Fallimento banche postate le news

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dgambera
00sabato 30 aprile 2011 10:50
Spettro Etf sulle banche europee

di Gianfranco Ursino. Con un articolo di Morya Longo 30 aprile 2011


Un'escalation che occorre bloccare sul nascere. Prima che sia troppo tardi. Soprattutto in Europa, dove il mercato degli Etf (fondi comuni quotati che replicano passivamente gli indici di Borsa) si sta sviluppando velocemente negli ultimi anni verso la pericolosa via dell'utilizzo spasmodico di strumenti finanziari derivati.

Le cifre in ballo
Le cifre non sono ancora allarmistiche. Su un valore complessivo di 360mila miliardi di euro di swap in circolazione nel mondo, che secondo una stima dell'Isda (associazione mondiale degli operatori in derivati Otc) si portano dietro un rischio di credito pari a 2.430 miliardi di euro (come ha documentato ieri Il Sole 24 Ore), gli swap messi in piedi dagli emittenti di Etf rappresentano per il momento solo le briciole. Il patrimonio totale degli Etf che investono anche in swap nel mondo ammonta a poco meno di 130 miliardi di euro (188 miliardi di dollari), di cui il 74% sono in Europa. E anche nell'ipotesi in cui l'esposizione negli swap degli Etf fosse pari al 10% (tetto massimo imposto in Europa dalla direttiva Ucits), questa rappresenterebbe solo lo 0,5% se confrontata col l'esposizione mondiale agli swap trattati fuori mercato (Otc). Tenuto conto, anche, che la quasi totalità dei derivati utilizzati dagli emittenti degli Etf ha garanzie collaterali che riducono ulteriormente il rischio d'insolvenza della controparte.

Ma il monito lanciato nelle scorse settimane dal Financial Stability Board (Fsb) deve suonare come un campanello d'allarme. Come del resto evidenzia il titolo della nota diffusa dall'organismo di coordinamento delle authority finanziarie mondiali presieduto dal governatore Mario Draghi: «Problemi potenziali di stabilità finanziaria originati dalle tendenze recenti degli Etf».

La dicotomia geografica
Un duro avvertimento, che preannuncia l'avvio di un «monitoraggio del mercato degli Etf in virtù dei preoccupanti sviluppi in alcuni segmenti del mercato», rivolto soprattutto agli emittenti europei, dove sono concentrati gli Etf cosiddetti sintetici o swap based. Su un totale di 1.122 Etf presenti sul mercato europeo, sono ben 717 (64%) quelli che utilizzano gli swap per riprodurre la performance dell'indice di riferimento da riconoscere all'investitore. Solo il restante 36% è gestito con l'originaria logica di replicare passivamente un indice di Borsa comprando solo i titoli che compongono l'indice e con lo stesso peso. Un prodotto molto semplice che consentte una diversificazione efficiente del portafoglio degli investitori, se ben utilizzati. Con i soli rischi tipici di chi compra un portafoglio di azioni rappresentato da un indice. Acquistando per esempio un Etf a replica fisica (senza swap) sull'indice S&P Mib, che rappresenta i maggiori 40 titoli presenti sulla Borsa italiana, l'investitore compra esattamente questi titoli e con un'unica operazione di acquisto riesce a ottenere una diversificazione del portafoglio su più titoli. Una tipologia che ancora è nettamente in maggioranza sugli altri mercati, statunitense in primis.

In America, dove il prodotto è nato negli anni '90, su 1.146 Etf oltre l'80% (923) è a replica fisica e solo il residuo 20% è a replica sintetica. Anche perché oltre Oceano la Sec (Securities and exchange commission) da marzo 2010 ha annunciato di voler avviare un'attenta analisi sull'utilizzo di derivati da parte degli Etf e dei fondi comuni tradizionali, impedendo di fatto lo sviluppo di prodotti che utilizzano swap e altri strumenti finanziari scambiati fuori dai circuiti regolamentati.

Meglio prima che dopo
Se in termini di numero di prodotti (1122 rispetto a 1146) il mercato europeo ha ormai quasi colmato il gap rispetto al pionieristico mercato americano, in termini di masse il Vecchio continente deve fare ancora molta strada. Su 1.400 miliardi di dollari gestiti a fine marzo 2011 con gli Etf nel mondo, ben 1.000 miliardi sono in pancia agli Etf emessi in America (di cui 950 miliardi tra Nasdaq e New York Stock Exchange). In Europa siamo ancora "fermi" a 308 miliardi, ripartiti per il 55% su Etf fisici e per il 45% su Etf swap based. A dimostrazione che quelli senza swap sono più apprezzati, nonostante ormai in termini numerici in Europa siano in netta minoranza.

Dopo la recente crisi finanziaria, in cima ai pensieri degli investitori istituzionali – tra i principali utilizzatori degli Etf, compresi i gestori di fondi comuni tradizionali – c'è il rischio di controparte sottostante uno swap (Lehman Brothers docet), nonostante negli Etf europei la normativa Ucits limiti al 10% del valore del patrimonio del fondo (quotato e no) il rischio di controparte. Ma prima che il mercato europeo esploda anche in termini di masse, le autorithy hanno quindi lanciato il monito per frenare il cammino verso l'utilizzo sfrenato di strumenti derivati per riprodurre la performance dell'indice sottostante l'Etf.

Una differente interpretazione del "fondo replicante" tra America ed Europa, che deriva anche dalla categoria di operatori finanziari che fabbricano gli Etf sulle due sponde dell'Atlantico. A scorrere la classifica dei principali emittenti di Etf nel mondo (vedi tabella a lato) appare evidente che in America sono gli asset manager, ovvero i gestori, a dominare la scena. Da BlackRock, Vanguard, Invesco e la stessa State Street, benché molto attiva anche come banca depositaria.

Tutto in casa
In Europa, invece, sono soprattutto le banche d'affari che hanno deciso di lanciarsi nel business degli Etf e questo spiega il forte utilizzo di swap negli Etf di matrice europea. Grandi gruppi finanziari integrati che hanno al loro interno le diverse strutture per rendere ancora più profittevole un business che, per stare in piedi, necessita di masse critiche di grandi dimensioni, visti i bassi livelli commissionali che vengono caricati sull'investitore finale.

All'interno della grande banca è possibile trovare sia l'emittente, sia la struttura di investment banking con cui realizzare lo swap, sia il market maker (soggetto incaricato in Borsa a garantire la negoziabilità dell'Etf) e, in certi casi, anche la banca depositaria che fa il controllo e la valorizzazione dei titoli in portafoglio, compreso quando sono posti a garanzia del sottostante. Un potenziale conflitto di interessi che è stato denunciato a chiare lettere nel paper del Financial Stability Board.

I primi emittenti europei di Etf sono Société Générale e Deutsche Bank, rispettivamente con 54,5 e 51,8 miliardi di dollari. Due entità che fanno senza nascondersi della replica sintetica il loro pezzo forte: i 222 prodotti targati Lyxor (SocGen) e i 168 emessi con il marchio Db X-trackers (Deutsche Bank) utilizzano tutti una parte del patrimonio in swap per ottimizzare la replica dell'indice di riferimento dell'Etf. E nonostante l'alto livello di trasparenza raggiunto dal settore (si veda anche l'inchiesta pubblicata oggi su «Plus24», il settimanale di risparmio e investimenti del «Sole 24 Ore» in allegato come ogni sabato al quotidiano), il legislatore non è ancora soddisfatto e invita il settore a un ritorno alle origini. Prima che l'Etf perda definitivamente la sua natura di prodotto semplice ed efficiente, per diventare potenziale fonte di riproduzione di titoli tossici.

gianfranco.ursino@ilsole24ore.com

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dgambera
00domenica 1 maggio 2011 16:01
Swap, in Italia conto da 52 miliardi

di Marcello Frisone e Laura Serafini 1 maggio 2011


È un dato quasi certo: i disastri dei derivati ingegnerizzati nel mondo anglosassone non sono stati "importati" dalle banche italiane nei propri bilanci, come invece è successo a tanti altri istituti di credito stranieri. È altrettanto quasi certo, però, che le grandi banche italiane non hanno resistito ai lauti profitti consentiti da altri derivati Over the counter (Otc, scambiati cioè fuori da mercati regolamentati) di "copertura" contro il rialzo dei tassi di interesse venduti a enti territoriali, imprese, società finanziarie e piccoli istituti di credito nostrani. Al 31 dicembre scorso, infatti, le perdite potenziali sui derivati Otc del "sistema Italia" nei confronti degli istituti di credito (italiani e quelli esteri con filiali nel nostro paese) sono di 52,2 miliardi di euro. È questa cioè la cifra complessiva che i sottoscrittori di questi contratti dovrebbero versare ai grossi istituti di credito operanti nel nostro paese nel caso in cui decidessero (oppure fossero costretti a farlo) di chiudere anticipatamente gli swap.

Adesso, parlare di derivati "tossici" in Italia, così come lo si è fatto per quelli delle banche straniere che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008 è improprio; ma si può tranquillamente parlare di vita "intossicata" per le migliaia di imprese (ma anche enti locali e società finanziarie) che stanno lottando giorno dopo giorno (o meglio semestre dopo semestre) con le rate da pagare sugli swap (sulla cui efficienza i tribunali si stanno man mano esprimendo), con la crisi economica nonché con la spada di Damocle dell'attuale valore di mercato negativo dello swap che con molta probabilità lo sarà anche alla scadenza tra qualche anno. Ma andiamo con ordine.

