Export a misura dei mercati emergenti
Alfredo Sessa 14 agosto 2010
La debolezza dell'euro, che dall'inizio dell'anno ha perso circa il 10% sul dollaro, ha certamente dato una mano. Ma dietro la poderosa ripartenza dell'export tedesco, che secondo le previsioni si avvia a recuperare entro la fine del 2011 i livelli pre-crisi, c'è un sistema di supporto alle imprese, e di promozione del made in Germany, che va a nozze con la forte domanda in arrivo dai paesi emergenti.
La forza della Germania sono i grandi gruppi scarsamente orientati ai beni di consumo, e specializzati invece in beni di investimento, auto, macchinari. Proprio i prodotti che in questo momento importano paesi come la Cina, il Brasile, o le "tigri" asiatiche, i motori insomma della ripresa dell'economia internazionale. Uno scenario che nell'eterna partita Italia-Germania, questa volta giocata sul campo del commercio internazionale, vede i tedeschi facili vincitori. Mentre in Germania i settori a basso contenuto tecnologico rappresentano infatti solo il 13% del totale dell'export, in Italia questa quota si avvicina pericolosamente al 30%, esponendo il nostro Paese agli attacchi della concorrenza asiatica.
Anche le missioni di sistema sui grandi mercati emergenti riflettono le profonde differenze dei sistemi produttivi dei due paesi. L'Italia le ha impostate sulla base di quanto facevano i tedeschi, ma è stata obbligata a declinarle in maniera diversa e ad adattarle a un sistema fatto di piccole e medie imprese. Il sistema Italia parte infatti per la Cina o il Brasile con non meno di 200 operatori. È difficile invece che una delegazione tedesca superi le 40-50 aziende, quasi tutte di dimensioni medio-grandi. E la grande impresa tedesca, perdipiù accompagnata spesso all'estero dal cancelliere Angela Merkel in persona, ha grande facilità di approccio politico. Una cosa è infatti accompagnare all'estero un'azienda che apre stabilimenti, come fa la Germania, un'altra accompagnare tante piccole aziende che vendono beni di consumo, il caso tipico italiano.
Dietro le quinte di una nazione così export oriented c'è un sistema di supporto con caratteristiche molto originali. In Germania le funzioni di assistenza alle imprese, le attività di di promozione e le attività di informazione sui mercati sono gestite separatamente. Il perno del sistema sono le Camere di commercio all'estero, che si occupano esclusivamente di assistenza alle imprese e non fanno promozione. Quest'ultima è affidata all'Auma, l'organo di vertice delle fiere tedesche, con una forte connotazione pubblica. Le attività promozionali sono compito dei singoli enti fiera in base alle loro specializzazioni. La fiera di Hannover, per esempio, promuove i macchinari tedeschi in vari paesi. Informazioni e ricerche di mercato sui paesi esteri, infine, sono affidate a un terzo ente. Il tutto funziona con un ampio criterio di sussidiarietà e con il ricorso a esperti di categoria, attivati di volta in volta in base alle necessità della singola azienda e alle caratteristiche del mercato di destinazione.
Il nuovo grande obiettivo delle imprese tedesche sui mercati emergenti, intanto, è l'industria ambientale. In questo campo il fatturato totale del paese, secondo il consulente d'impresa Roland Berger, raddoppierà nel 2020 a 3.100 miliardi di euro.
E non si tratta solo di vendere pannelli solari o turbine eoliche. Le società tedesche puntano soprattutto ai progetti infrastrutturali rispettosi dell'ambiente nei centri urbani. Se si guarda allo sviluppo delle grandi megalopoli asiatiche, si tratta di un business in grado di trainare l'export tedesco per molti anni. Sono almeno dieci le megalopoli, tutte capitali di paesi emergenti, che nello spazio di vent'anni vedranno i propri abitanti crescere a ritmi impressionanti, in alcuni casi raddoppiare.
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Il boom tedesco traina l'Europa
Gabriele Meoni 14 agosto 2010
Valanga, locomotiva, perfino superman. Gli analisti non hanno risparmiato le iperboli per commentare l'eccezionale performance della Germania, cresciuta tra aprile e giugno del 2,2% rispetto ai primi tre mesi (+3,7% annuo), il miglior risultato dalla riunificazione. Il "miracolo tedesco" ha lasciato di stucco gli economisti (che prevedevano un +1,3%) e avrà un effetto traino tale da far crescere il Pil nell'intero 2010 a un ritmo «ben superiore al 2%», come ha detto trionfante il ministro dell'Economia Rainer Brüderle. Il mercato è ancora più ottimista e dice 3-3,5% (nel 2009 il Pil era sceso del 4,7%).
