Notizie macro - Crescita e globalizzazione

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(sylvestro)
00martedì 19 ottobre 2010 16:28
Un cenno agli anni trenta

dgambera
00mercoledì 20 ottobre 2010 19:05
Com'è che si diceva? Che 6 mesi dopo toccava a noi?

Tagli alle spese non agli interessi

di Martin Wolf 20 ottobre 2010


Stati Uniti e Gran Bretagna hanno altri punti in comune oltre alla lingua inglese: entrambi hanno registrato un'enorme espansione del credito alle famiglie; sono dovuti intervenire per salvare il loro settore finanziario; hanno guardato le loro banche centrali portare i tassi d'interesse fin quasi allo zero e adottare politiche di "espansione quantitativa"; e hanno sperimentato massicci incrementi del deficit pubblico a seguito della crisi. Ma ora le due sponde dell'Atlantico stanno imboccando due strade diverse. La coalizione al potere in Gran Bretagna oggi renderà noti i dettagli del piano di tagli alla spesa pubblica. Negli Usa non è in vista nulla del genere. Nelle sue ultime previsioni, l'Fmi ha sottolineato questa divergenza. Ma i mercati obbligazionari, almeno finora, non sembrano curarsene troppo.
Ci sono delle differenze visibili nell'esperienza dei due paesi nel dopo-crisi: gli Usa hanno registrato un calo del Pil più contenuto (una forbice del 4% fra massimo e minimo, contro il 6,4% della Gran Bretagna) e un incremento più marcato del tasso di disoccupazione (5 punti percentuali in più tra il 2007 e il 2010, contro il 2,5% della Gran Bretagna).

L'inflazione di fondo Usa è scesa più che in Gran Bretagna (0,8% da settembre 2009 a settembre 2010, contro il 2,9% di Londra), principalmente a causa dell'impatto della svalutazione britannica. Le due sponde dell'Atlantico sono però accomunate dal processo, lungo e sfibrante per l'economia, di deleveraging da dopo-bolla e risanamento dei conti pubblici. Sia l'economia britannica che quella americana stanno funzionando molto al di sotto della loro capacità produttiva. Entrambe devono scegliere tra i rischi per la ripresa sul breve termine provocati dal risanamento dei conti pubblici e i rischi per la credibilità creditizia sul lungo termine provocati dagli enormi disavanzi di bilancio. Sia Washington che Londra fanno affidamento sulla politica monetaria, ma Londra molto di più, considerando i tagli alla spesa che si profilano.
Ma allora perché c'è stata questa divergenza? Che impatto potrebbe avere? Fino a che punto le misure di espansione quantitativa potranno compensarne l'impatto? E infine, che insegnamenti possiamo trarre dal ruolo giocato rispettivamente dalla politica monetaria e dalla politica di spesa?

La risposta alla prima domanda è che la classe dirigente britannica è rimasta scioccata dalla crisi dei bilanci pubblici nella zona euro. Io sono del parere che la cura dimagrante messa in cantiere nel Regno Unito sia eccessiva. Ma anche l'incapacità americana di elaborare un piano di rientro credibile per il buco dei conti pubblici sul lungo termine è grossolanamente irresponsabile.
Sul probabile impatto dei tagli alla spesa, il World Economic Outlook dell'Fmi offre un'analisi eccellente. Ecco le conclusioni principali di questa analisi.

Primo: una riduzione della spesa pubblica dell'1% del Pil tende a ridurre la domanda interna reale di un punto percentuale e il Pil di mezzo punto percentuale nell'arco di due anni. In questo caso, il piano di tagli predisposto dal governo di Londra farebbe calare complessivamente la domanda reale, lasciando invariati gli altri fattori, dell'8%, e il Pil del 4 per cento.
Secondo: di solito una riduzione del tasso d'interesse consente di ammortizzare questi effetti. Oggi questo è impossibile e significa che i tagli alla spesa saranno più costosi.
Terzo: di solito un calo del tasso di cambio reale consente di ammortizzare questi effetti. È un fattore rilevante per il Regno Unito, che dall'inizio della crisi ha subito una svalutazione della sterlina del 18 per cento.
Quarto: le contrazioni del bilancio fondate su tagli alla spesa pubblica hanno effetti più espansivi rispetto ai risanamenti trainati da aumenti delle tasse. Ma la ragione sta in parte nel fatto che le Banche centrali apparentemente reagiscono in modo più aggressivo.
Quinto: una riduzione del debito, lasciando invariati gli altri fattori, produce effetti benefici sul lungo periodo, perché fa calare i tassi d'interesse. Che la cosa possa avere qualche rilevanza ora che i tassi d'interesse sono bassissimi (vicini allo zero) è discutibile.