Il buco potenziale

Come detto, le perdite potenziali complessive sui derivati ammontano a 52,2 miliardi. La variazione rispetto al trimestre precedente è del 31% (da 75,8 miliardi): questo dato può essere imputato per la maggior parte alla effettiva materializzazione delle perdite dovuta alla chiusura dei contratti e per il resto dalla variazione dei tassi d'interesse. I dati tratti dalla base informativa pubblica di Bankitalia non finiscono mai di stupire sul "fenomeno" derivati (swap sui tassi d'interesse e, in minima parte, sui tassi di cambio): il calo del 31% del periodo ottobre-dicembre 2010 è notevole ma è anche il primo così consistente dal 2005; bisogna dire che anche l'aumento del 26% nel trimestre aprile-giugno è stato sorprendente. Insomma, in pochi mesi la variazione di 23,6 miliardi è davvero una cifra enorme.

Rischi e costi occulti
Dai dati Bankitalia si trae un'altra considerazione: esiste un rischio di controparte (improbabile ma non impossibile) per le banche di ben 52,2 miliardi e che nel corso di sei anni (dal 2005 vengono rese note le perdite in derivati in Centrale Rischi di Bankitalia) le perdite sono man mano cresciute (erano 34,7 miliardi al 31 marzo 2005) e "scollegate" dall'andamento dei tassi di d'interesse (si veda il grafico sotto). Insomma, un mistero che potrebbe essere spiegato dalla presenza in questo valore di mercato negativo (per gli altri operatori ma non per le banche) di costi occulti, gli stessi per esempio contestati dalla Procura di Milano nel processo contro JP Morgan, Deutsche Bank, Ubs e Depfa sui derivati venduti nel 2005 al comune meneghino. Sarà l'esito del processo a stabilire chi avrà ragione nella disputa sui costi occulti per 100 milioni tra banche e Procura anche se (nonostante la fattispecie sia diversa) la VI Sezione civile del Tribunale di Milano ha accertato la presenza di costi occulti nella causa tra UniCredit e il Comune di Ortona (si veda Il Sole 24 Ore del 21 aprile).

Gli enti pubblici

Questa voce evidenzia un calo del 27% nelle perdite potenziali: dai 4,6 miliardi del 30 settembre scorso scendono infatti a 3,3 miliardi a fine 2010. Gli enti in perdita però aumentano da 285 a 316 per una perdita media di 10,6 milioni a operatore. Le perdite potenziali delle amministrazioni pubbliche italiane, però, sono decisamente di più. In questi dati, infatti, non è riportato il passivo potenziale dei contratti derivati sottoscritti all'estero e con banche straniere dagli enti territoriali italiani (come nel caso del comune di Milano riportato sopra).

Le società finanziarie
Qui invece assistiamo a una diminuzione sia dei soggetti coinvolti (da 425 a 410) sia delle perdite potenziali (da 10,6 a 7,3 miliardi) con una perdita media per operatore di 17,8 milioni. In questa voce potrebbero rientrare i cosiddetti "sinking fund", ovvero i fondi che alcuni enti pubblici pongono a garanzia delle operazioni di finanziamento attuate con le banche. Il dubbio, dunque, è che la perdita degli enti locali possa essere in Italia di più dei 3,3 miliardi sopra riportati ma possa arrivare a 10,6 miliardi.

Le banche
Anche gli istituti di credito (presumibilmente piccoli) vedono diminuire le proprie perdite potenziali in derivati di un consistente 32% a 19,9 miliardi (erano 29 il trimestre precedente). «Questa è l'ipotetica cifra - spiega Rita D'Ecclesia, professore di Metodi quantitativi per le applicazioni economiche e finanziarie del Dipartimento di analisi economiche e sociali della Sapienza di Roma - che alcuni istituti di credito del nostro paese realizzerebbero se per qualche motivo fossero costretti a "liquidare" i contratti derivati in essere. Ciò accadrebbe soltanto nel caso in cui tutte le operazioni venissero chiuse contemporaneamente e in presenza di controparti con stesso grado di rischiosità».

Non si sa, comunque, se a queste perdite corrispondano altrettanti o superiori guadagni potenziali poiché questi ultimi non vengono pubblicati da Bankitalia; si sa soltanto che il sistema bancario italiano ha crediti potenziali verso il sistema economico e quindi un rischio di controparte per 52,2 miliardi.

Il «buco» delle imprese
Sono 29.804 le imprese che nei confronti delle banche italiane registrano 5,8 miliardi di perdite potenziali (-26% rispetto al trimestre precedente). A rendere la vita difficile per le imprese, dunque, non c'è soltanto la difficile congiuntura economica ma anche queste perdite potenziali che vanno comunicate in Centrale Rischi peggiorando così l'affidabilità delle aziende presso gli intermediari.

La trasparenza
«La trasparenza e la standardizzazione nella contrattazione insieme alla centralizzazione delle transazioni - sostiene Giampaolo Galiazzo della società di consulenza indipendente Tiche (così come peraltro auspicato dall'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, si veda Il Sole 24 Ore del 27 aprile, ndr) - sono le condizioni necessarie perché i derivati sviluppino appieno le loro potenzialità positive e si possano evitare o contenere i rischi sistemici».

Più informazioni gli operatori hanno sull'evoluzione del fenomeno derivati, quindi, e più saranno in grado di fare scelte consapevoli e utili anche al sistema economico italiano. «Da questo punto di vista - continua Galiazzo – la Banca d'Italia è senz'altro all'avanguardia in Europa anche se è auspicabile che tutte le transazioni in derivati vengano tracciate, monitorate e riportate pubblicamente; è l'unico modo per evitare che, ciclicamente, gli operatori (in modo autorinforzante e autoreferenziale) inizino a "scommettere" troppo. Chi non vuole la standardizzazione e la centralizzazione - conclude il consulente indipendente - probabilmente fa parte del ristretto gruppo che dall'opacità del sistema dei derivati ha tratto grandi vantaggi economici, lasciando il conto da pagare al mondo intero».

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«Derivati, più vigilanza dalle Authority»

di Laura Serafini 1 maggio 2011


«È doveroso denunciare il problema delle dimensioni che le operazioni su derivati stanno assumendo. Soprattutto sull'opacità e sulla qualità del sottostante questi contratti, le autorità di controllo devono fare maggiori approfondimenti». Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, interviene nel dibattito sui derivati all'indomani dell'indagine aperta da Bruxelles sull'ipotesi di abuso di posizione dominante nel mercato Credit default swap. «Bene ha fatto Bruxelles a intervenire. Se ci saranno aspetti che riguardano l'Italia saremo interpellati e collaboreremo con l'antitrust europeo - annuncia Catricalà -. La natura dei Cds è stata modificata: sono nati come coperture assicurative sui rischi, vengono ora venduti come prodotti autonomi che possono diventare volano della speculazione». L'Antitrust italiano, però, ha le armi spuntate in materia finanziaria. «All'indomani del crack Lehman avviammo un'indagine sulle banche italiane coinvolte, ma abbiamo dovuto rinunciare - chiosa –. Speravamo di avere un potere residuale in tema di tutela del consumatore, ma il consiglio di Stato ha sancito che le competenze in materia di trasparenza finanziaria e di applicazione della direttiva Mifid sono prerogativa della Consob». L'authority però non demorde e, laddove può, rientra in campo con le competenze sulle intese restrittive della concorrenza: è quanto sta accadendo sul caso Lehman.

Presidente, condivide l'allarme sui derivati?
È doveroso e opportuno sollecitare maggiore attenzione. Fa bene il governatore Draghi a denunciare l'esistenza del rischio e fa bene Il Sole 24 ore a tenere alta l'attenzione. Esiste un problema di opacità delle negoziazioni sui derivati e di chiarezza del sottostante. Aspetti che necessitano di maggiori approfondimenti da parte delle autorità. I crediti default swap, nati per temperare il rischio di determinati investimenti mobiliari, hanno assunto una valenza autonoma e vengono venduti in modo autonomo: la funzione originaria l'hanno persa e potrebbero costituire il volano per manovre speculative. È necessaria una stretta sorveglianza soprattutto quando i derivati sono offerti in strumenti finanziari cui possono fare ricorso anche i non addetti ai lavori.

Si riferisce agli Etf (fondi che replicano gli indici) che in parte investono in swap?
Sì. Usano i soldi dei risparmiatori, per cui il rischio per loro diventa eccessivo e ci deve essere una sorveglianza più forte, maggiore di quella che c'è stata. Ma ci vuole attenzione anche sui nuovi subprime, che hanno alla base i crediti delle carte di credito e i crediti al consumo.

Bruxelles è intervenuta sui Cds. Anche l'Antitrust italiano si muoverà su questi temi?
Noi non potevamo iniziare quell'istruttoria perché non sono coinvolte banche italiane, ma solo banche con rilevanza europea. L'Europa ha fatto bene a intervenire sul sospetto di un abuso di posizione dominante. Se l'avessimo fatto noi, saremmo andati oltre la competenza territoriale. Naturalmente se ci saranno aspetti che riguarderanno il nostro territorio, saremo interpellati e collaboreremo con l'autorità europea come abbiamo sempre fatto.