Quella annunciata ieri da Eurostat è una buona notizia per la Germania, che ora può guardare con meno ansia al risanamento dei suoi conti pubblici, e per l'Europa, rassicurata dal ritorno a pieno titolo di Berlino nel ruolo di leader continentale. Il punto secco di crescita messo a segno dall'area euro, miglior risultato da quattro anni, è infatti per due terzi made in Germany. Grazie alla locomotiva tedesca l'Europa può così guardare dall'alto l'America, reduce da una primavera assai meno brillante (+0,6%) e archiviare con il sorriso un trimestre ricordato finora solo per la crisi greca e i sinistri presagi di collasso dell'euro.
Gli ingredienti della ripresa
La primavera tedesca è sbocciata per merito soprattutto delle imprese. Export e investimenti sono stati infatti i pilastri della crescita, trainati dalla domanda asiatica. Il sistema Germania (aziende, governo, Länder) ha puntato da tempo su quell'area, Cina in testa, e ora non fa altro che raccogliere i frutti di quel lavoro. Le ultime trimestrali delle multinazionali, da Bmw a Volkswagen, da Siemens a Infineon sono tutte all'insegna dell'ottimismo grazie ai mercati emergenti e al mini-euro, che ha accelerato la discesa sul dollaro proprio nel secondo trimestre.
Un contributo positivo al Pil tedesco è venuto anche da consumi privati e spesa pubblica, mentre non va sottovalutato il consueto (ma volatile) apporto delle scorte di magazzino, che secondo le stime di Barclays hanno pesato per circa la metà sul dato dell'intera Eurozona (il dato tedesco non è stato ancora pubblicato).
Non va poi dimenticato il lungo inverno: maltempo e gelo hanno depresso più del solito consumi ed edilizia in Germania nei primi tre mesi dell'anno. Il rimbalzo di primavera è anche figlio di questo effetto stagionale.
Europa a due velocità
Il match con Berlino fa impallidire il resto d'Europa. La Germania infatti è cresciuta oltre cinque volte l'Italia e quasi quattro volte la Francia, che pure con un +0,6% e un aumento dei consumi al di là delle attese può ritenersi soddisfatta (si veda l'articolo a fianco). Doppiata pure la Gran Bretagna. La notizia non farà piacere alla Bce, preoccupata per i crescenti divari tra le economie europee. La gara con i Pigs è addirittura imbarazzante: Spagna e Portogallo, appaiate da un modesto +0,2%, faticano a ritrovare la via della crescita, mentre la Grecia è in piena apnea (-1,5%).
Il mercato ha da tempo cavalcato la tesi dell'Europa a due velocità e anche ieri ha guardato più alle divergenze tra i paesi che al dato tedesco. Dopo un piccolo rimbalzo, l'euro è tornato a scendere e nel pomeriggio ha toccato i minimi di giornata (1,2753), mentre il rischio paese di Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia (e anche Italia) espresso dal differenziale sui titoli di stato tedeschi ha continuato a salire. La super-Germania insomma non ha impressionato gli investitori, più concentrati sui problemi dei paesi periferici.
Autunno freddo
«Superman è vestito di nero, rosso e giallo, i colori della Germania - ha detto Carsten Brzeski, economista di Ing - ma a un certo punto tornerà a essere Clark Kent. L'economia non può continuare a crescere a questi ritmi». Il meglio è alle spalle, ci aspettano mesi difficili e i tedeschi non fanno eccezione. I motivi sono almeno due: il primo è che l'economia mondiale sta rallentando e per un'Europa export-dipendente questo significa meno crescita; il secondo è che l'austerity, di cui si è tanto parlato finora, comincerà a farsi sentire su famiglie e imprese solo nei prossimi mesi. Ieri il governo tedesco ha detto che la manovra quadriennale da 81,6 miliardi di euro non si tocca. La Gran Bretagna farà sacrifici ben superiori e anche la Francia, finora paralizzata dall'allergia di Sarkozy alla parola austerità, dovrà mettere mano a un deficit dell'8 per cento. La primavera insomma è finita, in Germania e in Europa, e l'autunno si avvicina.