La conclusione è che il piano di austerity del governo britannico probabilmente produrrà un effetto contrattivo sull'economia pari all'1-2% del Pil ogni anno. Le misure di espansione quantitativa basteranno a compensare questi effetti negativi? Verosimilmente no.
L'impatto evidente dei programmi di acquisto titoli delle banche centrali è sui tassi d'interesse a lungo termine. Ma questi tassi sono già bassi per i grandi debitori "affidabili" (che comunque in molti casi hanno fondi in abbondanza). E le banche continuano a essere reticenti a espandere il credito. I tassi d'interesse bassi aiutano il processo di deleveraging, ma non è affatto detto che altre misure di espansione quantitativa possono migliorare significativamente la situazione. Lo stesso vale forse per gli Usa, anche se l'importante discorso tenuto la scorsa settimana da Ben Bernanke, il presidente della Fed, è un segnale chiaro che sono in vista altre misure di espansione quantitativa. Ma a Washington sarà molto meno significativo l'effetto depressivo dei conti pubblici, e di conseguenza una seconda tornata di espansione quantitativa dovrebbe risultare più efficace, perché l'economia americana ha bisogno di meno supporto.
Il grande argomento in favore del piano di austerity del governo britannico è che l'alternativa potrebbe essere, per usare le parole del ministro del Tesoro George Osborne, la "bancarotta". Perché un paese il cui debito pubblico, ora e nel prossimo futuro, resta al di sotto della media degli ultimi due secoli sarebbe tanto in pericolo non è affatto chiaro. Quello che è certo è che il Regno Unito si è lanciato un esperimento politico importante. Il confronto con gli Usa sarà istruttivo. Non sapremo mai se il disastro era davvero imminente. Ma gli inglesi potranno capire molte cose; e anche il resto del mondo.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© FINANCIAL TIMES

©RIPRODUZIONE RISERVATA



Tagli senza precedenti al budget dei ministeri inglesi. Stretta del 20% sul welfare, escluse scuola e sanità

dal nostro corrispondente Leonardo Maisano 20 ottobre 2010


LONDRA - Una correzione dei conti pubblici radicale, senza precedenti nella storia recente del Regno Unito e di qualsiasi altro paese dell'Unione. Londra affonda il bisturi nella piaga di una disavanzo che supera l'11% del pil e lo fa – con la spending review, ripensamento della spesa pubblica per il prossimo quadriennio - calando la scure sul welfare system, quel meccanismo di tutela pubblica che essa stessa reinventò nella forma attuale.

L'aggiustamento impone tagli di 81 miliardi di sterline in quattro anni per riportare i conti in sostanziale pareggio entro la fine della legislatura. Il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, ha avuto un "pensiero" per tutti, pronunciando ai Comuni un rosario di misure che colpiranno tutti i ministeri. Due sole le eccezioni: scuola e sanità. Entrambi vedranno aumentare gli stanziamenti dell'esecutivo in termini reali. Per tutti gli altri la cintura si stringe, mediamente, del 19% che significa la perdita di 490mila posti di lavoro entro il 2015. Tutti posti pubblici, una cifra quindi che non considera le eventuali ripercussioni sull'occupazione che i ridotti budget dei ministeri potranno avere sul lavoro privato. Ma se il 19% è la media, a molti è andata peggio.

George Osborne è stato prima di tutto severo con sè stesso imponendo al Tesoro un taglio di un terzo del bilancio. Il ministero degli esteri arriverà al 2015 con un budget abbattuto del 24%, quello degli interni altrettanto; industria e autonomie locali di quasi il 30 per cento. Ma il grosso arriverà dal welfare, ovvero dal totale di quelle misure di sostegno sociale (dalle indennità di disoccupazione, agli assegni per la casa, a quelli famigliari) che saranno ridotte di 18 miliardi di sterline in totale. Agli 11 già previsti se ne sono aggiunti altri 7 annunciati oggi. Numeri che confermano la parte del leone che toccherà al welfare sul totale dei risparmi. Resta indefinito, invece, il contributo che garantirà la nuova tassa sulle banche che Osborne ha confermato sarà permanente (dopo l'una tantum dello scorso anno).I dettagli saranno resi noti nei prossimi giorni. Una sorpresa, quest'ultima che il Cancelliere ha aggiunto alla conferma dell'innalzamento dell'età pensionabile a 66 per uomini e donne entro il 2020, ovvero sei anni prima di quanto orevisto.

Quella descritta, secondo George Osborne, è l'unica via possibile per risanare e rilanciare il paese: tagli duri in una logica di riforma globale della spesa pubblica e agevolazioni alle imprese sotto forma di tassazione ridotta (introdotta nella Finanziaria d'emergenza del giugno scorso) e nuovi investimenti. «Trenta miliardi di sterline – ha precisato il Cancelliere – saranno messi a disposizione entro il 2015 per il rilancio delle infrastrutture del Regno». L'austerità, infine, sfiora anche Buckingham Palace con una sforbiciata del 14% al budget per il mantenimento delle residenze reali.

©RIPRODUZIONE RISERVATA



Cameron taglia il budget per la difesa, ma resta il quarto al mondo

di Leonardo Maisano 19 ottobre 2010


Un taglio dell 8% al bilancio della Difesa; portaerei in liquidazione e portaerei in costruzione, ma senza più aerei; rinnovo degli armamenti nucleari rinviati a data da destinarsi per garantire la certezza di altri capitoli di spesa a cominciare dall'Afghanistan.

Una telefonata fra David Cameron e Barack Obama ha sciolto le ultime ansie di Washington e confermato che Londra non toglierà un centesimo dal budget per la guerra in Asia centrale, tema che aveva spinto gli Usa ad un pressing deciso su Downing street in vista della Defence review, ovvero la rivisitazione globale delle priorità strategiche del Regno Unito. Appuntamento che arriva ogni dodici anni – d'ora in avanti la cadenza sarà però quinquennale – e che da mesi impegna il ministero della Difesa, il Tesoro, il Foreign office e l'ufficio del premier.

David Cameron ha oggi sciolto gli indugi rassicurando gli alleati che il budget inglese per la difesa sarà tagliato per le ovvie esigenze di riassetto dei conti pubblici, ma non scenderà al di sotto del 2% come richiesto dalla Nato anche se per arrivare a tanto dovranno considerare anche gli stanziamenti, ora non calcolati, per l'Afghanistan. Nonostante tutto ciò, ha dichiarato Cameron ai Comuni, "abbiamo ancora il quarto bilancio per la difesa al mondo". Londra potrà quindi continuare a misurarsi alla pari con i giganti del pianeta, dagli Usa alla Cina, alla Russia.

