Sembrerebbe si stia prendendo una certa direzione....
Cassa integrazione in calo a luglio (-29%), ma non è ancora ripresa
articoli di Claudio Tucci e Francesco Prisco 3 agosto 2011
di Claudio Tucci
Nuova frenata a luglio delle richieste di cassa integrazione (Cig) da parte delle imprese. Con 80,7 milioni di ore autorizzate si assiste a un calo del 2,1% rispetto a giugno scorso, quando sono state autorizzate 82,4 milioni di ore. Al Centro la contrazione maggiore di richieste di Cig (-16,6% a livello congiunturale). Segno meno anche nel Nord Est (-5,8%) e nel Nord Ovest (-5,7 per cento). In controtendenza invece il Sud, con un aumento di ore autorizzate (luglio 2011 su giugno 2011) del 22,8 per cento.
La rilevazione è arrivata ieri dall'Inps che ha fatto sapere anche come rispetto a un anno fa (a luglio 2010 furono autorizzate 113,4 milioni di ore) le richieste di Cig siano a oggi calate del 28,8 per cento. Tra i settori produttivi la diminuzione più forte di domande di Cig è arrivata dall'artigianato (-62,7% a livello tendenziale), seguito dall'industria (-25,3%), dal commercio (-14,3%), dall'edilizia (-10,6 per cento).
Complessivamente nei primi sette mesi del 2011 sono state autorizzate 591,8 milioni di ore di Cig (-20,8% rispetto allo stesso periodo del 2010). Il dato è positivo, ha commentato il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, ma la flessione di richieste di Cig registrata a luglio «assume un particolare significato sia perché viene dopo la decisa frenata segnata a giugno (-20,1% su maggio 2011) sia perché luglio è storicamente un mese di aumento delle domande di cassa integrazione».
I dati Inps parlano, a livello nazionale, di una diminuzione tendenziale di tutte le categorie di cassa integrazione. Tra luglio 2010 e luglio 2011 infatti le richieste di cassa integrazione in deroga (Cigd) sono scese del 29,5%, quelle di cassa integrazione straordinaria (Cigs) del 29,2 per cento. Le richieste di cassa integrazione ordinaria (Cigo) sono calate invece del 27,2%, ma a livello congiunturale (luglio 2011 su giugno 2011) si registrano dati in controtendenza, con una crescita della Cigo del 7,9 per cento. «A testimonianza - ha commentato Carlo Dell'Aringa, economista del lavoro all'università Cattolica di Milano - che siamo di fronte a una nuova fase di stanca dell'occupazione dopo i primi segnali di ripresa fatti registrare in primavera soprattutto nel settore industriale». L'aumento congiunturale della Cigo, ha aggiunto Dell'Aringa, «significa che nuove imprese entrano in una fase di difficoltà. E fa riflettere anche il calo delle richieste di sussidi (tra giugno 2011 e giugno 2010 le domande di disoccupazione sono scese del 5,8% e quelle di mobilità del 33,4%) dovuto pure all'esaurimento dei trattamenti di integrazione salariale e all'aumento della disoccupazione di lunga durata (quella cioè superiore a un anno)».
Di diverso avviso Giuliano Cazzola del Pdl che giudica comunque «positiva» la frenata della Cig registrata a luglio: «Un primo effetto che la ripresa economica sta investendo anche il mercato del lavoro, come evidenziato pure dai dati di lunedì scorso dell'Istat sul tasso di disoccupazione che in Italia resta stabile e sotto la media Europea». «Un ottimismo fuori luogo», attacca Fulvio Fammoni della Cgil che evidenzia come i numeri resi noti dall'Inps confermino in realtà «un trend che porterà le ore di Cig autorizzate nel 2011 attorno al miliardo e cioè, dopo due anni di crisi, allo stesso dato del 2009 e con in più molte persone che continueranno a vivere per il secondo e terzo anno consecutivo con una indennità di 700 euro al mese».
«Siamo sempre più distanti dai picchi negativi del 2010», osserva invece Giorgio Santini della Cisl: «Ma l'uscita dalla crisi è ancora lontana e per questo non bisogna abbassare la guardia e compiere ora un vero e proprio investimento economico e sociale nelle politiche attive del lavoro per ricollocare e riqualificare i disoccupati e i cassintegrati, incentivando con le risorse disponibili le aziende che assumono specie in aree di crisi». D'accordo Guglielmo Loy della Uil che intravede però un segnale positivo nella diminuzione di Cigs e Cigd: «Denota una potenziale uscita di una parte delle aziende da crisi più strutturali e di piccole e piccolissime imprese che potrebbero avere ripreso a camminare con le loro forze. In ogni caso - aggiunge - saranno i prossimi mesi e il dato delle ore realmente utilizzate dalle imprese a dirci se il sistema produttivo sta dando segnali di uscita dall'empasse». A chiedere infine un intervento «immediato» di Governo e Regioni è anche Nazzareno Mollicone dell'Ugl: «I dati Inps dimostrano che esiste uno stock 'non assorbito' di lavoratori per i quali è indispensabile attuare programmi di reimpiego basati sulla formazione qualificata e mirata alle effettive esigenze produttive del territorio».
