Lavoro, storie quotidiane dal fronte della recessione
Il lavoro in Italia? Nel 2009 dovrebbero perdersi 230mila posti mentre la disoccupazione potrebbe salire all'8,1 per cento. Almeno a dar retta all'Isae. E il Pil? È prevista una riduzione: tra il 2 e il 2,5%, a seconda di chi faccia le stime. Che alcuni valutano troppo pessimiste, invitando a essere meno catastrofici; mentre altri le considerano solo realiste. Numeri, percentuali, stime. Un'orgia di valutazioni che nulla dicono su chi è "dietro" i numeri. Su chi, quotidianamente, vive la crisi, sulla propria pelle. Così, il Sole240re.com ha voluto raccogliere delle testimonianze. Senza alcuna pretesa di completezza. Solo degli "spaccati" di vita di tutti i giorni di chi fatica ad arrivare alla fine del mese. Ma anche di chi, rimboccandosi le maniche, si è ripresa in mano la vita. Quello, cioè, che le statistiche non dicono.
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Il pensionato: «Quel mutuo a tasso variabile che strozza le mie finanze»
Andrea, pensionato 65enne, ha visto la rata mensile esplodere. Ha chiesto dei prestiti a delle finanziarie e «la situazione è peggiorata. Adesso ho deciso di vendere la casa per risolvere definitivamente la situazione».
Crescenzago, quartiere popolare alla periferia nord di Milano. Nella saletta della parrocchia di Gesù di Nazareth, il signor Andrea, pensionato, 65 anni, rigira il cappello tra le mani, con nervosismo. Ha accettato di raccontare la sua storia, le sue difficoltà. Prima di iniziare, però, chiede che il suo nome e cognome non siano pubblicati. A nulla serve la considerazione che è una situazione comune a tanti; che nulla c'è di male. Il senso d'imbarazzo, il timore di vedere diminuita la propria dignità sono più forti di tutto. Così l'accordo è di pubblicare solo un nome di fantsia, Andrea per l'appunto. «Sa – dice - ho iniziato a lavorare a 14 anni. E mai avrei pensato di trovarmi in una situazione del genere».
E sì, perché subito dopo il diploma di terza media Andrea va a fare l'apprendista come operaio litografo. «Ho passato la mia vita tra le stampe. Prima a Napoli, dove sono nato; poi a Milano. Mi sono trasferito dopo il militare. Qui, al Nord, sono diventato capo macchina alla Rizzoli. Più che un lavoro, una passione». Una vita che scorre via senza eccessivi affanni: anzi, Giorgio va in pensione piuttosto giovane. «Ma con 35 anni di lavoro», tiene a precisare lui. «Non avevo grossi problemi. Facevo anche volontariato all'istituto per anziani la Baggina. Pensi: io aiutavo gli altri. E adesso, invece...». Le cose, purtroppo per Andrea, sono cambiate.
Cos' è successo? «Già con il passaggio dalla Lira all'Euro -risponde Andrea - tutto è diventato più caro. Il pacchetto di sigarette, il caffè: non ci avevo mai fatto caso. Poi, ho cominciato a stare attento, a pensarci due volte prima di spendere. La mia pensione, 1.300 euro netti al mese, ha iniziato a non bastare più. Anche perché mia moglie non ha un suo reddito». Ma non è solo l'arrivo della moneta di Eurolandia. No, c'è anche la normalissima decisione di comprare casa. Un passo che non dovrebbe creare problemi. E invece... «Invece, abbiamo acquistato un appartamento circa sei anni fa, accendendo un mutuo da 89mila euro a tasso variabile». Una scelta che, allora, sembrava quella giusta. Ma che, poi, si è trasformata in una trappola. «L'anno scorso la rata è schizzata verso l'alto, ha raggiunto quasi i 700 euro al mese». Una tegola insostenibile cui si aggiungono le spese di amministrazione, le bollette. Un caro-vita che "strozza" Giorgio. Il quale, anche male consigliato, decide di chiedere dei prestiti a finanziarie: circa 30.000 euro, compresa la cessione del quinto della pensione. Tutto legale, per carità. Ma dopo l'iniziale apparente boccata d'ossigeno arriva, inesorabile, la batosta: gli interessi da pagare sui nuovi prestiti.
«Non ce la facevo più - dice Andrea - Eliminare le vacanze, fare attenzione agli acquisti non è bastato.