Gli sforzi però non mancano. Saranno rimpatriati in Inghilterra i soldati di stanza in Germania, saranno tagliati settemila fanti, cinquemila marinai e cinquemila aviatori, saranno eliminati 25mila posti di lavoro fra i civili dipendenti del ministero della Difesa. Ma è sui mezzi che avverrà la rivoluzione più consistente. Proseguiranno i lavori per la costruzione di due nuove portaerei, Queen Elizabeth e Prince Charles, 65mila tonnellate di stazza, per sei miliardi di sterline. Sarà invece smantellata subito Ark Royal che portava aerei Harrier eliminati del tutto per sostenere, in un ripensamento globale dell'aviazione militare, i Tornado e il Typhoon Eurofighter. Il risultato di queste operazioni è che la Gran Bretagna avrà due portaerei ma sarà in grado di armarle con i caccia solo dal 2019. Fino ad allora, comunque, avranno la possibilità di portare elicotteri. Colpo di penna anche su 4 fregate.

Marina a parte, il taglio più consistente colpisce l'aviazione che, come detto, dirà addio agli Harrier e li vedrà rimpiazzati, in futuro, con i Joint strike fighters . L'esercito sarà alleggerito di centinaia di tanks e, di settemila uomini anche se il bilancio per l'Afghanistan non sarà sfiorato

Slitta, invece, e con gran soddisfazione dei Liberaldemocratici l'ammodernamento dei sommergibili nucleari Trident. Rinvio di 4-5 anni che produrrà un risparmio di 1,2 milairdi di sterline. "Una decisione – ha commentato il ministro della difesa Liam Fox - che non indebolisce la nostra capacità di mantenere un deterrente nucleare cedibile".

©RIPRODUZIONE RISERVATA

dgambera
00venerdì 22 ottobre 2010 12:22
L'indice Ifo vola ai massimi da marzo 2007. Sinn: il motore della crescita «corre senza intoppi»

22 ottobre 2010




L'indice Ifo di ottobre, che misura la fiducia delle imprese tedesche, segna ancora un progresso a sorpresa, portandosi da 106,8 a a 107,6 - nettamente superiore alle stime che prevedevano un declino a 106,5 - al livello massimo da marzo 2007.

Il sottoindice delle attese per i sei mesi a venire é salito a sua volta a 105,1 contro 103,9 in settembre e una stima in declino a 102,9, mentre l'Ifo della situazione corrente é balzato a 110,2, contro 109,7 del precedente e 110,0 delle attese di consensus.

«Il motore della crescita economica sta correndo senza intoppi» ha affermato il presidente dell'istituto, Hans-Werner Sinn.

La fiducia delle compagnie si é alzata ed é aumentato anche il numero delle società che hanno intenzione di assumere personale addizionale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA



Bene, aumentano le opportunità di uscire da questo letamaio.

Guardate il primo grafico qui sotto: non sembra che il nostro indice azionario segua quello della Spagna?

La Germania corre: il grafico DAX pure

Scritto il 22 ottobre 2010 alle 12:00 da Dream Theater

Grafico DAX e confronto con le borse UE

Gli ultimi dati macro parlano molto chiaro. La Germania è diventata il “paese emergente” dell’UE. Chiaramente in modo metaforico, in quanto la Germania non è un paese emergente.
Però la sua crescita economica è decisamente superiore a quella del resto dell’Unione Europea. Un PIL al +3.4%, il che contribuisce anche ad un ulteriore rafforzamento dell’Euro, anche se solo momentaneo. Infatti la negatività dei mercati di oggi, porta (ma guarda un po’…) ad un rafforzamento del Dollaro USA. Cose che conosciamo molto bene qui in I&M.
E se la Germania corre più degli altri, il DAX non è certo da meno.
Guardate questo grafico, direi che è chiarissimo. Una perfetta correlazione tra la solidità dei paesi e l’andamento delle borse. Al top la Germania, il floor è ovviamente la Grecia.

Grafico Borse UE



Il DAX quindi resta il benchmark di riferimento per l’Europa. E il grafico del DAX è veramente interessante. E va ad allinearsi perfettamente con la logica del mercato (o se preferite, con la mia chiave di lettura).

Grafico DAX



Ipotesi testa spalle rovesciato , neckline in area 50% di Fibonacci , e target al 100% in area 6730. E ci può stare tutto. L’RSI è tirato, ma non significa nulla, al momento. Certo è che a quel livello un po’ di fiato lo dovrà tirare.
Avremo modo di aggiornarci di nuovo, spero.

STAY TUNED!

DT
dgambera
00lunedì 25 ottobre 2010 13:01
Austria: ok al Piano di austerità, in arrivo entrate supplementari per 1,17 mld di euro

Finanzaonline.com - 25.10.10/12:44

I partiti che sostengono il governo di coalizione austriaco hanno trovato l´accordo sul piano di austerità che nelle intenzioni dovrebbe produrre entrate supplementari per 1,17 mld di euro e risparmi di spesa per 1,6 mld di euro. I provvedimenti sono destinati a portare il deficit di bilancio al 3,2% del Pil entro la fine del 2011, dal 4,7% di quest´anno. Il deficit/Pil dovrebbe scendere sotto la soglia del 3% nel 2012, attestandosi al 2,9%.
grecale111
00mercoledì 27 ottobre 2010 17:43
niente di nuovo ..... a parte il petrolio
grecale111
00giovedì 28 ottobre 2010 12:09
sentiamo che ci diranno oggi Tricheo e compare
laplace77
00venerdì 29 ottobre 2010 13:04
e' come con la risalita della borsa...