Non vi occupate di derivati nell'ambito della tutela del consumatore?
Avevamo iniziato un'indagine su tutte le banche italiane coinvolte nel caso Lehman Brothers all'indomani del default nel 2008. Speravamo che potesse rientrare nelle nostre competenze, in via residuale, in base al codice del consumo. Poi abbiamo chiesto un parere al Consiglio di Stato, che con molta chiarezza ha affermato che la competenza in materia di intermediazione e di applicazione della direttiva Mifid è della Consob. A quel punto abbiamo interrotto la nostra indagine. Per queste stesse ragioni non possiamo intervenire sui rischi per il consumatore acquirente degli Etf che investono in swap.

Sui bond Lehman ora però avete acceso un faro dopo una denuncia sull'ipotesi di intesa restrittiva a carico di Patti Chiari e delle banche consorziate
Stiamo esaminando la fondatezza di questa denuncia. Oggi è all'esame degli uffici, che stanno raccogliendo tutti i dati per verificarli prima di aprire un'indagine. Un'istruttoria comporta oneri, per cui prima di procedere bisogna avere quantomeno il "fumus boni iuris". Però ci stiamo lavorando e ne abbiamo già parlato più volte in consiglio.

I bond Lehman erano molto meno sofisticati dei derivati, eppure i risparmiatori italiani hanno perso oltre 5 miliardi di euro. È vero che quelle obbligazioni erano illiquide, ovvero difficili da rivendere, già da molto prima del default?
È quello che stiamo cercando di appurare, verificando le quantità dei bond negoziati nelle diverse date sulle varie emissioni obbligazionarie Lehman collocate in Italia. Voglio ribadire, però, che non abbiamo competenze sul fatto che sono stati collocati titoli che non avevano le caratteristiche pubblicizzate, perché questo spetta alla Consob. Possiamo intervenire solo se rileviamo una fattispecie come quella alla base dell'indagine di Bruxelles sui Cds. Se c'è stata, dunque, restrizione della concorrenza in ragione del fatto che Patti Chiari è un consorzio e che questo consorzio avrebbe dato determinate informazioni per favorire il consorzio stesso e i consorziati. In questo caso, però, le basi per aprire un'istruttoria devono essere verificate con grande attenzione e cautela, perché il tipo di contestazione che andremmo a fare è particolarmente grave: sarebbe una violazione trattato europeo e della legge del '90 sulla concorrenza.

L'Antitrust ha cercato di fare molto per aumentare trasparenza e concorrenza in campo bancario. Avete anche sollecitato lo scioglimento degli intrecci nel capitalismo italiano. Sembra, però, che tra ricorsi al Tar e reazioni del mondo bancario, alla fine siete stati un po' costretti all'angolo...

Se devo fare un bilancio, le vedo positivo. Prima che la competenza sulle banche fosse attribuita all'Antitrust c'era maggiore opacità, esisteva il diritto medievale allo ius variandi, non c'era chiarezza sul costo delle operazioni bancarie, sul costo medio del conto corrente, sui costi del bancomat, nessuno aveva mai indagato sulle di carte di credito, non c'era portabilità dei mutui. Certo sul tema centrale, quello della concorrenza, i nostri appelli ad una legge che introducesse un principio semplice, ovvero che non si consentissero gli intrecci di incarichi nei cda delle società che dovrebbero essere in concorrenza tra loro, sia bancarie sia assicurative, non sono stati ascoltati. Abbiamo chiesto al ministro per lo Sviluppo economico che fosse inserita nella legge sulla concorrenza, ma il disegno di legge non viene nemmeno approvato dal Consiglio dei ministri. La delusione la registriamo per la poca attenzione che ci viene prestata dalla politica.

È ancora convinto della necessità che Mediobanca riduca la sua quota in Generali?
Se Mediobanca e Generali continuano a sostenere che non c'è controllo di fatto di Mediobanca (che ha il 13,4%, ndr) sulla compagnia di Trieste e che invece noi riteniamo esistere, allora l'istituto di piazzetta Cuccia dovrebbe essere coerente e cedere, non una piccola quota, ma il 50% del suo investimento. Sia chiaro che l'Antitrust allo stato attuale non ha poteri per chiedere la riduzione. Certo è che un sistema delle assicurazioni e delle banche più aperto non potrebbe che arrecare un beneficio ai consumatori.

Credit Agricole, socio di Intesa, valuta se sottoscrivere l'aumento di capitale della banca quando invece ha impegni con voi per scendere sotto il 2 per cento. L'a.d di Intesa, Corrado Passera, dice che il tema antitrust ormai riguarda solo i francesi. È d'accordo?
Penso che il problema con l'Antitrust riguardi il Credit Agricole, ma anche Intesa, perché la procedura di inottemperanza, che ancora non è chiusa ma prudentemente è stata lasciata aperta, riguarda prioritariamente Intesa visto che gli impegni originari li avevano assunti loro.

Il Governatore Draghi ha sollecitato più liberalizzazioni nei trasporti e nelle infrastrutture per far ripartire la crescita. Era un vostro cavallo di battaglia, lo avete un po'abbandonato?

Le dichiarazioni di Draghi rafforzano le tesi dell'Antitrust. Mi sembrava di essere rimasto il solo a sostenere l'urgenza di una politica di liberalizzazioni. Nel settore dei trasporti è importante che sia creato un regolatore indipendente, non solo per le ferrovie. Nel settore ferroviario la presenza di incroci tra il regolatore, ovvero il ministero delle Infrastrutture, e il proprietario, il ministero del Tesoro, e la commistione presente nel gruppo ferroviario pubblico di società tra loro collegate ad una holding (quella che fa infrastrutture e quella che fa servizi sulle infrastrutture), fa sì che in Italia un'authority dei trasporti sia assolutamente necessaria. Non è un caso che l'Unione europea abbia aperto una procedura d'infrazione sulla questione. Questa authority si dovrebbe occupare anche di altri monopoli naturali, come le autostrade e gli aeroporti. L'Antitrust ha dato disponibilità, per ovviare al problema dei costi di costituzione di una nuova autorità, ad assumere in via temporanea questi poteri creando una divisione ad hoc di vigilanza, distaccata dalla divisione che si occupa di antitrust. Questa idea trova qualche consenso politico, l'abbiamo proposta per la legge sulla concorrenza, ma si tratta di capire se c'è veramente la volontà di liberalizzare.

Gli aeroporti stanno cercando di inserire, nei nuovi contratti di programma, la possibilità di allungare le concessioni. Non è un'ulteriore chiusura del mercato?
La questione non è tanto allungare o accorciare una concessione. Dovrebbe essere un'authority indipendente a stabilire, rispetto all'investimento necessario, qual è il termine equo di durata della concessione per ripagarlo. Questo non lo può fare un'autorità governativa e neanche il diretto interessato.

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dgambera
00lunedì 2 maggio 2011 22:11
Nel bilancio della Bce ci sono 500 miliardi di titoli tossici presentati dalle banche come garanzia

di Andrea Franceschi 2 maggio 2011


I titoli tossici nel bilancio della Bce ammontano a circa 500 miliardi di euro. La cifra emerge dal bollettino annuale pubblicato dall'Eurotower in cui ci sono dettagliate statistiche sulle tipologie di titoli utilizzati dalle banche come "collaterali", cioè garanzia a fronte di finanziamenti erogati dalla stessa Bce.

Il livello totale dei collaterali accettati dalla Bce nel 2010, seppur in leggero calo rispetto al 2009 è ancora decisamente alto: 2.010 miliardi di euro. Di questa cifra la quota più consistente (un quarto) è costituita da attività cartolarizzate (asset backed securities), i famigerati titoli tossici da cui è partita la crisi finanziaria del 2008. La quota di Abs peraltro è salita di un punto percentuale: dal 24% del 2009 al 25% del 2010. A conti fatti quasi 500 miliardi di euro. Una cifra che è quasi il doppio di quanto contabilizzato dall'intero sistema creditizio del Vecchio continente nei propri bilanci a giugno 2010: 263 miliardi di euro.

Altre quote rilevanti sono rappresentate da obbligazioni bancarie non garantite (21% in calo rispetto al 2009). Una buona fetta è rappresentata poi dalle cosiddette attività non negoziabili. Si tratta di crediti difficilmente esigibili sul mercato, praticamente carta straccia: la loro quota è salita dal 14% del 2009 al 18% del 2010 per un ammontare totale di 361 miliardi di euro. In crescita infine la quota dei titoli di stato: dall'11 al 13 per cento. La Bce spiega questo aumento come una conseguenza della crisi dei debiti sovrani. È probabile quindi che una buona fetta di questi titoli sia rappresentata da bond di paesi periferici.

«Titoli tossici? Ce ne sono in giro ancora tanti - commenta Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz - e gran parte delle banche, non avendo a chi venderli, li usa come garanzia per chiedere prestiti alla Bce in attesa che vadano a scadenza e vengano iscritti alla voce svalutazioni».

Per arginare questa pratica, che ha l'effetto di scaricare l'effetto rischio sulla banca centrale, l'Eurotower, aveva deciso, alla fine del 2010, di adottare una stretta. Aveva cioè deciso di «stabilire requisiti informativi prestito su prestito» più stringenti, in modo da chiarire meglio la natura delle attività impacchettate all'interno degli «Abs».

