in perdita. Se una controparte fallisce, il future viene sempre onorato. Annullato il rischio di credito, i futures sono entrati comunque nell'occhio del ciclone: sulle commodities sono additati per aver esasperato, a fini speculativi, il rialzo dei prezzi delle materie prime, come petrolio e prodotti alimentari. La stretta dei regolatori è in arrivo e sarà inevitabile.

Nel mirino delle autorità sono ora finiti i derivati Otc. Gli swap per esempio in Italia sono oggetto di contenzioso tra le banche, la clientela Pmi e gli enti locali. Serve a tutt'oggi un chiarimento da parte degli organi di controllo o del Mef che aiuti a identificare con esattezza la remunerazione del servizio bancario e la copertura dei costi e dei rischi ai quali si espone la banca, all'interno delle condizioni del contratto.

Agli swap e ai derivati Otc verrà imposta in prospettiva la registrazione delle operazioni, la trasparenza di volumi e prezzi, la standardizzazione dei contratti, la negoziazione in Borse regolamentate, a clearing house e il pagamento di margini. Perché il rischio sistemico, come emerso dalle cartolarizzazioni subprime, si nasconde tra le pieghe della complessità e opacità finanziaria.
isabella.bufacchi@ilsole24ore.com

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Banche Ue e derivati: una mina da 4mila miliardi. Il peso degli asset tossici sui bilanci

inchiesta di Fabio Pavesi 28 aprile 2011


A Francoforte ne vanno orgogliosi. Quel premio asssegnato a Deutsche Bank come miglior "House of Derivatives of the year" è un vanto e non giunge inaspettato. Sono anni che la prima banca tedesca incassa il riconoscimento. Del resto è il suo mestiere: produrre, confezionare e vendere, in giro per il mondo, strumenti di finanza strutturata è nel suo Dna ed è tra l'altro fonte di lauti guadagni.

E per una banca d'investimento i profitti sono tutto. Così ecco che l'allarme sulla rinascita della finanza speculativa travalica i confini di Wall Street per giungere dall'altra parte dell'Atlantico. In una finanza globalizzata è inevitabile. E la Goldman o la Citigroup di turno diventano in Europa la Deutsche Bank o la Ubs o, perché no, Royal Bank of Scotland o Barclays e, in terra transalpina, Crédit Agricole o Société Générale.

Il fenomeno della finanza speculativa, dove con un derivato amplifichi d'incanto volumi e valori, perdendo piano piano il nesso con il valore reale degli asset, è vivo e vegeto anche nel vecchio Continente. Basta guardare il peso dei prodotti derivati nei bilanci della grande finanza europea, come ha documentato di recente R&S Mediobanca.

Protagonista di spicco è, guarda caso, la banca guidata da Josef Ackermann. Deutsche Bank vantava, a fine giugno 2010, ben 800 miliardi di derivati su un attivo di bilancio di 1.925 miliardi. Una montagna di denaro in prodotti strutturati che vale ben il 40% dell'intero bilancio del colosso tedesco. Non che l'anno prima, il 2009, e cioé un anno dopo lo scoppio della mina Lehman, le cose andassero tanto diversamente. I derivati assommavano all'epoca a meno di 600 miliardi. Meno certo, ma su un attivo della banca più basso a quota 1.500 miliardi. Quindi con un peso relativo analogo intorno al 40%. A fine del 2010, il peso, secondo le rilevazioni di R&S Mediobanca, è sceso. Di parecchio, ma sempre (vedi tabella) con un valore pari a oltre un terzo delle attività.

Ma se Deutsche è primattore in Europa, anche le altre banche non scherzano. Nel campione dei grandi colossi selezionato da R&S Mediobanca il peso dei prodotti derivati vale in media il 20% del valore delle attività. Un quinto degli asset delle maxi-banche d'Europa poggia sugli strutturati. E quanto vale questa potenza di fuoco? La bellezza di 4mila miliardi di euro. La più grande crisi finanziaria del dopoguerra, innescata dall'uso spregiudicato della turbo-finanza, pare non aver insegnato nulla. Quel produrre, vendere e comprare prodotti ad alto grado di ingegneria finanziaria non si è placato. Anzi, è andato incrementandosi. Solo nel primo semestre dell'anno scorso il peso dei derivati nei conti delle banche europee è salito del 26% a quota 4mila miliardi dai 3.200 del 2009. Oltre a Deutsche Bank ha i portafogli gonfi di derivati Ubs che vanta 380 miliardi di strutturati su mille miliardi di attivo. Con percentuali vicine al 30% degli asset spiccano Royal Bank of Scotland e Barclays. Più sotto le francesi: Société Générale e Crédit Agricole viaggiano sulla media europea: un quinto del valore del bilancio è composto da prodotti strutturati.