...che le banche stanno aggiustando i bilanci tradando a bestia...

...tradando azioni, tds, valute, oro, commodities...


12:00 - Ocse: Padoan, eccessiva liquidita' dietro la guerra delle valute

Non e' spostamento di equilibri ma dei punti di pressione

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Venezia, 29 ott - La guerra
delle valute non e' stata scatenata dagli Stati Uniti ma
dall'eccesso di liquidita'. Lo sostiene Pier Carlo Padoan,
Vice-segretario generale e capo analista Ocse, secondo cui
la battaglia vista nelle ultime settimane "essendo una
guerra delle valute, non e' un momento di cooperazione ma di
conflitto: solo la conseguenza di una serie di misure
unilaterali che hanno il difetto di essere di breve
termine". Per questo, auspica Padoan, "bisogna recuperare
una dimensione cooperativa: un accordo in cui ci siano anche
aspetti relativi all'aggiustamento dei tassi di cambio, ma
non sono solo quelle le misure da prendere". Il 'casus
belli' di questa guerra non e' tanto gli Usa ma, secondo
Padoan "e' l'enorme quantita' di liquidita' che e' stata messa
nel sistema dalle economie piu' avanzate, non solo dagli
Stati Uniti, per fronteggiare la crisi e che ora sta
cercando rendimenti"
. Bisogna considerare che oggi i
rendimenti sono a zero nei Paesi avanzati, mentre sono molto
piu' elevati nei Paesi emergenti dove la crescita e' piu'
sostenuta. "Quindi i soldi vanno dove c'e' piu' profitto e
questo - secondo Padoan - determina un apprezzamento delle
valute di questi Paesi". L'economia pero' avverte che quello
che il mercato sta sperimentando "non e' la ricerca di un
punto di equilibrio ma e' solo uno spostamento dei punti di
pressione: non possiamo pensare che questo sia un quadro
definitivo, non e' sostenibile".


okkio, quindi, che quando i buoi cercano rendimenti trovano cerini...

[SM=g1750163]
(sylvestro)
00venerdì 29 ottobre 2010 13:25
Re: e' come con la risalita della borsa...
laplace77, 29/10/2010 13.04:


...
okkio, quindi, che quando i buoi cercano rendimenti trovano cerini...

[SM=g1750163]



[SM=g1750483]

grella
00sabato 30 ottobre 2010 23:51
Aia (gruppo Aig) debutta a Hong Kong con un balzo del 17%


A da passà lu cerino........... [SM=g6942]

HONG KONG, 29 ottobre (Reuters) - Aia (1299.HK: Quotazione) ha guadagnato il 17% al suo debutto a Hong Kong. Gli investitori sono alla ricerca di un'esposizione sul promettente mercato assicurativo vita asiatico.

La quotazione, con il suo andamento migliore delle attese, rappresenta un sollievo per la controllante Aig che per due anni ha tentato invano di vendere la società asiatica anche attraverso un'offerta fallita da parte della britannica Prudential .Il forte avvio ha spinto il valore di mercato di Aia sopra i 35,5 miliardi di dollari, cifra superiore a quella offerta da Prudential in marzo.

I titoli Aia hanno toccato un massimo a 23 dollari di Hong Kong, per poi chiudere a 22 dollari, rispetto ai 19,68 del prezzo dell'Ipo.
borsaitaliana.it.reuters.com





FraMI
00venerdì 26 novembre 2010 14:49
Facili Vaticini
Benettazzo? Quante ne dice...

disinformazione.it/destino_manifesto.htm

Destino manifesto
Dottor Eugenio Benetazzo - 26/11/2010


Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna ormai stanno diventando il leitmotiv delle riflessioni delle comunità finanziarie internazionali, come se l'unica preoccupazione su cui ci dovremmo soffermare fosse la tenuta nel breve dei conti pubblici di questi paesi. Il cosa scegliere ed il dove posizionarsi a livello di investimento è stato da me ampiamente trattato in svariate occasioni e contesti mediatici, tuttavia l'interrogativo principe cui ci dovremmo porre in questo momento non è se il tal titolo di stato è a rischio default, ma piuttosto quale non lo sarà. Cercherò di trasmettervi questo mio pensiero nel modo più comprensibile possibile...
grella
00martedì 28 dicembre 2010 15:53
Le cipolle fanno piangere gli indiani................

In India forte aumento del prezzo delle cipolle. Allarme del governo

In India l’aumento stratosferico del prezzo delle cipolle, componente fondamentale dell’ alimentazione delle fasce più povere della popolazione, tanto da aver determinato nel passato delle vere e proprie svolte politiche nel Paese, ha creato allarme nel governo del premier, Manmohan Singh, che ha ordinato un immediato stop delle esportazioni e accuratissimi controlli nei prezzi di mercato. Lo riferisce oggi la stampa a New Delhi. Il fatto è che il prezzo al chilogrammo delle cipolle è passato dalle 11 rupie (18 centesimi di euro) di giugno, alle attuali 80 (1,32 euro) nel mercato della capitale.
www.gliitaliani.it


laplace77
00mercoledì 29 dicembre 2010 11:59
Re: Le cipolle fanno piangere gli indiani................
grella, 28/12/2010 15.53:


In India forte aumento del prezzo delle cipolle. Allarme del governo

In India l’aumento stratosferico del prezzo delle cipolle, componente fondamentale dell’ alimentazione delle fasce più povere della popolazione, tanto da aver determinato nel passato delle vere e proprie svolte politiche nel Paese, ha creato allarme nel governo del premier, Manmohan Singh, che ha ordinato un immediato stop delle esportazioni e accuratissimi controlli nei prezzi di mercato. Lo riferisce oggi la stampa a New Delhi. Il fatto è che il prezzo al chilogrammo delle cipolle è passato dalle 11 rupie (18 centesimi di euro) di giugno, alle attuali 80 (1,32 euro) nel mercato della capitale.
www.gliitaliani.it





se magnassero i cornetti...

