Raffinerie, la crisi è sempre più drammatica. Eni sospende la produzione a Gela per un anno
Anche il primo gruppo italiano del settore petrolifero si deve arrendere alla crisi della domanda e alla concorrenza degli impianti dell'estremo oriente. La recessione ha già colpito la Saras (da due anni i conti sono in rosso) e la Erg (che ha ceduto Priolo ai russi)
di LUCA PAGNI
MILANO - Si fa sempre più drammatica la crisi degli impianti di raffinazione in Europa. L'annuncio dell'Eni che ha annunciato di sospendere "temporaneamente" per un anno l'attività del petrolchimico siciliano di Gela, aldilà dei comprensibili allarmi dei sindacati, non ha sorpreso gli addetti ai lavori. Il gruppo guidato da Paolo Scaroni si è messo solo in coda alle società che - in un un modo o in un altro - hanno alzato le braccia di fronte al momento industriale negativo.
La crisi colpisce indistintamente tutti i gruppi uin Europa e l'Italia non fa eccezione. Basta guardare a cosa accade alla Saras della famiglia Moratti: nonostante disponga, in provincia di Cagliari, di uno degli impianti più efficienti del Vecchio Continente, la società milanese ha chiuso gli ultimi due anni in rosso, salvaguardando il bilancio negli ultimi trimestri soltanto grazie alle coperture garantite dai derivati sul petrolio. Come dire, che i Moratti hanno limitato i danno grazie a una manovra finanziaria ma non certo per l'andamento della componente industriale. Per non dire della Erg della famiglia genovese dei Garrone, che dal 2008 ha ceduto in tre tranche l'80% dell'impianto di Priolo (in provincia di Siracusa) al gruppo russo Lukoil. E se alla Saras, per il momento, la tenuta occupazionale è garantita,
in Sicilia i russi hanno annunciato per la fine del 2012 la riduzione da 1400 a 700 dipenedenti.
E ora è la volta dell'Eni. la società ha comunicato "l'esigenza di attuare una fermata
parziale e temporanea della raffineria di Gela, al fine di ridurre gli impatti negativi del conto economico della raffinazione". La fermata sarà "parziale e riguarderà i cicli di produzione a minore redditività, destinati alla raffinazione di greggi esteri e residui, mentre verranno mantenute le lavorazioni dei greggi nazionali e delle cariche circuitali". La durata della fermata sarà "di 12 mesi, con conseguente riavvio degli impianti ad aprile 2013. I dipendenti interessati da questo provvedimento- ha spiegato eni - non saranno la totalità, ma circa 500".
Ma come si è arerivati a questa situazione? Come per altri settori maturi, la crisi partita dal 2009 spiega solo in parte quanto sta accadendo. Certo, la minor domanda di benzina e gasolio è una delle cause. Ma a questo vanno aggiunti gli aumentidei costi (guidato dalla regolamentazione), dalla concorrenza internazionale (l’import di prodotti raffinati dal Far East) e dalla competizione con altri prodotti (come i biocarburanti). In più, il mercato tenderà a domandare sempre più prodotti per i quali l’offerta europea è già corta, come i gasoli, e sempre meno quelli “lunghi”, come le benzine.
Una crisi che riguarda tutta l'Europa. Altrove, come nei paesi nordici dove si trovano 56 delle 104 raffinerie europee, hanno problemi ancora maggiori, avendo rese in gasolio inferiori agli impianti italiani e soprattutto dovendo affrontare un graduale peggioramento della qualità dei greggi lavorati, man mano che i giacimenti del Mare del Nord andranno a esaurirsi. Questo potrebbe aprire delle possibilità faviorevoli per gli impianti italiani, a patto di intervenire su alcune inefficienze. Come ha spiegato in un suo articolo Carlo Stagnaro, direttore del cedntro Bruno Leoni ed esperto del problemi energetici.
"Gli svantaggi sono anche parzialmente dovuti ai residui margini di inefficienza nell’organizzazione del lavoro, sicché iniziative tese a incrementare la produttività degli impianti possono sortire risultati importanti rendendo le nostre raffinerie relativamente concorrenziali rispetto a quelle straniere. Tuttavia - scrive Stagnaro - resta ineludibile il tema della fiscalità, in un duplice senso. In primo luogo, l’Italia si caratterizza per un livello delle accise e dell’Iva tra i più alti in Europa, per di più in presenza di continue revisioni al rialzo. Evidentemente tale prassi ha effetti depressivi sui consumi, acuendo la crisi del settore".
C'è poi un altro tema che andrenbbe affontato, secondo l'esperto: "L’Italia è il paese europeo con la più alta aliquota implicita sui profitti d’impresa (circa 35 per cento, contro una media comunitaria attorno al 23 per cento). Peggio ancora della “fotografia”, è il “film”: negli ultimi anni, mentre in Europa il livello medio di tassazione sulle imprese andava declinando, in Italia esso è cresciuto, tra il 2005 e il 2009, dal 20-21 per cento (in linea con la media dell’eurozona) ai livelli attuali. Quindici punti di differenza si sentono, eccome: nel caso della raffinazione, poi, va inclusa la cosiddetta Robin Tax, cioè l’addizionale Ires di dieci punti percentuali che colpisce l’intero settore energetico".
(18 aprile 2012) © Riproduzione riservata