Tanto per fare un confronto, ecco la finanza dove – come efficacemente ha tratteggiato Tremonti – non si parla inglese e per questo si è evitato il peggio. I due big italiani, UniCredit e Intesa Sanpaolo, mantengono fede alla loro natura di banche tradizionali. Credito alle imprese e alle famiglie e poco trading di finanza speculativa. Il peso dei derivati sul bilancio si aggira intorno a un decimo delle attività. Che dire? Tanti derivati uguale tanto rischio? Non è detto. Finché il mercato gira e si fissano prezzi plausibili di questi prodotti, nessun problema. I derivati attivi e passivi si compensano e in molti casi fanno pure guadagnare. Il problema si pone se il mercato improvvisamente si dovesse bloccare: allora sì quei derivati perderebbero valore, si avviterebbero e si aprirebbe un buco nei conti delle banche.

Quanto grande? Lehman insegna
Può essere devastante. E qui entra in gioco il tema della leva. Ancora oggi in Europa, in media, l'attivo vale 30 volte il capitale netto delle banche. Per ogni euro della banca 30 sono a prestito. E se l'attivo (leggi anche derivati) dovesse svalutarsi anche solo di pochi punti percentuali, il capitale verrebbe eroso. E di molto.

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dgambera
00venerdì 29 aprile 2011 13:57
dgambera
00venerdì 29 aprile 2011 20:53
La Fondazione Mps alza la voce su crediti deteriorati e bonus ai manager

di Andrea Franceschi 29 aprile 2011


Dai compensi al management, fino allo spinoso tema dei crediti deteriorati. Dal problema della scarsa redditività della banca alla modifica dello statuto sulle azioni privilegiate. Sullo sfondo il corposo aumento capitale (da 2,471 miliardi di euro) recentemente deciso dal cda della banca. Il numero uno della fondazione Mps Gabriello Mancini, nel suo intervento all'assemblea degli azionisti, non fa sconti ai vertici della banca senese. Anche alla luce del consistente esborso che la Fondazione, che ha in portafoglio il 55% del capitale della banca, dovrà deliberare per mantenere la quota di maggioranza. Si parla di circa un miliardo di euro.

Sull'adesione all'operazione, Mancini esprime la volontà a contribuire al rafforzamento patrimoniale. «La Fondazione - dice - dovrà compiere un grande sforzo, ma non si sottrarrà all'impegno per difendere l'autonomia del Gruppo, la sua non scalabilità ed il suo legame con il territorio». Tuttavia fa chiaramente capire che non sarà staccato alcun assegno in bianco.

Nel suo discorso agli azionisti esprime in primo luogo l'esigenza di un «improcrastinabile ritorno a una maggiore e più solida redditività, che porti ad una più adeguata politica di remunerazione del capitale investito dagli azionisti. Non tutti i soci hanno risorse illimitate». Tra i sacrifici il numero uno della Fondazione ricorda, c'è anche la modifica allo statuto -dettata dall'esigenza di migliorare i coefficienti patrimoniali della banca -«che elimina il diritto di priorità al ricevimento del dividendo per le azioni privilegiate». Occorre poi ricordare che la Fondazione, tre anni fa, ha contribuito con 3 miliardi all'aumento finalizzato all'acquisizione di Antonveneta.

La preoccupazione dell'azionista è poi per «l'arretramento della qualità degli attivi» e per «l'aumento del rapporto tra sofferenze nette e impieghi alla clientela e le coperture dei crediti problematici, non allo stesso livello dello standard degli altri competitors domestici». Nell'ultimo trimestre la banca guidata da Giuseppe Mussari è riuscita a ridurre i prestiti problematici (da 11,5 a 11,3 miliardi). Tuttavia loro incidenza sui crediti netti alla clientela superiore alla media (il 7,28% a fine 2010). Su questo fronte Mancini riconosce come il management del Monte «sia riuscito nel difficile compito di ridurre in modo significativo le rettifiche su crediti rispetto al 2009, tanto da portare il costo del credito dai 96 bps a 74 punti base». Tuttavia, ammonisce, non bisogna «cedere alla tentazione di nascondere un pò di polvere sotto il tappeto».