[SM=g9128]

dgambera
00mercoledì 29 dicembre 2010 12:11
Re: Re: Le cipolle fanno piangere gli indiani................
laplace77, 12/29/2010 11:59 AM:



se magnassero i cornetti...

[SM=g9128]





Statte zitto che ho cominciato a piantà cipolle: le faccio zappare ai mutuatari&disoccupati nostrani per una ciotola di pasta (li faccio lavorare nei bunker).

Speriamo che non aumentino i dazi per le importazioni in India [SM=g7574]
(sylvestro)
00lunedì 10 gennaio 2011 11:21
Il Baltic Dry Index galoppa verso nuovi minimi assoluti


grella
00lunedì 10 gennaio 2011 22:27
Re:
(sylvestro), 10/01/2011 11.21:

Il Baltic Dry Index galoppa verso nuovi minimi assoluti






Baltic Dry Index


Il Baltic Dry Index (BDI) è un indice dell'andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi dry bulk cargo. Malgrado il nome indichi diversamente, esso raccoglie i dati delle principali rotte mondiali e non è ristretto a quelle del Mar Baltico.

Esso raccoglie le informazioni relative alle navi cargo che trasportano materiale "dry", quindi non liquido (petrolio, materiali chimici,ecc) e "bulk", cioè sfuso. Riferendosi al trasporto delle materie prime o derrate agricole (carbone, ferro, grano, ecc) costituisce anche un indicatore del livello della domanda e dell'offerta di tali merci. Per queste sue caratteristiche viene monitorato per individuare i segnali di tendenza della congiuntura economica.
L'indice BDI è espresso in dollari Usa; pertanto il suo andamento può essere influenzato dell'andamento del cambio della valuta statunitense.

Utilizzando la piattaforma Bloomberg, è possibile vedere anche la velocità media di questi cargo che trasportano merci, i quali non solo costano sempre meno (causa diminuzione di domanda) ma vanno anche sempre più piano. Quindi, tenendo conto che la maggior parte delle transazioni commerciali sono fatte da/per la Cina, e tenendo conto del fatto che sono proprio le importazioni USA verso la Cina ad essere crollate, e visto che si trasportano sempre meno merci verso la più rampante economia del globo, possiamo solo dedurre che:

a) La Cina rallenta e col tempo cercherà sempre più di aumentare i consumi interni limitando le importazioni
b) Gli USA subiranno una frenata a causa della frenata dello sbocco commerciale verso la Cina. E visto che Mr Smith oggi consuma meno e addirittura risparmia, non credo sia una gra notizia per l’economia USA.

tuotrading.blogspot.com

Commenti? [SM=g7560]






(sylvestro)
00lunedì 10 gennaio 2011 22:42
Re: Re:
grella, 10/01/2011 22.27:


...
Commenti? [SM=g7560]
...



Io ho aperto il piatto, tocca agli altri rilanciare [SM=g6942] [SM=g1750865]

(bel contributo [SM=g6957])
grecale111
00martedì 11 gennaio 2011 11:21
Re: Re:
grella, 10/01/2011 22.27:



Baltic Dry Index

.........

Commenti? [SM=g7560]




Baltic Dry.

Credevo fosse il nome di un Drink; di un aperitivo, appunto!

Mo arrivano i piatti forti [SM=g1806253] Cameriere ...... !!!

(che dite, traduco il mio avatar in cinese? [SM=g1750147] )
(Any)
00venerdì 14 gennaio 2011 18:58
Re: Re: Re:
(sylvestro), 10/01/2011 22.42:



Io ho aperto il piatto, tocca agli altri rilanciare [SM=g6942] [SM=g1750865]

(bel contributo [SM=g6957])




Ho seguito la questione su Rischio Calcolato..
In pratica le navi per ora viaggiano a velocità molto bassa cosi che sono ormai diventate dei magazzini ambulanti...


In parte a causa della crisi, in parte a causa dei disastri che stanno colpendo Australia, India, brasile...e della diminuzone di materie prime come il grano...

Credo che a breve ci saranno ulteriori aumenti...può essere?
grella
00venerdì 14 gennaio 2011 21:43
Re: Re: Re: Re:
(Any), 14/01/2011 18.58:




Ho seguito la questione su Rischio Calcolato..
In pratica le navi per ora viaggiano a velocità molto bassa cosi che sono ormai diventate dei magazzini ambulanti...


In parte a causa della crisi, in parte a causa dei disastri che stanno colpendo Australia, India, brasile...e della diminuzone di materie prime come il grano...

Credo che a breve ci saranno ulteriori aumenti...può essere?



MMMMhhhhhhh ....... [SM=g1749704]

freeforumzone.leonardo.it

Quando incomincia a quadrarmi la situazione ........

Ricordo che nella Storia magazzini pieni e recessione imminente è sempre stata un'equazione inconfutabile.............è anche vero che non è mai stata rodata in un contesto globalizzato...... [SM=g7752]

(sylvestro)
00domenica 16 gennaio 2011 09:47
Re: Re: Re:
grecale111, 11/01/2011 11.21:



Baltic Dry.