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laplace77
00martedì 3 maggio 2011 00:13
Re:
dgambera, 02/05/2011 22.11:

Nel bilancio della Bce ci sono 500 miliardi di titoli tossici presentati dalle banche come garanzia

di Andrea Franceschi 2 maggio 2011


I titoli tossici nel bilancio della Bce ammontano a circa 500 miliardi di euro. La cifra emerge dal bollettino annuale pubblicato dall'Eurotower in cui ci sono dettagliate statistiche sulle tipologie di titoli utilizzati dalle banche come "collaterali", cioè garanzia a fronte di finanziamenti erogati dalla stessa Bce.

Il livello totale dei collaterali accettati dalla Bce nel 2010, seppur in leggero calo rispetto al 2009 è ancora decisamente alto: 2.010 miliardi di euro. Di questa cifra la quota più consistente (un quarto) è costituita da attività cartolarizzate (asset backed securities), i famigerati titoli tossici da cui è partita la crisi finanziaria del 2008. La quota di Abs peraltro è salita di un punto percentuale: dal 24% del 2009 al 25% del 2010. A conti fatti quasi 500 miliardi di euro. Una cifra che è quasi il doppio di quanto contabilizzato dall'intero sistema creditizio del Vecchio continente nei propri bilanci a giugno 2010: 263 miliardi di euro.

Altre quote rilevanti sono rappresentate da obbligazioni bancarie non garantite (21% in calo rispetto al 2009). Una buona fetta è rappresentata poi dalle cosiddette attività non negoziabili. Si tratta di crediti difficilmente esigibili sul mercato, praticamente carta straccia: la loro quota è salita dal 14% del 2009 al 18% del 2010 per un ammontare totale di 361 miliardi di euro. In crescita infine la quota dei titoli di stato: dall'11 al 13 per cento. La Bce spiega questo aumento come una conseguenza della crisi dei debiti sovrani. È probabile quindi che una buona fetta di questi titoli sia rappresentata da bond di paesi periferici.

«Titoli tossici? Ce ne sono in giro ancora tanti - commenta Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz - e gran parte delle banche, non avendo a chi venderli, li usa come garanzia per chiedere prestiti alla Bce in attesa che vadano a scadenza e vengano iscritti alla voce svalutazioni».

Per arginare questa pratica, che ha l'effetto di scaricare l'effetto rischio sulla banca centrale, l'Eurotower, aveva deciso, alla fine del 2010, di adottare una stretta. Aveva cioè deciso di «stabilire requisiti informativi prestito su prestito» più stringenti, in modo da chiarire meglio la natura delle attività impacchettate all'interno degli «Abs».

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un dubbio...

le BCs creano moneta, mediante debito: prestano i soldi alle banche, che li prestano a loro volta, e la moneta, virtuale sui cc o cartacea nei portafogli, "entra in circolo"...

...quando il debito sottostante va in default, che succede?

se il debito e' in mano alle banche, ci rimettono in conto capitale (distruzione di moneta virtuale soprattutto), con danno degli azionisti, e se va male anche degli obbligazionisti e correntisti (default della banca)

se il debito e' in mano ad una BC, i cui azionisti sono le banche, queste vedono ridursi il capitale che hanno nella BC, ma una BC puo' andare in default?

e' strana la moneta...

[SM=g1749704]
grella
00mercoledì 4 maggio 2011 23:46
Re: Re:
laplace77, 03/05/2011 00.13:




un dubbio...

le BCs creano moneta, mediante debito: prestano i soldi alle banche, che li prestano a loro volta, e la moneta, virtuale sui cc o cartacea nei portafogli, "entra in circolo"...

...quando il debito sottostante va in default, che succede?

se il debito e' in mano alle banche, ci rimettono in conto capitale (distruzione di moneta virtuale soprattutto), con danno degli azionisti, e se va male anche degli obbligazionisti e correntisti (default della banca)

se il debito e' in mano ad una BC, i cui azionisti sono le banche, queste vedono ridursi il capitale che hanno nella BC, ma una BC puo' andare in default?

e' strana la moneta...

[SM=g1749704]



Il default di una Banca Centrale non può prescindere dal fallimento dello Stato di riferimento, secondo me la tua domanda nasce dal fatto che la Bce è un fatto talmente anomalo nella storia economica di tutti i tempi che sta incominciando a confonderci le idee a tal punto da mettere in discussione i vecchi basilari principi. [SM=g1749704]



dgambera
00giovedì 5 maggio 2011 15:40
Per Lloyds rosso (quasi) record da 3,2 miliardi di sterline nel primo trimestre

dal nostro corrispondente Leonardo Maisano 5 maggio 2011


LONDRA – Tre miliardi e 200 milioni di sterline di perdite nel primo trimestre dell'anno è rosso quasi record per una banca. L'ha fatta segnare Lloyds Tsb il maggior istituto retail del Regno Unito duramente colpito dal credit crunch e oggi posseduto al 41 % dal Tesoro. Il numero è in realtà la risultante di partite straordinarie che hanno impattato il buon andamento corrente dell'istituto ora gestito da Antonio Horta Osorio ex ceo di Santander.

È stato lui a decidere di mettere a bilancio 3,2 miliardi che saranno probabilmente girati ai clienti che contestano le procedure applicata dalla banca per i cosiddetti protection scheme, assicurazioni a copertura di improvvisi mancati redditi da parte dei sottoscrittori di mutui immobiliari.

È una vicenda complessa che si è sbloccata quando un verdetto del tribunale ha messo in dubbio la tesi delle banche inglesi, che speravano di non dover far fronte alle eventuali richieste di indennizzo da parte clienti per polizze piazzate con procedure equivoche. Lloyds ha agito subito indicando in 3,2 miliardi il montante a rischio, una cifra molto superiore – più del doppio - delle attese degli analisti, ragione per cui il titolo ha perduto il 5,6% all'avvio della contrattazioni. Ad aggravare il quadro del gruppo si sono aggiunte sofferenze per almeno 1,1 miliardi di sterline ancora collegate alla bolla immobiliare irlandese. Lloyds lo ricordiamo è fortemente esposta a Dublino.

Al netto di queste e altre partite straordinarie Lloyds ha fatto registrare utili di 284 milioni nel primo trimestre dell'anno e una solida capacità di raccolta. Il gruppo nei prossimi mesi si dovrà sottoporre a una massiccia cura dimagrante con la cessione di centinaia di agenzie e filiali in ottemperanza alle norme Ue scattate dopo l'aiuto pubblico che Lloyds ha ricevuto per riuscire a navigare la crisi del credito.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

iandy73
00lunedì 9 maggio 2011 08:56
BuonGiorno [SM=g7576]

Tutte | Repubblica.it | Agi | Teleborsa
NOTIZIE
06/05/2011 18.45
Banca d'Italia, Banca MB in liquidazione coatta amministrativa

(Teleborsa) - Roma, 6 mag - Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d’Italia, ha disposto, con decreto del 5 maggio 2011, la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria nei confronti di Banca MB, con sede in Milano, già in amministrazione straordinaria, e la sottoposizione della stessa a liquidazione coatta amministrativa.

Con provvedimento assunto lo stesso 5 maggio 2011 da questo Istituto, sono stati nominati gli Organi della Procedura nelle persone dei sigg. prof. avv. Bruno Inzitari, quale Commissario Liquidatore, avv. Umberto Ambrosoli, prof. avv. Angelo Castagnola, dott. Alessandro Zanotti, quali componenti del Comitato di sorveglianza. Gli Organi liquidatori si sono insediati in data 6 maggio 2011.

Con l’avvio della liquidazione coatta amministrativa potrà essere attuato il piano di liquidazione definito nel corso dell’amministrazione straordinaria, diretto ad assicurare la salvaguardia integrale delle ragioni dei depositanti.

Gli organi della procedura, che operano in stretto raccordo con la Banca d’Italia, continueranno a fornire piena collaborazione all’Autorità Giudiziaria.
laplace77
00venerdì 13 maggio 2011 13:18
bpm

no comment, telefonare a ponzellini per chiarimenti:

Quell'alleanza lungo l'asse Bpm-Ligresti

La Torre Galfa e non solo. Negli ultimi anni, Banca popolare di Milano e l'universo Ligresti si sono scoperti più volte alleati. Se nel 2006 Fondiaria Sai rilevava il grattacielo da Piazzetta Meda (al tempo guidata da Roberto Mazzotta), negli ultimi mesi l'istituto non ha mai negato il sostegno sia alle holding personali di Salvatore Ligresti sia a Premafin, socio di riferimento di Fondiaria Sai.

Dai verbali degli ultimi consigli di amministrazione di Immobiliare Costruzioni, cassaforte della famiglia Ligresti e azionista di Premafin, emerge che è stata Popolare di Milano (insieme a Pop. Sondrio) ad affiancare Unicredit nel rifinanziamento da 120 milioni che, la scorsa estate, ha messo in sicurezza le holding dell'ingegnere.

La banca oggi presieduta da Massimo Ponzellini fa inoltre parte degli istituti creditrici che, il mese scorso, hanno concesso il rifinanziamento da 322,5 milioni a Premafin e partecipa al consorzio di garanzia per l'aumento di capitale da 225 milioni della stessa Premafin. Ciò senza dimenticare che, fino all'anno scorso, Fondiaria e Bpm erano partner assicurativi.

E che Massimo Ponzellini, presidente di Bpm, è anche alla guida di Impregilo, di cui Fondiaria Sai è tra i principali soci attraverso il veicolo Igli.