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E leggete questo. Guardate come pianificano questi, altro che visibilità a 6 mesi :cool:
Grandi gruppi il punto di forza dell'export
Carlo Bastasin 14 agosto 2010
Al debutto della tournée a Francoforte, Bono, il cantante degli U2, ha raccolto la prima ovazione tra i 60mila fan non con una canzone ma elogiando la tecnologia tedesca che lo aveva rimesso in piedi da un malanno. Dunque: se il successo economico e tecnologico crea entusiasmo popolare, sarà facile per Angela Merkel governare un paese che stupisce per vigoria economica? Neanche per idea. Nel secondo trimestre l'economia tedesca è cresciuta al ritmo più rapido da vent'anni: il 2,2% rispetto ai tre mesi precedenti.
Un ritmo cinese di sviluppo. E non è un caso, visto che buona parte della crescita è legata all'export e che l'aumento del commercio con la Cina (+93%) rende i paesi emergenti partner commerciali quasi equivalenti all'area dell'euro. Negli ultimi dodici mesi per esempio le vendite di auto tedesche in Cina sono aumentate del 335%, mentre calavano in buona parte dell'area euro. Gli indicatori di fiducia (Ifo e pmi) sono a un passo dai livelli massimi. Di conseguenza crescono gli investimenti anche interni e perfino i consumi delle famiglie. Proiettando i dati mensili degli ordini all'export si prevede che anche il terzo trimestre sarà migliore delle attese (almeno 0,75%) e che il 2010 si possa chiudere con un pil sopra il 3 per cento. Prima di parlare di una nuova età dell'oro bisogna ricordare che lo scorso anno il pil tedesco era sceso del 4,7%. Nondimeno, nel giro di 18 mesi, la Germania avrà digerito la peggior crisi globale dal dopoguerra.
Anche l'occupazione migliora, ma dopo accordi su aumenti salariali finora nell'ordine dell'1,5-2% si prevede che il prossimo anno i salari crescano al più del 3%. I vantaggi di costo rispetto agli altri paesi euro rimarranno invariati e la Germania in più beneficerà dei bassi tassi d'interesse e dell'euro debole compatibili con le condizioni medie dell'area. Una situazione "testa io vinco, croce tu perdi" che avvantaggerà la Germania rispetto agli altri paesi euro per diversi anni. E che invece metterà pressione sui paesi più lenti della zona euro, la cui posizione fiscale risentirà della bassa crescita e dei tassi relativamente alti.
Perché allora la cancelliera Merkel non dorme sonni tranquilli? Semplice, perché il governo di Berlino fatica ad accordarsi su riforme determinanti per le elezioni del 2040. Sul serio: proiettando le stime demografiche tedesche a quell'anno, tutti sono consapevoli che il paese avrà troppo pochi bambini e giovani lavoratori e faticherà a sostenere l'attuale livello di reddito. Sono quindi necessarie - oggi - riforme che riguardano la sanità, l'istruzione e l'immigrazione. Ma poiché la coalizione Cdu-Csu-liberali non aveva scritto un contratto di coalizione prima del voto ora si trova a litigare e a improvvisare su temi tanto cruciali per i prossimi...30 anni: lettore italiano, benvenuto su Marte.
La politica non ha d'altronde un grande merito nella risurrezione industriale tedesca se non quello di aver tenuto salda la barra. Negli ultimi 15 anni tutti i pilastri del vecchio modello sociale tedesco si sono sviluppati nel senso di un crescente decentramento. Il controllo centrale si è allentato nel sistema di contrattazione salariale, nel ruolo di rappresentanza degli interessi del capitale e del lavoro, nella governance politica del territorio e soprattutto nella relazione tra governo d'impresa e mercati finanziari. In tutti questi campi la necessità di misurarsi con la competizione globale ha sottratto spazio ai decisori politici e ai partiti.
La grande dimensione media delle imprese è stata un fattore importante. Lo stesso fenomeno dell'export è stato trainato da un gruppo limitato di grandi gruppi industriali le cui esigenze sono state accompagnate dai governi - di destra e di sinistra - come rilevanti per l'intero paese. Il risultato è stato che in vent'anni la quota di export sul pil è raddoppiata e che ora metà del pil è determinato dai commerci globali, con positivi (ma ancora parziali) effetti sull'apertura culturale del paese. Quasi tutte le riforme strutturali, soprattutto quelle del lavoro e del capitale, sono arrivate dopo che sindacati e manager con ogni metodo, anche poco raccomandabile, le avevano già attuate consensualmente all'interno di rilevanti gruppi.