Credevo fosse il nome di un Drink; di un aperitivo, appunto!

Mo arrivano i piatti forti [SM=g1806253] Cameriere ...... !!!

(che dite, traduco il mio avatar in cinese? [SM=g1750147] )




Di questi tempi [SM=g1750163] , mi sembra piu' che opportuno [SM=g7576]
(sylvestro)
00domenica 16 gennaio 2011 10:08
Re: Re: Re: Re: Re:
grella, 14/01/2011 21.43:



...è anche vero che non è mai stata rodata in un contesto globalizzato...... [SM=g7752]





[SM=g6957] [SM=g1749711] [SM=g1750152]

Per (tentare di) rispondere ad Any: non e' facile fare previsioni.

Oltre ad essere "terra incognita" per usare una espressione cara a Tremonti per via della prima volta in contesto globalizzato (come giustamente osservato da grella) c'e' anche da tener conto delle diverse forze in gioco e della difficile predittibilita' della loro velocita' di evoluzione ( [SM=j7568] [SM=g1749704] )

Mi spiego; analizziamo alcuni dei fattori.
- Petrolio: arrivera' prima l'eccesso di produzione (e magari la revisione dei parametri Opec di estrazione), l'accaparramento cinese, il peak oil, la scoperta o l'apertura di nuovi giacimenti, la speculazione finanziaria d'alto livello o il crollo per la doppiaW recessiva?

- L'acciaio: stiamo ipoproducendo o iperproducendo? E se stiamo ipoproducendo cosa vieta agli ormai pochi operatori del settore di alzare i prezzi per compensare la minore vendita? E dove ci sarebbe ancora bisogno di tutto questo acciaio?

- Le materie prime alimentari: come sopra.

L'altro ieri su Class CNBC un commentatore economico sosteneva che la Cina e' conscia che non puo' procedere sulla strada della sola industrializzazione galoppante ma dovra' necessariamente sviluppare una terziarizzazione del proprio sistema economico altrimenti incorrera' presto in forti ed ingovernabili squilibri socio-politici.

Ci riuscira'? in quanti anni? fino a che punto?

Cio' premesso, a me risulta evidente che le classi medio-basse occidentali continueranno, purtroppo, nel loro secolare trend discendente di tenore di vita, potere d'acquisto e welfare.

I prezzi aumenteranno? Secondo me no o di poco in termini reali soprattutto i generi di prima necessita', la tassazione e le tariffe monopolistiche. Il resto, grazie anche all'effetto di deleveraging mondiale, subira' ancora forti pressioni al ribasso.

IMHO
laplace77
00lunedì 17 gennaio 2011 18:39
era tutto previsto, era tutto programmato...

...tutto pianificato, altro che economia di mercato...

...aridateme Jimmy Carter (minuto 2:30 del primo video), la decrescita felice, l'avere o essere...





decrescita, questa sconosciuta, che tutti vogliono aumentare il PIL:



(alla fine c'e' un discorso di kennedy, che anticipo' carter, e infatti fecero fuori il primo e trombarono il secondo)

[SM=g7574]
laplace77
00sabato 29 gennaio 2011 11:01
Italia indietro tutta...

...a ritmo di bunga bunga...

fonte: repubblica


IL FORUM

Davos, processo all'Italia
"Marginale e in declino"


Esplicito il timore che il Paese possa diventare la palla al piede dell'Eurozona: "Paralizzata da Berlusconi"
dall'inviato FEDERICO RAMPINI


DAVOS - Gli altri leader europei vengono qui per "dare la linea" al World Economic Forum. In 48 ore si succedono a Davos Nicolas Sarkozy, David Cameron, Angela Merkel: espongono una visione dell'Europa, le loro ricette per la ripresa, le strategie verso l'America e i paesi emergenti. All'Italia tocca un ruolo diverso a Davos: quello dell'imputata. Il campionario di dirigenti mondiali che si riunisce in questo summit - statisti, grandi imprenditori, opinion leader - riserva al nostro paese una sessione a porte chiuse. Intitolata "Italia, un caso speciale". La riunione viene presentata così dagli organizzatori nel documento introduttivo: "Malgrado la sua storia, il suo patrimonio culturale, la forza di alcuni settori della sua economia, il paese ha difficoltà di governance e un'influenza sproporzionatamente piccola sulla scena globale. Le sue prospettive economiche e sociali appaiono negative".

A istruire il processo, l'establishment di Davos delega alcuni esperti e opinionisti autorevoli. Di fronte a loro, sul versante italiano, un parterre di imprenditori e banchieri. Nessun rappresentante di governo è all'appello: il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, pur presente a Davos, fissa una conferenza stampa altrove, nello stesso orario. Tocca a Michael Elliott, direttore del magazine Time, aprire il fuoco: "Contate molto meno di quel che dovreste nell'economia internazionale, i problemi del vostro governo vi precludono di svolgere il ruolo che vi spetta". Segue l'economista
Nouriel Roubini, una star di Davos da quando nel 2007 fu l'unico a prevedere con precisione la crisi mondiale: "Di solito parlo solo di economia ma nel vostro caso il problema del governo è diventato grave, è una vera distrazione che v'impedisce di fare quello che dovreste. Siete di fronte ad accuse di una vera e propria prostituzione di Stato, orge con minorenni, ostruzione alla giustizia. Avete un serio problema di leadership che blocca le riforme necessarie". Roubini dà atto sia a Tremonti che a Mario Draghi di avere limitato i danni sul fronte della finanza pubblica e del sistema bancario. "Ma un contagio della sfiducia dei mercati è ancora possibile - aggiunge - perché il divario è enorme tra le riforme strutturali di cui avete bisogno, e ciò che è stato fatto".