Altra stoccata è sul tema dei bonus al management. È necessario, dice, che la banca faccia «un grande esercizio di parsimonia» sul sistema incentivante e soprattutto «un controllo rigoroso» in merito alle retribuzioni variabili del personale «il cui ammontare deve essere estremamente coerente col profilo di redditività effettiva e con il pay-out dell'istituto». Il riferimento è chiaramente al fatto che nonostante lo scorso anno non sia stato pagato il dividendo, sia stato riconosciuto un montepremi al management. Sul fronte dei costi che la banca ha saputo già ridurre, aggiunge, serve "un deciso sforzo ulteriore".

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Intese illegali nel mercato dei credit default swap. L'Antitrust Ue indaga su Markit, Ice e 16 banche

all'interno articoli di Isabella Bufacchi e Fabio Pavesi 29 aprile 2011


Il mercato dei Credit default swaps (i derivati che assicurano sul rischio fallimento) è finito sotto inchiesta dell'Antitrust Ue. La Commissione europea ha infatti deciso di avviare due indagini. La prima è per verificare se ci sia stato abuso di posizione dominante e riguarda 16 banche d'investimento internazionali e la società Markit, il principale provider di informazioni finanziarie sui Cds. La seconda interessa Ice, principale camera di compensazione dei contratti di scambio sul rischio di credito, e nove banche che avrebbero usufruito di indebiti vantaggi tariffari.

L'indagine sulle informazioni finanziarie
Secondo la Commissione europea le sedici banche negoziano tali contratti comunicando la maggior parte delle loro tariffe, dei loro indici e dati giornalieri unicamente a Markit. Ciò «potrebbe comportare un'intesa tra questi diversi soggetti e un eventuale abuso di posizione dominante collettiva. Questo avrebbe l'effetto di impedire ad altri prestatari di servizi di informazione l'accesso a questi dati di base molto utili». Se così stessero le cose, la situazione di fatto del mercato sarebbe contraria alle regole europee in materia di intese e abuso di posizione dominante.

Quanto a Markit, società britannica creata apposta per migliorare la trasparenza del mercato dei cds, la Commissione teme che gli accordi di licenza e distribuzione contengano clausole abusive che impedirebbero alla concorrenza di svilupparsi sul mercato di fornitura di informazioni relative a tali contratti.

Vantaggi tariffari nelle fasi di compensazione
La seconda inchiesta si occupa degli accordi tra Ice Clear Europe e nove banche che negoziano cds: Bank of America Corporation, Barclays, Citigroup, Crédit Suisse, Deustche Bank, Goldman Sachs, Jp Morgan Chase, Morgan Stanley e Ubs. Tali accordi sono conclusi al momento della vendita (da parte degli stessi nove soggetti) della società The Clearing Corporation di proprietà di Ice. I contratti contengono una serie di disposizioni (tariffe preferenziali e partecipazione ai profitti) che potrebbero indurre le banche a rivolgersi unicamente a Ice come camera di compensazione. In tali condizioni, dice l'Antitrust europeo, le altre camere di compensazione potrebbero avere difficoltà a farsi largo nel mercato e gli altri soggetti del settore non avrebbero possibilità reale di scelta per compensare i contratti.

Bruxelles inoltre vuole verificare se la struttura delle commissioni definire da Ice attribuisce un indebito vantaggio alle nove banche e costituisce una discriminazione verso altri negoziatori di contratti di scambio sul rischio di credito. Ciò potrebbe costituire un abuso di posizione dominante.

Cosa sono i Cds e come funzionano
I credit default swap funzionano come una polizza di assicurazione sul rischio fallimento di un emittente. In sostanza si paga un premio in modo che, in caso di bancarotta, si possa ottenere un rimborso. Il valore del contratto (calcolato in punti base) è direttamente proporzionale al rischio fallimento dell'emittente. Il loro valore schizza all'insù quando il mercato scommette sul crack della società o dello stato emittente dei titoli. È successo per la banca americana Lehman Brothers, fallita alla fine del 2008. Succede regolarmente, da un anno a questa parte, per i titoli dei paesi periferici dell'Eurozona ogniqualvolta una notizia mette a rischio la solvibilità di questo o quello stato.

Almunia: «L'inchiesta è un'occasione per fare trasparenza»
I cds sono quotati in mercati over the counter, cioè non regolamentati e al di fuori dei circuiti borsistici tradizionali. Per questo sono spesso indicati come esempio di quella mancanza di trasparenza dei mercati finanziari all'origine della crisi finanziaria del 2008. A questo proposito il commissario alla concorrenza Joaquin Almunia ha dichiarato: «L'inchiesta sarà l'occasione per migliorare la trasparenza e l'equità del mercato dei cds». La mancanza di trasparenza, infatti, «può dar luogo a comportamenti abusivi e facilitare la violazione delle regole di concorrenza». (An. Fr.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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