L'Italia è senza lavoro
Torino non sa che fine farà Mirafiori, la Toscana perde la siderugia, il manifatturiero delle Marche ridotto all'osso. Se scricchiolano pilastri un tempo solidissimi, figuriamoci come se la passano zone storicamente meno produttive come Calabria e Sicilia. Pubblichiamo qui un'istantanea della crisi in vista dell'assemblea straordinaria convocata dalla Cgil per sabato 3 dicembre "Il lavoro salverà l'Italia". Le interviste sono tratte dallo speciale di RadioArticolo1.
Iniziamo dal Nord, Piemonte. Qui la cassa integrazione colpisce 140mila persone. Ben che vada, possono sperare nella deroga, che però inizia a traballare perché le risorse del governo e della Regione non sono infinite. L'incognita maggiore riguarda ovviamente la Fiat. Al momento non dà prospettive credibili di ripresa piena nemmeno Mirafiori, dove quest'anno le settimane effettive di lavoro sono state pochissime. "Da alcuni mesi - racconta la coordinatrice del patronato Inca, Lalla Spione - le domande di disoccupazione e di mobilità aumentano in maniera esponenziale, sono diventate migliaia. Sicuramente c'è un bisogno sempre più diffuso di sostegno e questo crea molte tensioni, a volte anche all'interno dei nostri uffici".
Rischia grosso la siderurgia in Toscana, a partire dal polo di Piombino. "È un problema grave per l'intera comunità che però non nasce in Toscana - spiega il segretario della Cgil Alessio Gramolati -, ma dal fatto che per anni l'Italia non ha avuto una strategia politica e industriale mentre gli altri ce l'avevano. C'è anche chi ha saputo reagire - aggiunge il dirigente sindacale - grazie a un buon rapporto sul piano della cooperazione dei lavoratori. Le vicende Gucci, Laica e Pignone dimostrano che c'è spazio per reagire alla crisi con il coraggio degli investimenti". Ma la lista delle industrie in crisi, putroppo, è lunga e comprende nomi illustri come Breda, Finmeccanica e Selex
E il welfare non basta. Lo spiega bene don Alessandro Santoro, impegnato nella comunità delle Piagge, quartiere di 20mila persone alla porte di Firenze abitato per lo più da migranti. "Nella periferia urbana - racconta - la precarietà e diffusa, anche quella culturale, e tocca livelli d'impotenza. La nostra cooperativa sociale ha una dimensione fondamentale, vuole dare speranza. Ma siamo la crisi permanente negli ultimi anni si fa sentire ancora di più".
Nelle Marche spiccano le crisi di Fincantieri e Merloni. Anche il manifatturiero, da sempre spina dorsale dell'economia regionale, è lontanissimo dai volumi pre-crisi. Un caso per tutti, quello della Best di Montefano, piccolo comune del maceratese. Livio Staffolani, un lavoratore della multinazionale, racconta del licenziamento arrivato per telefono durante il ponte di Ognissanti, da un giorno all'altro. "Quando ci hanno fatto rientrare in fabbrica a gruppetti, per farcela rivedere ormai chiusa, ho visto i miei colleghi piangere".
Anche qui la solidarietà gioca il suo ruolo. A Fermo ci pensa la comunità di Capodarco, come racconta il suo fondatore don Vinicio Albanesi: "Si rivolgono a noi centinaia di persone, di tutte le età e con tutte le qualifiche. Non so se le istituzioni se ne rendano conto, ma siamo veramente a una strettoria terribile. Mai prima di oggi avevo visto un clima così drammatico. Penso soprattutto agli anziani soli, le Caritas stanno portando il cibo nelle loro case. Per adesso la solidarietà tra generazioni ancora regge, ma non si potrà andare avanti ancora per molto".
Sergio Genco, segretario generale della Cgil Calabria, parla di livelli di povertà e disoccupazione mai raggiunti nella sua terra. "La situazione sociale è allarmante e per di più la giunta Scopelliti ha quasi azzerato la sanità pubblica a favore dell'aspetto privato, aggravando i problemi". Racconta Piero Persante, medico di Cosenza: "Mancano cose essenziali come le garze. Ma c'è soprattutto una grande riduzione di personale, perché solo uno su cinque di chi va in pensione è rimpiazzato. Siamo in emergenza, in tanti reparti rischiamo di non poter fare i turni ordinari". Il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, descrive una città dove la disoccupazione giovanile raggiuge livelli record e "i ragazzi se ne vanno, anche quelli che si laureano nelle università calabresi, perché qui non si trova nemmeno un lavoro precario".
La Puglia è forse la regione del Sud che se la passa un po' meglio, anche se i livelli del 2008 sono ancora un miraggio. Ne risente soprattutto l'edilizia, che raccoglie i due terzi della perdita di occupazione. Luci e ombre, nella regione governata da Nichi Vendola, dove sono aumentati gli occupati, come certifica Bankitalia, ma si assiste pure a storie che sembrano d'altri tempi, come quella di Tecnova, azienda proprietà spagnola che si occupa di fotovoltaico i cui lavoratori immigrati erano costretti a lavorare 12 ore al giorno per due euro l'ora. Una brutta vicenda finita nel mirino della magistratura l'accusa di sfruttamento al limite della schiavitù della manodopera immigrata. "Ci alzavamo alle 4 del mattino e tornavamo a casa alle 8 di sera, eravamo quasi tutti senegalesi, ci hanno cercato nei mercati", racconta uno di loro.
Ancora più a Sud, Sicilia. Giuseppe Scavuzzo è un edile di Trapani. "Come tutti quelli che lavorano qui, vivo una situazione drammatica. Dal 2008 c'è una continua emorragia di posti di lavoro. Non si vede una gru, una betoniera, un cantiere aperto". Il settore edile nell'isola ha perso 17mila posti in un anno. "Ho due bambini, di 7 anni e di un anno, non lavoro da sette mesi, per fortuna mi aiuta mio suocero altrimenti non saprei come andare avanti. Per non stare a casa e per sentirmi ancora utile vado a raccogliere le olive. Non so il motivo, ma i cantieri non partono più".
Quattordici sigle e una sola visione (negativa) sui provvedimenti della maggioranza che governa la Regione: si unisce il parternariato economico e sociale della Sardegna per dire che il confronto con la Giunta non ha prodotto nulla, “è sbagliato il metodo e il merito”. Bocciatura definitiva che sposta ora l’attenzione sul Consiglio regionale, con l’appello ai capigruppo per cambiare una Finanziaria “tutta da rifare”. Il percorso delle parti sociali proseguirà, l’ipotesi è stilare un progetto di sviluppo condiviso “per colmare il vuoto di idee di chi governa”. Chissà se sapranno mettersi d’accordo, superando le reciproche differenze di vedute. Intanto hanno prodotto un documento unitario. (mm)