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.... ma la realtà è ben diversa
La crisi in Campania: 36mila posti a rischio
di Francesco Prisco 3 agosto 2011
Fincantieri, Irisbus, Firema e non solo. La Campania, terra di eterne emergenze, a quanto pare è anche patria delle vertenze lavorative a ostacoli: in questo momento se ne contano 379 per un totale di quasi 36mila addetti che rischiano il posto.
Le stime arrivano dalla Cisl e sono persino arrotondate per difetto: «I sindacati - commenta il segretario regionale Lina Lucci - gestiscono direttamente soltanto le crisi di dimensioni maggiori, quelle che insomma hanno a che fare con l'industria e i servizi». Se si allarga il discorso a commercio e artigianato, in tutta probabilità torna buono il dato fornito a inizio anno dalla Regione che quantificò in 590 le vertenze in corso.
Curioso il quadro che si ricava a provare a definire le coordinate geografiche dei principali focolai di crisi: il numero più alto di vertenze (addirittura 154) spetta alla provincia di Caserta, un tempo seconda soltanto a quella di Milano per densità di imprese. Qui si avverte il peso della ormai storica sofferenza del comparto chimico, ma non se la passa bene neanche l'industria meccanica: vedi alla voce Firema, con 300 dei suoi 510 addetti che da ormai un anno tirano avanti ad ammortizzatori sociali. Segue la provincia di Napoli (86 vertenze in corso), dove in questo momento tiene banco soprattutto la vicenda Fincantieri che vede in bilico il futuro di 670 dipendenti diretti e 1.200 dell'indotto. A stretto giro fa seguito la provincia di Avellino, teatro di 83 crisi, davanti a Salerno e Benevento, dove le vertenze sono rispettivamente 43 e 13.
Diverse le 'gerarchie' per quanto riguarda il numero di addetti che rischiano il posto di lavoro in questa concitata fase dell'economia regionale: stavolta la leadership spetta alla provincia di Avellino, dove appaiono in bilico addirittura 14.426 addetti. Peserà sicuramente la vicenda di Irisbus, costola del gruppo Fiat Industrial in via di dismissione (proprio oggi è in programma un vertice governo-sindacati a Roma che potrebbe essere risolutivo) con 685 lavoratori diretti e 2.000 dell'indotto che attendono di conoscere il proprio destino. Grave comunque anche la situazione di Napoli (10.278 dipendenti a rischio) e Caserta (oltre ottomila unità), mentre decisamente meglio se la passano Salerno e Benevento, entrambe con poco più di 1.400 posti in bilico.
Dato lo scenario di fondo, si preannuncia a tutti gli effetti come un autunno caldo. Proprio il segretario campano di Cisl Lina Lucci nei giorni scorsi ha inviato al governatore Stefano Caldoro, ai presidenti delle province e ai sindaci dei comuni capoluogo un documento che, oltre a fotografare le crisi in atto, invoca «un recupero della credibilità di tutte le forze politiche della Campania». Un testo che innanzitutto fa da pungolo a Palazzo Santa Lucia affinché pressi sempre di più il governo nazionale e lo convinca «a liberare le risorse della Campania sulla base dei comportamenti virtuosi già in essere (risanamento dei conti e loro stabilità, piano di rientro della sanità) non per mero assistenzialismo come fatto in passato».
In più mette in mora l'attività di tre assessorati regionali: quello alle Attività produttive e ai trasporti, per la sua «assenza di iniziativa politica e propositiva» in vicende come quella dei contratti di programma e per la mancata predisposizione del Piano trasporti; quello al Personale che «a oltre un anno dall'annuncio di un progetto di riforma della macchina amministrativa della Giunta Regionale non lo ha mai presentato»; quello all'Urbanistica che tenendo «fermo il confronto sulla riqualificazione dei centri storici e sulla edilizia pubblica» concorre all'impasse in cui versa il settore delle costruzioni. «Abbiamo fin qui lasciato lavorare l'esecutivo regionale - dichiara Lucci -. Sapevamo che la situazione che hanno trovato, all'indomani del proprio insediamento, non era delle più facili. Ora non è più tempo di aperture di credito in bianco: passiamo a valutare la produttività della nostra classe dirigente. Mandiamo a casa chi non è in grado di sbloccare le risorse che potrebbero rimettere in moto la regione».
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