Un altro economista, Daniel Gros che dirige a Bruxelles il Centre for European Policy Studies, invita a non illudersi sul fatto che l'Italia possa a lungo sottrarsi al destino di Grecia, Portogallo, Irlanda: "La vostra situazione è preoccupante. Siete il paese più direttamente in competizione con la Cina, per la tipologia dei prodotti. Da dieci anni si sa quali riforme andrebbero fatte. Di questo passo l'Italia potrebbe diventare il prossimo grosso problema dell'eurozona". Josef Joffe, editore e direttore del giornale tedesco Die Zeit: "Da dieci anni crescete meno della media europea, questo è il problema numero uno". Segue Matthew Bishop, capo della redazione americana del settimanale The Economist, che nel 1997 fu l'autore di un rapporto sui nostri "esami d'ingresso" nella moneta unica: "Da allora - dice - il paese è rimasto troppo immobile. Le tendenze dell'economia globale rischiano di trasformarvi nell'anello debole dell'Unione europea. Se l'Italia non usa i prossimi cinque anni per un reale cambiamento, vi ritroverete dalla parte perdente dell'eurozona". Quindi Bishop lancia la palla nel campo degli italiani: "I gravi reati di cui Silvio Berlusconi è accusato sono ben noti. Ma a voi sta bene lo stesso? E' questo il governo che volete?"

La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia nel replicare sottolinea quanto la forza del tessuto produttivo resti notevole: "Siamo il secondo esportatore europeo dietro la Germania, il quinto nel mondo, con punte di eccellenza non solo nei settori tradizionali ma nella meccanica, nella robotica, nei macchinari elettronici". Anche lei però descrive un'Italia "introversa, ripiegata su se stessa, distratta rispetto a quel che accade nel resto del mondo, soprattutto per colpa dei suoi politici". E conferma che "il mondo di Davos, quello delle nuove potenze come l'India e l'Indonesia, è ignoto ai nostri politici, perciò siamo assenti dai tavoli dove si decide il futuro". Corrado Passera di Banca Intesa elenca gli handicap: "Scuola, infrastrutture, giustizia, burocrazia, bassa mobilità sociale, poca meritocrazia". Voci ancora più critiche si levano tra i nostri top manager che hanno scelto una carriera all'estero. A loro il pianeta-Davos è familiare, nei nuovi scenari della competizione globale si muovono con sicurezza. Ma sono qui per conto di multinazionali straniere.

(29 gennaio 2011)


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labottegadelfuturo
00sabato 29 gennaio 2011 11:24
Re: era tutto previsto, era tutto programmato...
laplace77, 17/01/2011 18.39:


...tutto pianificato, altro che economia di mercato...

...aridateme Jimmy Carter (minuto 2:30 del primo video), la decrescita felice, l'avere o essere...




[SM=g7574]



Lo sapevo che non dovevo guardarlo... [SM=g1752723]


laplace77
00sabato 29 gennaio 2011 12:22
Re: Re: era tutto previsto, era tutto programmato...
labottegadelfuturo, 29/01/2011 11.24:



Lo sapevo che non dovevo guardarlo... [SM=g1752723]






[SM=g9202] [SM=g9202] [SM=g9202]

fabio_c
00sabato 29 gennaio 2011 18:39
Lo stato dell'Unione
(sylvestro)
00domenica 30 gennaio 2011 15:00
laplace77
00lunedì 31 gennaio 2011 09:36
nulla si crea e nulla si distrugge...

...che i soldi che ora "mancano" in tasca a qualcuno sono finiti...

fonte: il fatto quotidiano

Boom dei marchi di lusso. Nonostante la crisi

Torna a crescere il mercato delle grandi griffe, mentre per l'Eurispes una famiglia su tre fatica ad arrivare a fine mese. Gli utili di Prada, Tod's, Bulgari salgono soprattutto grazie alle vendite in Asia

È di nuovo festa, festa grande, tra i grandi marchi del lusso. Gioielli, orologi, pelletteria, auto sportive: le aziende annunciano ricavi in crescita a doppia cifra e profitti in forte ripresa. E’ il caso di Bulgari e Tod’s, per citare le ultime due società del settore che hanno comunicato i dati del bilancio 2010. Numeri positivi, accompagnati, ormai sono mesi, da rialzi continui in Borsa. Insomma, il lusso va forte. Con buona pace della crisi. E di un contesto generale che vede l’economia ferma, o quasi, i consumi in calo e sempre più famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese: addirittura una su tre, racconta il rapporto dell’istituto di ricerca Eurispes presentato venerdì.

Insomma, la recessione non c’è più, perchè, dicono le statistiche, in buona parte dell’Europa il Pil ha ripreso a crescere, seppure di pochissimo. Tutto questo, però, non basta a rilanciare i consumi. C’è poco da fare: le famiglie hanno pochi soldi da spendere. E allora l’industria frena. I beni di lusso, invece, vanno controcorrente. La crescita c’è, eccome. Possibile? Sì, possibile, per almeno due buone ragioni, spiegano gli esperti.