...che la notizia e' questa:

2:15 - Bpm: su immobiliare nostra percezione era di non essere a rischio

Chiesa: ma ci adeguiamo a richieste Bankitalia

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 13 mag - "La nostra
percezione rispetto al mercato immobiliare non era quella di
essere a rischio, ma per la Banca d'Italia siamo
sovraesposti e quindi ci adeguiamo".
Cosi' il condirettore
generale della Bpm, Enzo Chiesa, durante la conference con
gli analisti. "Siamo un soggetto vigilato e quindi
obbediamo", ha aggiunto. Bpm comunque sottolinea di avere
buone aspettative per il settore nel territorio milanese,
dove "basta guardarsi attorno e si vede che qualcosa sta
cambiando, ci sono cantieri ovunque e all'orizzonte c'e'
l'Expo 2015, che fortunatamente a nostro avviso trascinera'
anche dell'indotto".


e infatti:

11:05 - *** Bpm: Chiesa, con requisiti Bankitalia core tier 1 scende a 5,8%

Rimozione di criteri prudenziali al piu' tardi a fine 2012

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 13 mag - I requisiti
prudenziale temporanei imposti da Bankitalia alla Banca
Popolare di Milano, che saranno calcolati nelle
comunicazioni dell'istituto a partire dalla semestrale,
avranno un impatto di 130 punti base sul core tier 1. Il
coefficiente scenderebbe quindi a circa il 5,8%. Lo ha
indicato il condirettore generale Enzo Chiesa, durante la
conference call di presentazione della trimestrale e
dell'aggiornamento del piano industriale. Quanto ai tempi
per la rimozione di questi requisiti, Chiesa ha sottolineato
che al momento su questo "non c'e' stato confronto con
Bankitalia", ma che "il 2012 e' l'anno in cui dovremmo
dimostrare di aver rimosso le criticita'" segnalate dalla
Vigilanza e che quindi, "nel worst case scenario i dati a
dicembre 2012 dovrebbero essere quelli puliti", senza
l'applicazione dei criteri prudenziali.


[SM=g1747522] [SM=g1747522] [SM=g1747522]

laplace77
00martedì 17 maggio 2011 11:20
nuove regole

fonte: Gazzetta Ufficiale

Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385

1. All'articolo 96-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385, sono apportate le seguenti modifiche:
a) il comma 5 e' sostituito dal seguente:
«5. Il limite di rimborso per ciascun depositante e' pari a 100.000
euro. La Banca d'Italia aggiorna tale limite per adeguarlo alle
eventuali variazioni apportate dalla Commissione europea in funzione
del tasso di inflazione.»;
b) il comma 7 e' sostituito dal seguente:
«7. Il rimborso e' effettuato entro venti giorni lavorativi dalla
data in cui si producono gli effetti del provvedimento di
liquidazione coatta ai sensi dell'articolo 83, comma 1. Il termine
puo' essere prorogato dalla Banca d'Italia, in circostanze del tutto
eccezionali per un periodo complessivo non superiore a 10 giorni
lavorativi.».
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Dato a Roma, addi' 24 marzo 2011


sarebbe utile una traduzione dal legalese...

[SM=g1749704]

iandy73
00martedì 17 maggio 2011 11:37
Re: nuove regole
laplace77, 17/05/2011 11.20:


fonte: Gazzetta Ufficiale

Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385

1. All'articolo 96-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385, sono apportate le seguenti modifiche:
a) il comma 5 e' sostituito dal seguente:
«5. Il limite di rimborso per ciascun depositante e' pari a 100.000
euro. La Banca d'Italia aggiorna tale limite per adeguarlo alle
eventuali variazioni apportate dalla Commissione europea in funzione
del tasso di inflazione.»;
b) il comma 7 e' sostituito dal seguente:
«7. Il rimborso e' effettuato entro venti giorni lavorativi dalla
data in cui si producono gli effetti del provvedimento di
liquidazione coatta ai sensi dell'articolo 83, comma 1. Il termine
puo' essere prorogato dalla Banca d'Italia, in circostanze del tutto
eccezionali per un periodo complessivo non superiore a 10 giorni
lavorativi.».
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Dato a Roma, addi' 24 marzo 2011


sarebbe utile una traduzione dal legalese...

[SM=g1749704]





...hanno abbassato, prima da noi era pari a 103.000 euri e rotti....i vecchi duecento milioni di lire....adesso dal sito del fondo di tutela dei depositi:

www.fitd.it/garanzia_depositanti/garanzia_dep.htm


".....I sistemi di garanzia dei depositi sono disciplinati a livello europeo dalla Direttiva n. 94/19 CE, come modificata dalla Direttiva 2009/14/CE dell’11 marzo 2009 per quanto riguarda il limite di copertura e i termini di rimborso.

Il legislatore italiano ha recepito la Direttiva 94/19/CE con il D. Lgs. del 4 Dicembre 1996, n.659e la Direttiva 2009/14/CE con il D. Lgs. del 24 marzo 2011, n.49 in vigore dal 7 maggio 2011.

Il Decreto Legislativo 24 marzo 2011, n.49, in conformità al dettato della Direttiva 2009/14/CE, dispone l’applicazione di un limite massimo di rimborso per depositante pari a 100.000 euro e di un termine di rimborso di 20 giorni lavorativi, prorogabili dalla banca d’Italia in circostanze del tutto eccezionali di altri dieci giorni, a decorrere dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'articolo 83 del Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B)....." [SM=g1749704]
laplace77
00mercoledì 18 maggio 2011 09:05
ora tocca all'est europa...

...c'e' un sacco di giochetti speculativi/saccheggiativi (nel senso di rapina dei patrimoni pubblici dei paesi a rischio default), ma c'e' pure un accenno ad altre conseguenze, tipo che per unicredit ci sara' un bel credit crunch (anche qua, che i ratio patrimoniali sono totali e quindi non conoscono frontiere)...


fonte: il fatto quotidiano


Economia & Lobby
di Matteo Cavallito
18 maggio 2011


Crisi europea, adesso rischia l’Europa dell’Est


La ristrutturazione del debito greco potrebbe produrre un impatto negativo sulla ripresa economica dei paesi dell'ex patto di Varsavia. Una ripresa fortemente dipendente da un sistema creditizio controllato in larga parte dai grandi operatori occidentali e internazionali. Già responsabili, tre anni fa, di una recessione economica figlia della contrazione dei prestiti

In fondo non è altro che un cerchio che si chiude. Visto che la crisi europea, quella maggiormente visibile per lo meno, si era manifestata inizialmente proprio lì. Eppure, in fin dei conti, sembra proprio un paradosso. Dal momento che, dati macroeconomici alla mano, la prossima ondata della crisi sembrerebbe destinata a manifestarsi proprio in quella parte di continente che conserva oggi le migliori prospettive di crescita e la maggiore salute contabile: l’Europa dell’est.
(NDP: e grazie al ca..., "l'EU OCSE" continua a delocalizzare li'!) Il ragionamento non è nemmeno troppo complicato. La crisi greca, si dice, produrrà danni comunque significativi alle banche internazionali determinando una sostanziale contrazione del credito disponibile. E siccome a sentire la maggiore dipendenza dal credito esterno sono soprattutto le nazioni orientali, tutto o quasi lascia intendere che i contraccolpi dei disastri greci, irlandesi e portoghesi saranno scaricati in primo luogo sui cittadini dell’ex Patto di Varsavia.

L’allarme lo ha lanciato Bloomberg in nome di una preoccupazione che, da quelle parti, sembra ampiamente condivisa. “Un default greco provocherebbe una scossa nell’Europa dell’Est” interessando in primo luogo le valute, sostiene l’agenzia riprendendo le parole pronunciate dal preoccupatissimo premier ceco Petr Necas nel corso di una conferenza stampa a Katowice, in Polonia. Una paura, quella espressa dal governo di Praga, che appare più che mai comprensibile alla luce del probabile destino greco. Un destino che ha tutta l’aria di essere pesantemente segnato.

Mentre l’euro segna il maggiore ribasso sul dollaro da quasi due mesi a questa parte, i ministri finanziari dell’Unione sembrano aver scoperto una nuova parola magica: reprofiling. In termini tecnici si tratta della sostituzione delle obbligazioni in mano ai creditori con titoli equivalenti a scadenza differita. Una soluzione pensata per ora per il settore privato (ma in futuro potrebbe toccare anche ai bond sovrani), che si tradurrebbe di fatto in un default tecnico particolarmente soft. Una bancarotta “morbida”, insomma, ma pur sempre una bancarotta. Con ovvie conseguenze per il settore bancario europeo chiamato ad assorbire il colpo nell’unico modo possibile: stringendo cioè il rubinetto del credito.

Un paio di settimane fa, l’istituto francese Société Générale ha reso nota un’esposizione ai titoli greci pari a 2,5 miliardi di euro. Un’eventuale ristrutturazione del debito, assicura la banca, avrebbe un impatto tutto sommato ridotto. Ma altrettanto, forse, non si potrebbe dire per il sistema economico di quelle nazioni che a SocGen e soci risultano a loro volta particolarmente esposte. “Il rischio” osserva Bloomberg “è che una nuova ondata di crisi debitoria in Europa induca operatori come Unicredit, Erste Group e Société Générale a contrarre i prestiti proprio mentre la regione (orientale – ndr) sperimenta una ripresa da quel credit crunch che aveva contribuito alla recessione di tre anni fa”. Un ritorno al punto di partenza, dunque.