Alla fine mi sono messo a cercare un altro lavoro. Adesso faccio il custode. Mi pagano in nero: circa 500 euro al mese. Una faticaccia: quando inizio al mattino mi alzo alle 6.00». O addirittura prima: «Sì, perché per guadagnare ulteriori soldi vado a "fare" i sacchi per la parrocchia». Insomma, qualsiasi cosa pur di guadagnare. Pur di trovare, «sempre lavorando onestamente», un'entrata per le proprie tasche e poter pagare i conti mensili. Giorgio ha anche utilizzato la carta equa della Caritas. «È stato un bell' aiuto, mi hanno dato una mano. Putroppo dura solo tre mesi». Insomma, «peccato che non posso più utilizzarla. Ma dicono che c'è chi sta anche peggio di me». Adesso Andrea ha deciso di vendere la sua casa per risolvere definitivamente i suoi problemi. «Spero di riuscirci» dice, alzandosi dal tavolo della saletta della parrocchia Gesù di Nazareth. «Ma è difficile, sa c'è la crisi». E con un cenno della mano saluta e se ne va.
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Il cassintegrato: «Con la cassa il tempo non trascorre mai»
Stefano Ponzuoli, cassa integrato a zero ore della Bieffe di Rivalta, riesce a tirare avanti perché vive con i genitori. «Sono fortunato. Per alcuni colleghi la situazione è drammatica».
«Dieci minuti che sembrano trasformarsi in un'ora. Ma che rimangono sempre e soltanto dieci minuti». Stefano Ponzuoli 30anni, cassa integrato a zero ore della Bieffe di Rivalta, nell'hinterland di Torino, inizia così la chiaccherata con il Sole24Ore.com. «È la cosa che più mi ha colpito -dice-. Ero abituato a fare il mio lavoro, che riempiva la giornata. Ora tutto questo è sparito. Ti alzi la mattina e non sai cosa fare. Non uscire di casa e andare a lavorare è veramente dura. Devi essere capace di far trascorrere il tempo. Ma non passa mai. Si diluisce all'infinito». Già: i dieci minuti che sembrano trasformarsi in un'ora ma rimangono dieci minuti...Un vuoto difficile da colmare anche perché il senso di vergogna del "fare niente" è dietro l'angolo. «
All'inizio c'era anche quello. Ma a Torino la mia condizione è talmente diffusa che, alla fine, non ci ho fatto più caso».
E allora, come si sopravvive? «Allora esco la mattina a fare la spesa. Io, attualmente, vivo con i miei genitori. Non potrei fare altrimenti. Così, dò una mano: faccio, ovviamente, molta attenzione ai prezzi, a quello che si acquista.
Nel pomeriggio, poi, mi incontro con i colleghi che si trovano nella stessa mia situazione. È normale: ci si telefona, ci si vede al bar. Per parlare, discutere . Si condividono le difficoltà, ci facciamo forza l'uno con altro. Una sorta di rete di solidarietà».
«Io sono ancora uno tra i fortunati - continua Ponzuoli - Avevo uno stipendio netto di 1.200 euro che, adesso, è sceso a circa 700 euro al mese. Vivendo con i miei, per adesso, riesco a tirare avanti.
Certo: stavo pensando di andare a vivere con la mia fidanzata e ho dovuto rinunciare. Anche perché pago parte della rata del mutuo della casa dei miei nonni: diventerà loro e, in seguito, ci andrò ad abitare io. Tuttavia, lo ripeto, questo è nulla rispetto a ciò che devono sopportare alcuni miei amici»
Vale a dire? «
Ho un collega, sposato con due figli, che tira avanti anche lui con poche centinania di euro. Una situazione drammatica, non so come faccia. Così, quando lo vedo, lo incoraggio, gli dico di farsi forza». La cassa integrazione, comunque, è una soluzione temporanea: non le è mai venuto in mente di trovarsi una soluzione alternativa? «Sono in questa situazione dal 24 novembre scorso e dovrei rientrare alla fine del mese. Quindi, aspetto di vedere cosa succede. Comunque, non mi metto a cercare lavoretti in nero con il rischio di perdere la cassa. La speranza è che ripartano gli ordinativi e il ciclo produttivo dell'azienda. Certo, se la situazione non dovesse migliorare o, addirittura, peggiorare dovrò rivalutare la situazione, più in generale. Ma non è facile». Per nessuno lo è... «È vero. Ma io mi sono sempre dato da fare. Non sono mai stato con le mani in mano. Dopo la maturità ho iniziato a lavorare. Ho fatto tutta la trafila: società interinali, lavori a tempo determinato. Infine, nel 2003, ho trovato l'assunzione a tempo indeterminato. Solo che, adesso, la crisi è veramente globale. Anche per i lavori meno qualificati se hai più di 29 anni ti dicono che non vai più bene». Il consiglio di molti è quello di riqualificarsi, se possibile. «Lo capisco. Ho pensato di riprendere l'università. Tra un po' di tempo ci potrei pensare». Perché non farlo subito? «Potrebbe essere. Ma è facile parlare per chi non si trova in queste situazioni. La mia non è pigrizia, è che c'è un senso di scoramento generale. La mia fidanzata, che è laureata, ha incontrato anche lei moltissimi problemi per trovare un lavoro». E la chiaccherata finisce qui.