Alla fine, come ha verificato il cantante degli U2, il successo dell'industria esportatrice ha creato, dopo anni di controversie, un nuovo consenso tra i cittadini. Crescita e occupazione creano entrate fiscali per il bilancio pubblico e quindi aprono nuovi margini per la redistribuzione del reddito che a sua volta chiude il cerchio rafforzando il consenso per le riforme strutturali, il dinamismo sociale e un ruolo non troppo intrusivo dello stato. L'inefficienza del decisore politico è diventata tanto più insopportabile per ampie fasce dei cittadini tedeschi. E figurarsi se poteva esserci indulgenza per i comportamenti meno che onesti dei governi di paesi come la Grecia, partner nell'euro. Questo è l'elefante nella scialuppa dell'euro, con cui gli altri governi, a cominciare da quello italiano, devono imparare a misurarsi. D'altronde l'alternativa è nuotare.
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E anche se il sistema bancario soffre, gli investitori puntano sui TdS tedeschi nonostante i rendimenti bassissimi
Gli investitori dietro le barricate: rifugio nei Bund decennali
Morya Longo 14 agosto 2010
Gli economisti di Rbs l'hanno ribattezzato «Banzai Bund». E in effetti gli investitori, da giorni, si stanno buttando in picchiata sui titoli di stato tedeschi: i Bund appunto. Non lo fanno però per colpire, come i kamikaze giapponesi nella seconda guerra mondiale. Ma anzi, lo fanno per difendersi. La loro preoccupazione è nota: alcuni paesi cosiddetti "periferici" sembrano registrare una frenata economica o nuovi problemi bancari, e questo potrebbe rendere più difficile la loro uscita dalla crisi. Morale: gli investitori cercano sicurezza in Germania. Sui Bund.
Lo dimostra il fatto che i titoli di stato tedeschi hanno ridotto i rendimenti fino a nuovi minimi storici (2,399% per i decennali). Lo conferma il fatto che tutti gli altri titoli di stato hanno aumentato il differenziale di rendimento rispetto ai Bund: i BTp sono arrivati a 151 punti base, i titoli spagnoli hanno superato i 180, quelli greci gli 800, quelli portoghesi i 280 e quelli irlandesi si sono avvicinati ai 300. Lo ribadisce infine la domanda sufficiente, ma più scarsa del solito, sulle aste di BTp.
BTp senza appeal
Che anche ieri il mercato sarebbe rimasto teso lo si è capito sin dalla mattinata proprio con le aste di BTp quinquennali e quindicennali italiani, collocati con rendimenti al 2,63% e al 4,36% (minimo da marzo 2007). È vero che, in fin dei conti, la domanda c'è stata: 1,257 volte superiore all'offerta per i quinquennali e 1,268 volte per i quindicennali. Ma, ugualmente, tanti operatori definiscono «deludente» l'asta: le richieste degli investitori sono state inferiori rispetto agli ultimi collocamenti, e dopo l'asta i BTp hanno iniziato a perdere quota sul mercato. Segnali non certo positivi.
Eppure l'Italia può essere solo un pretesto, ma le tensioni vere riguardano altri paesi. In primo luogo l'Irlanda: dopo che il Governo ha dovuto salvare nuovamente la Anglo Irish Bank, gli investitori sono tornati a temere per i conti pubblici dell'intero paese. Poi la Grecia: proprio giovedì Atene ha comunicato un calo del Pil del 3,5% annuale. Infine la Spagna, dopo la notizia che le banche hanno aumentato il ricorso ai prestiti "salvagente" della Bce. Tutto questo ha pesato sui paesi periferici. Inclusa l'Italia.
Un dubbio: la ripresa
Il motivo per cui gli investitori sono tesi – e quindi si rifugiano sui Bund tedeschi – nasce dalla congiuntura. Le stime preliminari sul Pil degli stati europei (si veda pagina a fianco) hanno infatti confermato due timori. Uno: la Germania cresce (addirittura ha registrato il balzo record del Pil), ma distanzia tutti gli altri paesi. Si profila dunque un'Europa a due velocità. Due: l'incredibile sprint della Germania è guidato dall'export (il paese è il secondo maggiore esportatore al mondo dopo la Cina), per cui potrebbe ridimensionarsi in futuro se l'euro si rafforzasse o se gli Stati Uniti finissero in recessione.
E questo è il cuore del problema. Gli Usa, ma anche la Gran Bretagna e perfino la Cina, stanno dimostrando di perdere slancio. Quindi l'intera economia globale potrebbe avviarsi verso una nuova frenata. Questo metterebbe sotto pressione i consumi, l'attività industriale, e alla fine anche i conti pubblici di tanti paesi. A partire dai più vulnerabili. Forse i prossimi dati smentiranno i pessimisti. Ma intanto, pensano in tanti, è meglio rifugiarsi sui Bund nonostante i tassi ai minimi. «Banzai».
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