Dalla fine del socialismo in avanti, le economie dell’Europa orientale non avevano mai faticato ad ottenere la fiducia degli investitori stranieri. La relativa facilità nel garantirsi credito a buon mercato è però scomparsa all’improvviso quando le banche occidentali si sono trovate esposte al crunch americano. L’afflusso di liquidità verso Est si è interrotto e il meccanismo è saltato con conseguenze disastrose: istituti di credito locali a secco, recessione dei principali partner commerciali dell’Ovest, sfiducia degli operatori stranieri, svalutazione, inflazione, debiti privati, e sovrani in preoccupante ascesa. Ad evitare il collasso ci hanno pensato i capitali del Fondo monetario internazionale (81,52 miliardi di dollari) e della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, intervenuti a ridare ossigeno a un sistema economico finanziato per 1.300 miliardi di dollari dagli istituti stranieri (che costituiscono a loro volta il 76% del sistema bancario attivo nella regione). Tra i creditori, rivelarono alla fine del 2008 le analisi di Danske Bank, Financial Times e Banca dei regolamenti internazionali (Bis), alcuni grandi operatori di Italia, Austria, Francia e Germania come, tra gli altri, Unicredit, Intesa, Bnp Paribas ed Erste ma anche Commerzbank, SocGen e Credit Agricole. Queste ultime tre, in particolare, notoriamente esposte, oggi, proprio ai titoli greci.

L’Europa dell’est, dunque, torna a rischiare. Ed è proprio qui, come detto, che si colloca il paradosso. Già, perché come ricorda Bloomberg, quello attuale pare proprio un buon momento. Il rischio default calcolato sui derivati è crollato un po’ ovunque, il rapporto debito/Pil resta al di sotto di qualsiasi soglia critica e la crescita è ripartita. Nel corso del 2011, ha evidenziato il Fmi, le economie della regione dovrebbero avanzare del 4,3% replicando il risultato nel 2012. Ma si tratta di una previsione sulla quale pesano le incognite relative alla liquidità di sistema. L’ennesima variabile dell’infinita crisi europea.


[SM=g1747522] [SM=g1747522] [SM=g1747522]

dgambera
00venerdì 20 maggio 2011 23:59
dgambera
00lunedì 23 maggio 2011 01:19
Per Commerzbank aumento di capitale da 5,3 miliardi per rimborsare gli aiuti di stato

22 maggio 2011


Un aumento di capitale da 5,3 miliardi di euro per ripagare gli aiuti di Stato. Commerzbank, seconda banca tedesca, si appresta ad emettere nuove azioni ad un prezzo che dovrebbe essere compreso tra i 2,16 e i 2,20 euro. Lo rivela l'agenzia Bloomberg citando fonti confidenziali. Il prezzo definitivo dell'aumento di capitale non è ancora stato deciso. La banca tedesca all'inizio dell'anno aveva negato di voler pianificare un aumento di capitale.

Lo scorso aprile tuttavia Commerzbank ha annunciato di essere pronta a rimborsare da qui a fine giugno 14,3 miliardi di euro allo Stato tedesco, che ha sostenuto la banca ai tempi della crisi attraverso un maxi aumento di capitale da 11 miliardi di euro da attuare in più fasi.

Berlino aveva fornito assistenza sotto forma di 16,2 miliardi di euro di partecipazione silenziosa, vale a dire capitale a cui non è legato diritto di voto. Il governo tedesco aveva anche preso una partecipazione del 25% più una quota nel capitale dell'istituto, portando il totale degli aiuti concessi a circa 18 miliardi di euro. Entro giugno la banca vuole ridurre l'entità della partecipazione silenziosa a 1,9 miliardi di euro.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

dgambera
00lunedì 23 maggio 2011 14:40
Abi: ricavi delle banche italiane in calo, gli istituti recuperino competitività. Boom sofferenze nel 2010

23 maggio 2011


Le banche italiane devono recuperare redditività «per continuare a svolgere il loro ruolo»: calano, infatti, i ricavi degli istituti che nel confronto internazionale restano «penalizzati». È questo il quadro che emerge dalle semestrali Abi, basato sui bilanci al 31 dicembre 2010, che è stato presentato nel corso della tavola rotonda "La sfida della redditivita".

Il rapporto 2011 sul settore bancario è stato illustrato dal direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, e dal responsabile direzione strategie e mercati finanziari Abi, Gianfranco Torriero. «Nel 2010 le banche in Italia - sottolinea l'Abi - hanno scontato ancora gli effetti derivanti dal difficile contesto economico e finanziario: calano i ricavi e nel confronto internazionale restano penalizzate».

Secondo l'associazione bancaria «è necessario che le banche recuperino redditività per continuare a svolgere il loro ruolo a sostegno di famiglie e imprese e contribuire alla crescita dell'economia. La ripresa dei finanziamenti va consolidandosi con ritmi superiori alla media europea ma - osserva ancora l'Abi - il settore ha di fronte molteplici sfide: il controllo della rischiosità dei propri impieghi, gli effetti della regolamentazione sul capitale, un ulteriore recupero di efficienza».

Boom sofferenze nel 2010
Le sofferenze delle banche italiane nel 2010 «mostrano una consistenza al netto delle svalutazione di 44 miliardi a fronte dei 33,7 miliardi di fine 2009» mentre l'utile di esercizio presenta un aumento dell'1,5% attestandosi a 7 miliardi di euro.

L'incidenza delle sofferenze sul totale delle esposizione creditizie verso clientela per cassa è pari al 2,2%, a fronte dell'1,7% del 2009
. Alla fine del 2010 il totale dell'attivo dei 38 gruppi bancari esaminati risulta pari a 2.757 miliardi di euro, con un aumento del 3,4% rispetto al 2009. «Rilevante» appare la quota dell'attivo riferita a crediti verso clientela (64,3%, in lieve flessione rispetto al 65,1% del 2009), pari a dicembre 2010 a 1.774 miliardi di euro, con un incremento rispetto all'anno precedente del 2,2%.
Le banche italiane migliorano il loro livello di patrimonalizzazione: il primo coefficiente (tier 1 capital ratio) passa dall'8,21% del 2009 all'8,67% nel 2010. Il total capital ratio, relativo all'intero patrimonio di vigilanza si attesta al 12,11% rispetto all'11,60% dell'anno precedente.

Roe medio del sistema è calato al 3,65%
La crisi continua a pesare sui bilanci bancari. Nel 2010 la redditività media del sistema, misurata attraverso il roe, è scesa al 3,65% dal 3,84% dell'anno precedente secondo i dati calcolati dall'Abi su un campione di 38 gruppi bancari. Sulla redditività ha contribuito il margine di interesse con una riduzione di 3,2 miliardi (-6,6%). Stabili le spese, l'utile netto è in crescita dell'1,5% a 7 miliardi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

iandy73
00martedì 24 maggio 2011 09:28
da www.ilgrandebluff.info/

UK financial institutions reviewed for a possible cut by Moody's
Moody’s says:
- 14 UK financial institutions on review for possible downgrade.
- Some UK banks systematic support level to be reassessed.
- Review includes Lloyds TSB Bank, RBS, Newcastle Building Society, Santander UK Plc.
- UK groups which may be downgraded include Nationwide Building Society, Newscastle Building Society, Norwich & Petersborough Building Society, Nottingham Building Society, Principality Building Society, RBS, Santander UK, Skipton, West Bromwich, Yorkshire Building Societies.
- Clydesdale Bank remains on review for possible downgrade.


building! building!.....sta' malattia del settore costruzioni/immobiliare è peggio della peste bubbonica!!! [SM=j7568] [SM=g7840]
laplace77
00martedì 24 maggio 2011 10:56
Re:
iandy73, 24/05/2011 09.28:

da www.ilgrandebluff.info/

UK financial institutions reviewed for a possible cut by Moody's
Moody’s says:
- 14 UK financial institutions on review for possible downgrade.
- Some UK banks systematic support level to be reassessed.
- Review includes Lloyds TSB Bank, RBS, Newcastle Building Society, Santander UK Plc.
- UK groups which may be downgraded include Nationwide Building Society, Newscastle Building Society, Norwich & Petersborough Building Society, Nottingham Building Society, Principality Building Society, RBS, Santander UK, Skipton, West Bromwich, Yorkshire Building Societies.
- Clydesdale Bank remains on review for possible downgrade.


building! building!.....sta' malattia del settore costruzioni/immobiliare è peggio della peste bubbonica!!! [SM=j7568] [SM=g7840]




[SM=g1747522] [SM=g1747522] [SM=g1747522]

eh, i bei tempi in cui tutto questo era "avanguardia"...

mortgage lender implode-o-meter



bank implode-o-meter



home builder implode-o-meter


[SM=g1747522] [SM=g1747522] [SM=g1747522]
labottegadelfuturo
00martedì 24 maggio 2011 10:56
Declassamento di Poste Italiane
S&P declassa Poste Italiane causa "proprietà dell'azienda" in mano completamente pubblica.