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L'ex manager: «Ho puntato sulla formazione per ricostruirmi un lavoro»
Luigina Ferraro, 42 anni, ex dirigente in una società finanziaria, si è rimessa a studiare per «aumentare le mie competenze. Perso il posto è stata dura, ma la nuova attività da consulente inizia a funzionare»
Luigina Ferraro, 42 anni, la sua carriera l'ha realizzata nel mondo della finanza. Un percorso pieno di soddisfazioni che, passando attraverso diversi incarichi in società differenti, l'ha portata a diventare dirigente piuttosto giovane: a 37 anni. Una strada, insomma, in ascesa, fino allo stop inatteso. Fino a quando,
nel dicembre di due anni fa, il gruppo per cui lavorava ha dismesso l'attività d'investimento e lei ha perso il suo posto di lavoro.
«Dopo qualche mese, nel maggio del 2008 - dice con voce calma - ero "fuori". È stato un passaggio traumatico. Soprattutto per chi, come me, dopo la laurea e un master in gestione aziendale ha da subito puntato molto sul lavoro, sull'attività professionale. Mai avrei pensato che, un giorno, qualcuno mi dicesse di andarmene via». Già: andarsene via, perdere il lavoro. Una situazione che, al di là della retorica dell'occasione-per-rimettersi-in-gioco, resta un momento drammatico della propria esistenza. Un momento dove «la rete di amicizie, la famiglia offrono un primo sostegno fondamentale. E dove, però, bisogna obbligarsi a dire che la propria vita non finisce. Che non si deve cadere nella commiserazione: bisogna andare avanti e trovare altre soluzioni». Altre soluzioni: certo, possono trovarsi. E certo, si dirà: Luigina Ferraro ha perso il posto prima dell'arrivo della crisi più dura, più profonda. Ha avuto più tempo di altri. Ma ora la recessione, comunque, c'è. E i problemi non mancano.
I suoi obiettivi non sono un target eccessivo? «Non nego sia dura per tutti. Ma la molla deve comunque scattare. Io, dopo questa esperienza, mi sono detta: mai più nelle "mani" di qualcun altro. Mai più dipendere da un datore di lavoro. Mi rendo conto che non tutti possono fare un discorso simile. Tuttavia, chi ha delle competenze deve sfruttarle e, soprattutto, deve rilanciarsi sul fronte della qualificazione professionale. Almeno, io ho fatto così». In che modo? «In maniera molto pragmatica, pensando a quali possono essere, partendo dalle proprie competenze, i settori che offrono opportunità. Per esempio,
la finanza non è certo un'area cui guardare adesso. Molti head-hunter mi dicono che, da quel settore, sono in uscita moltissimi giovani di talento che dovranno imparare a reinventarsi un mestiere».
Ma quale la strada da seguire? «Io parlo per la mia esperienza. Ho valutato che la consulenza aziendale nel retail, nella moda offre delle opportunità. Così ho deciso di conseguire un master in Marketing dei beni di lusso. Allo stesso tempo, però, credo sia necessario aprire la propria mente ad altre discipline, in un ottica multi-settoriale». E quindi? «Quindi, ho iniziato a seguire un corso di laurea di Psicologia cognitiva all'università Statale di Milano». Al di là dell'ulteriore formazione, la sua attività ha iniziato a dare frutti? «Sì, incomincio a ricevere i primi mandati. Ovviamente ci vuole del tempo ma inizio ad ingranare. Mi ha molto aiutato anche la rete di conoscenze che mi sono creata nel tempo con il precedente lavoro».
Neanche per un attimo ha pensato di vivere il classico anno "sabbatico"? «No. Anche se, in un certo senso, sarebbe stato facile». Perché? «Una donna che perde il lavoro è in qualche modo "accettata" meglio dalla società rispetto ad un uomo disoccupato. E' considerata una situazione meno grave». Come dire che, nell'Italia del 2009, anche in attività qualificate, l'idea che sia solo l'uomo a dovere fare fronte alle finanze famigliari è dura a morire. Se una donna non ha più un reddito: bé si dice... c'è chi pensa a lei. «Mio marito, ovviamente, mi ha aiutato ma ho deciso di ripartire subito, da sola. È stata dura, difficile ma ci si può riuscire».
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La Caritas: «Le nuove povertà colpiscono anche laureati e diplomati»
Per Silvana Migliorati, responsabile del Siloe della Caritas Ambrosiana, «le persone con un'istruzione qualificata che ci chiedono aiuto sono in aumento». Il progetto della Carta equa
Uno spaccato sulle difficoltà legate alla recessione. Una lente d'ingrandimento sulle nuove povertà che colpiscono anche la grande metropoli del Nord: Milano. Certo, la visuale è parziale; l'occhio è rivolto soprattutto alle situazioni limite. Eppure, proprio dai racconti, dalle storie degli operatori della Caritas ambrosiana molto si può capire. Certamente di più di tante ineccepibili, e fredde, analisi socio-economiche.
Silvana Migliorati, responsabile del Siloe, un servizio dell'Arcidiocesi di Milano a favore delle situazioni di povertà, disagio ed esclusione sociale, ci accoglie nel suo ufficio. Piccolo, arredato con l'essenziale: qui incontra, parla, tenta di indirizzare chi ha bisogno e non sa più dove sbattere la testa. Dalle sue parole, subito, si capisce che l'identikit di chi è in difficoltà oggi non coincide con quello del "classico" emarginato tanto caro ai luoghi comuni. La situazione è cambiata: «Il numero di laureati o diplomati che si rivolge a noi - dice - è in aumento, cresce sempre di più.
Proprio l'altro giorno si è presentato un ingegnere, di circa 50anni, in cerca di un lavoro. Abbiamo parlato a lungo: ho dovuto spiegargli che un curriculum di 8 pagine non lo avrebbe letto nessuno». E allora? «Gli ho dato un compito - risponde sorridendo la Migliorati -. Essere più sintetico, ridurre le informazioni essenziali su un foglio. Si è un po' risentito ma ha capito».
Laureati, diplomati che bussano alla Caritas per cercare un lavoro. Una situazione un po' strana: i normali referenti, in simili occasioni, sono le società di lavoro interinale, gli uffici di collocamento, le società, le imprese o gli stessi sindacati. «Noi siamo un riferimento di ultima istanta. Si presentano persone che, in qualche modo, pensano che l'intervento autorevole della Chiesa possa essere risolutore. Spesso hanno scritto al Cardinale e, poi, vengono da noi. Molti, peraltro, arrivano dalla provincia di Milano. Neolaureati che non hanno alcuna idea del mondo del lavoro; o, al contrario, persone che dopo anni in azienda si trovano spiazzati, non sanno come muoversi». E come li aiutate? «Tentiamo di capire quali sono le loro reali competenze. Li aiutiamo a comprendere come, e dove, indirizzare le proprie rischieste di lavoro. Valutiamo se possono partecipare a corsi di formazione professionale». Un'attività non facile anche perché al Siloe, spesso e volentieri, il supporto non è solo tecnico ma anche umano, psicologico. «Quello che i database delle società interinali o di Internet non offrono».
Il lavoro, o meglio, la sua perdita è spesso la causa principale delle difficoltà finanziarie in cui le famiglie vengono a trovarsi. «Noi, anche in collegamento con la Fondazione onlus San Bernardino - spiega la Migliorati -, realizziamo molti interventi di sostegno finanziario. Nel 2008, su 249 interventi, ben 90 sono stati finalizzati ad aiutare le persone nel pagamento dell'affitto, della rata del muto o fronteggiate debiti in generale. Tutte situazioni causate da una riduzione, o scomparsa, del reddito mensile». E che la recessione colpisca le tasche degli italiani è comprovato anche da un altro semplice, e banale, dato che riguarda la Carta equa «Negli ultimi mesi - dice Nicola Malfatti, responsabile del progetto - abbiamo avuto il raddoppio delle domande: da 20 mensili a 40». Già, un aumanto considerevole. Ma cos è la Carta equa? «È una carta di credito utilizzabile nelle Coop lombarde. Chi partecipa, il benefattore, offre una percentuale su ogni propria spesa a favore del progetto. Per ogni somma data dal benefattore il supermercato offre la medesima quantità di denaro. Quest'ultimo viene, di volta in volta, versato su un conto corrente, presso la Banca Etica, intestato alla Caritas Ambrosiana. I soldi così raccolti servono ad accendere delle carte di credito anonime che vengono date a chi ne ha bisogno per fare la spesa». Quanto è stato elargito fino ad ora? «In circa 5 anni abbiamo raggiunto più di 3mila persone per una somma di circa 400mila euro».