Anche se sarei curioso di vedere quanto potrebbe stare sul mercato con le proprie gambe così com'è strutturata
dgambera
00martedì 24 maggio 2011 13:02
Standard & Poor's taglia l'outlook di Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Bnl e Findomestic

24 maggio 2011


Standard & Poor's ha tagliato l'outlook, portandolo a "negativo", di quattro banche italiane: Intesa Sanpaolo (declassata da Moody's a inizio mese), Mediobanca,Bnl e Findomestic. Ciò significa che i rating dei quattro istituti, che sono stati confermati, potrebbero essere abbassati in futuro. L'agenzia ha spiegato che la revisione è legata all'abbassamento dell'outlook sul rating dell'Italia, che è stato rivisto come "negativo" lo scorso 21 maggio. Le quattro banche - sottolinea Standard & Poor's - sono fortemente dipendenti dal mercato domestico e un abbassamento del rating italiano avrebbe come conseguenza un downgrade dei rating assegnati agli istituti citati.

....

laplace77
00martedì 24 maggio 2011 14:39
Re: Declassamento di Poste Italiane
labottegadelfuturo, 24/05/2011 10.56:

S&P declassa Poste Italiane causa "proprietà dell'azienda" in mano completamente pubblica.

Anche se sarei curioso di vedere quanto potrebbe stare sul mercato con le proprie gambe così com'è strutturata




boh, se non sbaglio, CDP e minFin hanno incassato una cedoletta da poste...

in ogni caso (e vale anche per la Grecia e gli altri PIIIGS): bello che le AdR abbassino le valutazioni degli enti in odore di privatizzazione, eh? comodo per chi se le comprera' scontate...

...ma e' una storia gia' vista...

[SM=g9128]
labottegadelfuturo
00martedì 24 maggio 2011 15:12
Re: Re: Declassamento di Poste Italiane
laplace77, 24/05/2011 14.39:




boh, se non sbaglio, CDP e minFin hanno incassato una cedoletta da poste...

in ogni caso (e vale anche per la Grecia e gli altri PIIIGS): bello che le AdR abbassino le valutazioni degli enti in odore di privatizzazione, eh? comodo per chi se le comprera' scontate...

...ma e' una storia gia' vista...

[SM=g9128]



E' una società che "depurata" di parecchi dipendenti in meno farebbe la felicità di qualsiasi padrone del vapore.

Bisogna capire come faranno ad "affossarla" per farla comprare "a du spiccetti" agli amici degli amici ;)


laplace77
00martedì 24 maggio 2011 21:14
Re: Re: Re: Declassamento di Poste Italiane
labottegadelfuturo, 24/05/2011 15.12:



E' una società che "depurata" di parecchi dipendenti in meno farebbe la felicità di qualsiasi padrone del vapore.

Bisogna capire come faranno ad "affossarla" per farla comprare "a du spiccetti" agli amici degli amici ;)






forse allo stesso modo di come stanno facendo con le banche greche...

...e magari anche peggio visto che lo stato e' azionista di maggioranza di poste...


09:17 - Grecia: Moody's,per banche probabile default in scia a quello sovrano

Rating in range B se invece ci fosse subito supporto Bce

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Londra, 24 mag - Il settore
bancario greco, evidenzia Moody's nella sua valutazione
degli effetti di un potenziale default della Grecia,
richiederebbe una ricapitalizzazione per compensare le
perdite delle banche sui titoli di Stato greci, e del
sostegno della liquidita' continua dalla Banca centrale
europea, almeno fino a quando l'accesso in proprio ai
mercati dei capitali rimarra' compromesso. Se tale supporto
arrivasse immediatamente, le banche greche potrebbero
mantenersi ad un rating nel campo B. Ma lo scenario piu'
probabile e' che un default sovrano sia accompagnato da una
qualche forma di default sul debito bancario, in cui le
banche potrebbero subire declassamenti di molti gradini,
scendendo molto probabilmente allo stesso livello di rating
della Grecia.



...pesantezza...

[SM=g7600] [SM=g7600] [SM=g7600]

laplace77
00mercoledì 25 maggio 2011 10:46
Re: Re: nuove regole
iandy73, 17/05/2011 11.37:




...hanno abbassato, prima da noi era pari a 103.000 euri e rotti....i vecchi duecento milioni di lire....adesso dal sito del fondo di tutela dei depositi:

www.fitd.it/garanzia_depositanti/garanzia_dep.htm


".....I sistemi di garanzia dei depositi sono disciplinati a livello europeo dalla Direttiva n. 94/19 CE, come modificata dalla Direttiva 2009/14/CE dell’11 marzo 2009 per quanto riguarda il limite di copertura e i termini di rimborso.

Il legislatore italiano ha recepito la Direttiva 94/19/CE con il D. Lgs. del 4 Dicembre 1996, n.659e la Direttiva 2009/14/CE con il D. Lgs. del 24 marzo 2011, n.49 in vigore dal 7 maggio 2011.

Il Decreto Legislativo 24 marzo 2011, n.49, in conformità al dettato della Direttiva 2009/14/CE, dispone l’applicazione di un limite massimo di rimborso per depositante pari a 100.000 euro e di un termine di rimborso di 20 giorni lavorativi, prorogabili dalla banca d’Italia in circostanze del tutto eccezionali di altri dieci giorni, a decorrere dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'articolo 83 del Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B)....." [SM=g1749704]




a quanto pare le normative sono in evoluzione, c'e' addirittura una trattativa tra banche e governi...


19:30 - Banche: Parlamento Ue, piu' tempo per adeguare fondo garanzia depositi

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bruxelles, 24 mag - Le banche
devono avere 15 anni di tempo per portare il fondo di
garanzia dei depositi all'1,5% di tutti i depositi e non 10
come proposto dalla Commissione. Cio' per permettere al
sistema europeo di restare competitivo a livello
internazionale. E' questa una delle novita' nelle regole sul
sistema di garanzie dei depositi votata oggi dalla
commissione economica dell'Europarlamento.



19:42 - Banche: Parlamento Ue, piu' tempo per adeguare fondo garanzia depositi -2-

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bruxelles, 24 mag - Le nuove
regole stabiliscono che il limite di protezione dei depositi
e' di centomila euro, ma viene lasciato agli stati Ue piu'
spazio per il modo in cui il regime viene definito.
L'estensione a 15 anni invece che a dieci del periodo entro
il quale il fondo deve valere l'1,5% di tutti i depositi
garantiti, comporta un obbligo: i contributi delle banche
vanno versati piuttosto che essere costituiti in garanzie.
Le banche che implicano maggiori rischi devono contribuire
piu' di quelle con rischio medio: i livelli di rischio
dovranno essere stabiliti con un metodo standard definito
dall'Autorita' bancaria europea. Secondo la commissione
affari economici le banche piu' rischiose devono pagare 2
volte e mezzo piu' della media (la Commissione prevedeva il
doppio).
I depositanti dovranno essere rimborsati entro cinque
giorni lavorativi (proposta originaria era 7) ma fino alla
fine del 2016 gli stati potranno decidere di farlo entro
venti giorni. Si prevede anche uno scenario in cui i
depositanti potrebbero ricevere 5mila euro entro cinque
giorni lavorativi.
Infine si prevede che le banche informino i clienti nel
caso i loro depositi non siano garantiti da un regime di
garanzia offrendo loro la possibilita' di ritirare i soldi
senza alcuna penalita'. Ora comincera' il negoziato con i
governi.
iandy73
00mercoledì 25 maggio 2011 16:42
da www.wallstreetitalia.it

L'Ue ammette: Grecia rischia di uscire dall'euro

Roma - Per il commissario dell'Unione Europea Maria Damanaki la presenza della Grecia nell'Unione Europea e' a rischio. La questione e' semplice: "Atene deve accettare il piano di austerita' altrimenti l'unica alternativa possibile e' il ritorno alla dracma". A riferirlo e' un'agenzia di stampa statale.

Con tutta probabilita' la Greecia vorrebbe tornare a utilizzare la propria moneta nazionale, ma non le sara' mai permesso di farlo, perche' manderebbe in crisi tutte le banche dell'area euro. Un evento a cui nessuno acconsentira'. I greci sono in trappola.



...è questo il dilemma.....lo stato se salva ma manda a gambe all'aria le bencucce invischiate oppure salviamo le bancucce e lo stato muore dissanguato? [SM=g1749704]
(sylvestro)
00mercoledì 25 maggio 2011 17:15
Re:
iandy73, 25/05/2011 16.42:


... ma non le sara' mai permesso di farlo, perche' manderebbe in crisi tutte le banche dell'area euro. Un evento a cui nessuno acconsentira'. I greci sono in trappola.
...




Questa in grassetto, per ora, e' la tesi che mi sembra prevalente.


E indipendentemente da come andra' a finire, ho l'impressione che questo balletto di notizie contrastanti sia il solito giochetto per far arricchire gli insider, ora al rialzo ora al ribasso, sui vari mercati.
laplace77
00mercoledì 25 maggio 2011 18:56
Re: Re:
(sylvestro), 25/05/2011 17.15:




Questa in grassetto, per ora, e' la tesi che mi sembra prevalente.


E indipendentemente da come andra' a finire, ho l'impressione che questo balletto di notizie contrastanti sia il solito giochetto per far arricchire gli insider, ora al rialzo ora al ribasso, sui vari mercati.




quotissimo: evviva l'allegro su e giu'...

[SM=g9128]

dgambera
00sabato 4 giugno 2011 22:05
Stretta in vista sul capitale delle banche americane. La Fed prepara un piano più rigido di Basilea 3

di Andrea Franceschi 4 giugno 2011


Gli Stati Uniti si apprestano a varare un piano che impegnerà le grandi banche a rafforzare in maniera significativa i propri requisiti patrimoniali, sulla scia di quanto già fatto in Europa con gli accordi di Basilea 3. Lo ha detto chiaramente Daniel Tarullo, membro del board della Federal Reserve in un discorso al Peterson Institute for International Economics. I requisiti patrimoniali che la Fed potrebbe chiedere alle banche sarebbero addirittura più rigidi rispetto a quelli di Basilea 3. Il piano, che la banca centrale americana sta studiando, imporrebbe infatti agli istituti di credito un rapporto tra il capitale e totale degli asset tra l'8 e il 14 per cento. La percentuale richiesta varierebbe sulla base del profilo di rischio degli investimenti di ciascuna banca.

Nessuna decisione è stata ancora presa ma, se questi numeri fossero confermati, ci troveremmo di fronte a paletti molto più stringenti di quelli di Basilea 3. L'accordo raggiunto lo scorso settembre stabilisce che il capitale ordinario (azioni emesse e utili accantonati) debba essere pari ad almeno il 7 per cento dell'attivo ponderato. Nello specifico viene alzato al 4,5% il common equity ratio (cioè il rapporto tra la componente di migliore qualità del patrimonio di una banca e il totale degli asset) e in più si richiede un "cuscinetto" di sicurezza pari al 2,5%.

Gli Usa, che non hanno sottoscritto Basilea 3, si apprestano quindi a varare un piano che ha, in sostanza, la stessa filosofia. Daniel Tarullo, nel suo discorso, è molto chiaro: l'obiettivo di queste misure è quello di «scoraggiare» l'eccessiva crescita delle banche a meno che questa non comporti «significativi benefici per la società». Insomma una soluzione radicale all'annoso problema delle cosiddette banche troppo grandi per fallire. «Nessuno qui vuole un altro Tarp» ha detto il membro del board della Fed riferendosi al piano da 700 miliardi di dollari varato dal governo americano per salvare il sistema finanziario.

L'idea di un piano sulla scia di Basilea 3 era nell'aria da tempo. Lo stesso presidente Ben Bernanke, lo scorso 18 febbraio, aveva auspicato un'accellerazione su questo fronte. Tuttavia i numeri fatti dal suo collega Tarullo hanno scosso gli addetti ai lavori, che non si aspettavano paletti così rigidi. Gli analisti di Bank of America hanno stimato che, per raggiungere rapporto tra il capitale e il totale degli asset del 10%, un colosso come Citigroup debba raccogliere sul mercato la bellezza di 13 miliardi di dollari. A Morgan Stanley ne servirebbero quattro a Jp Morgan uno mentre Goldman Sachs sarebbe già in regola e avrebbe addirittura quattro miliardi di capitale in eccesso.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

serafin.
00martedì 7 giugno 2011 09:20
uhhhh le poste

le poste non ce la fanno hanno levato quella cotica di interesse che ti davano sul conto corrente ora gli interessi sul conto sono 0,00!!!

Lab avevi ragione
labottegadelfuturo
00martedì 7 giugno 2011 09:53
Re:
serafin., 07/06/2011 09.20:

uhhhh le poste

le poste non ce la fanno hanno levato quella cotica di interesse che ti davano sul conto corrente ora gli interessi sul conto sono 0,00!!!

Lab avevi ragione




Poste sta per fare un botto che la metà basterebbe a far piangere tanta gente.
laplace77
00martedì 7 giugno 2011 20:49
Non solo BPM

come riportato da FourCorners:


Bpm, le carte Bankitalia sui crediti a rischio

Oggi le risposte alla Vigilanza. Al gruppo Ligresti 500 milioni. Le garanzie di Ponzellini
Giovanni Pons e Vittoria Puledda, Repubblica - 7 giugno 2011

MILANO — Oggi il consiglio di amministrazione della Bpm si riunirà per rispondere ai rilievi dell’ispezione Bankitalia. E non sarà una riunione facile, in quanto gli uomini inviati da Mario Draghi hanno trovato una serie di irregolarità non da poco nei conti della banca guidata da Massimo Ponzellini ed Enzo Chiesa. Irregolarità che hanno portato alla decisione di proporre all’assemblea un aumento di capitale fino a 1,2 miliardi.
L’area più critica della Bpm, secondo il verbale ispettivo che Repubblica ha potuto visionare, è il cosiddetto “Rischio creditizio”, cioè l’esposizione in crediti alla clientela che non «è stato correttamente segnalato alla vigilanza». La sequenza di incongruenze rilevate dagli ispettori è impressionante: «Le verifiche a campione hanno fatto emergere sofferenze, incagli, ristrutturate e previsioni di perdita rispettivamente per 736,8 milioni di euro, 1460,4 milioni, 742,5 milioni, e 810,7 milioni, con differenze, rispetto alle risultanze interne di 98 milioni, 454,7 milioni, 491,1 milioni e 162,4 milioni». In pratica Bankitalia ha riclassificato i crediti della Bpm in quanto molte partite erano state mantenute in “bonis” in base a un’interpretazione restrittiva delle norme di vigilanza.
La banca guidata da Ponzellini, poi, nonostante operi in un territorio denso di imprese manifatturiere, vanta un’inspiegabile inclinazione a prestare soldi al settore “immobiliare allargato” (ben il 43% dell’erogato). Una tendenza accresciuta nel secondo semestre 2010 nonostante i manager dichiaravano l’opposto...



Esplosione dei crediti ristrutturati
da imprese+finanza, il blog di Fabio Bolognini - 4 giugno 2011

Dall’esame dei bilanci 2010 delle banche emerge con estrema chiarezza lo sforzo di ristrutturazione a cui tutti gli istituti di credito sono stati costretti nell’anno.  Sono numeri che parlano da soli. I crediti alla clientela oggetto di ristrutturazione per 15 banche (praticamente tutte le maggiori) sono passati da 6,7 miliardi a 11,1 miliardi con un aumento del 66%.



Crediti ristrutturati lordi - fonte: bilanci consolidati 2010

Le banche minori sembrano ancora toccate marginalmente dalla febbre di ristrutturazione, può essere che non siano pienamente attrezzate nella gestione dei nuovi strumenti previsti dalla legge fallimentare (piani di risanamento e accordi di ristrutturazione). Al di là delle differenze risulta evidente che l’intero sistema bancario ha dovuto rimboccarsi le maniche e intervenire in un numero elevatissimo di situazioni per evitare che le singole situazioni precipitassero nella categoria sofferenze. Le strutture dei crediti sono state sottoposte ad un iperlavoro che continua nel 2011 con ritmi spesso molto lenti a causa dell’affollamento delle richieste e della complessità delle soluzioni...


Quanti sono i crediti deteriorati veri?
da imprese+finanza, il blog di Fabio Bolognini - 7 giugno 2011

L’aumento di sofferenze, incagli e crediti ristrutturati non è più un mistero, ma l’entità della crescita e le differenze tra banca e banca possono ancora stupire. Analisti e società di consulenza puntano la lente di ingrandimento proprio sulla capacità delle banche di fare fronte nei prossimi anni a questa massa di crediti inesigibili o poco esigibili sui quali gli accantonamenti sono parziali.
[Con riferimento al caso BPM] Si tratta di un caso isolato o c’è un problema di sottovalutazione dei crediti deteriorati per l’intero sistema bancario? Non c’è una risposta a questo interrogativo. Genericamente si può dire che il settore immobiliare... è sicuramente un buco nero più ampio di quanto venga classificato nei bilanci e lo dico anche sulla base di esperienze dirette. Se tutte le operazioni immobiliari bloccate o invendute fossero messe a incaglio vedremmo ben altri numeri. L’esame dei bilanci bancari e dei crediti deteriorati proseguirà su Imprese+Finanza anche con il dubbio che le cifre siano più ampie di quelle riportate perché comunque le tabelle che mostro sono indicative dell’impatto del fenomeno crediti dubbi sui futuri rapporti tra banche e imprese.



[SM=g1747522] [SM=g1747522] [SM=g1747522]
labottegadelfuturo
00giovedì 9 giugno 2011 16:40
Fidarsi è bene...
...non fidarsi è meglio


"ordine perentorio di non avere uscite superiori ai 50mila euro".

sono le cifre che vi hanno imposto come tetto di uscita?
no, queste che ho detto adesso sono cifre indicative. per far capire ai lettori. ma più o meno, che siano 50mila o 100mila o 150mila, c'è il tetto. quando è giorno di pensione, in ufficio entrano i soldi ma i clienti non ritirano tutto, 300 o 400 euro, poi dopo qualche giorno altri 200 o 300 euro. così l'ufficio ha i conti in attivo. dopo nove giorni a secco, i clienti prendono i soldi a mazzette, e l'ufficio è in passivo. ovviamente dall'ufficio centrale ci avvertono: attenti al budget, non pagate cifre superiori senza che il commerciale abbia potuto parlare con i clienti, vi chiameranno quelli del commerciale, preparate i dati. dall'ufficio centrale ci chiedono di chiamare a casa i clienti, suggerendo loro di trasferire i loro soldi dai conti correnti ai libretti postali, così sui budget i prelievi a valanga di questi giorni si vedono meno.

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