La prima è che nei Paesi occidentali la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre di più. I ceti benestanti hanno consolidato la loro posizione nei confronti delle famiglie meno abbienti. Il divario si è allargato per effetto della crisi e i consumatori con il reddito più elevato sono riusciti a salvaguardare, quando non ad aumentare la loro capacità di spesa. Questo però non basta, da solo, a spiegare la gran ripresa del lusso. Le aziende, in realtà, hanno ripreso a correre al traino di un motore globale. Un motore che si chiama Cina. Da quelle parti la classe agiata negli ultimi anni ha visto moltiplicarsi il proprio potere d’acquisto. E i grandi marchi occidentali sono visti, ancora più che da noi, come status symbol da inseguire costi quel che costi. Non è un caso allora se le ultime ricerche segnalano che la crescita del settore luxury in Cina nel 2010 ha sfiorato il 20 per cento contro il 4 per cento stimato in Europa e il 7 per cento delle Americhe.

La conferma a queste previsioni arriva dai dati di bilancio più recenti delle multinazionali. Sono le vendite nell’area denominata Asia-Pacifico (Giappone escluso) a far segnare gli incrementi di gran lunga maggiori. Tutto questo in un contesto comunque positivo, dopo i minimi toccati tra i 2008 e il 2009 nella fase più acuta della crisi. Bulgari, per esempio nel 2007 realizzava in Asia (esclusi Giappone e Medio Oriente) circa il 20 per cento dei propri ricavi. Nel 2010 il fatturato del gruppo è stato ancora di poco inferiore a quello di tre anni prima, ma la quota di Cina e dintorni ha superato il 27 per cento. Per Prada nei primi 9 mesi del 2010 il giro d’affari globale è cresciuto del 31 per cento, quello asiatico del 51 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Insomma, l’Oriente, a parte il Giappone, cresce quasi a doppia velocità.

La caccia ai marchi non risparmia neppure le auto. Bmw e Mercedes l’anno scorso hanno fatto registrare risultati da record. Il boom però è targato Cina. Mercedes, in particolare, l’anno ha più che raddoppiato le proprie vendite nel Paese della Grande Muraglia: da 70 mila a 148 mila vetture.

La Ferrari, marchio di lusso per eccellenza delle quattro ruote, l’anno scorso ha aumentato i propri profitti operativi del 27 per cento a 303 milioni di euro, facendo segnare il record di vendite. E in Cina l’azienda di Maranello ha raddoppiato: 300 esemplari piazzati nel 2010 contro i 150 del 2009.

Non solo gioielli, abiti e orologi, quindi. A Pechino e Shanghai la corsa ai simboli della ricchezza occidentale moltiplica le vendite anche delle case automobilistiche. E’ l’ennesimo segnale, spiegano gli economisti, che la ricchezza, in una sorta di riequilibrio a livello globale, si sta sempre più spostando dagli Stati Uniti e dalla vecchia Europa in direzione del paese che fu di Mao. C’è poco da sorprendersi, allora, se un’azienda come Prada sceglie di quotarsi in Borsa a Hong Kong anzichè a Milano.

Lo sbarco in Borsa può diventare una vetrina per aumentare le vendite su un mercato in forte crescita. E poi, come dimostra il passato recente, il listino cinese ha garantito valutazioni mediamente più elevate rispetto all’Europa e a Wall Street. Come dire, più soldi in cassa per l’azienda che si quota. Quello che ci vuole per Prada, che deve fare il pieno di risorse anche per rimborsare il forte indebitamento bancario.

Da Il Fatto Quotidiano del 29 gennaio 2011
(sylvestro)
00sabato 5 febbraio 2011 21:09
Re:
(sylvestro), 10/01/2011 11.21:

Il Baltic Dry Index galoppa verso nuovi minimi assoluti






[SM=g1750163] [SM=p7579]




dgambera
00giovedì 17 febbraio 2011 16:14
Ricominciamo con gli 0virgolaniente

Il Pil dell'area Ocse rallenta nel quarto trimestre del 2010. Italia in coda, cresce solo dello 0,1 per cento

17 febbraio 2011


Il Pil dei Paesi dell'area Ocse è cresciuto dello 0,4% nel quarto trimestre del 2010. Lo rilevano le statistiche dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Si tratta del settimo trimestre consecutivo di crescita, ma segna anche un rallentamento rispetto allo 0,6% del terzo trimestre. Nell'ultima parte dell'anno l'Italia ha fatto registrare un +0,1 per cento.

Più in particolare, in Germania nell'ultimo quarter dello scorso anno il Pil è salito dello 0,4% (dopo il +0,7% del trimestre precedente); in Francia, invece, resta stabile allo 0,3%. Subisce una contrazione la crescita economica in Giappone (-0,3%) e in Gran Bretagna (-0,5%). Accelera quella degli Stati Uniti: +0,8% rispetto a +0,6% del terzo trimestre.
©RIPRODUZIONE RISERVATA



E dopo "siamo più forti della Germania se aggreghiamo debito pubblico e privato", adesso se alla Germania togliamo le vendite di macchine o agli altri gli aiuti statali (a proposito: perchè non lo facciamo anche noi un pò di deficit spending?) noi siamo più forti e gli altri delle pippe

Come si può tradurre «Pil» dal tedesco all'italiano?

di Marco Fortis 17 febbraio 2011


La flessione dei Pil di Giappone (-0,3%) e Gran Bretagna (-0,5%) nel quarto trimestre 2010 e l'espansione relativamente modesta dell'economia americana, nonostante l'imponente deficit pubblico e l'aggressiva politica di "quantitative easing" della Fed, dimostrano che, con l'eccezione della Germania, c'è per il momento ben poca crescita nel mondo ricco, indipendentemente dai fattori climatici che hanno "raffreddato" gli ultimi tre mesi dello scorso anno.

Sicché il Pil italiano che chiude il quarto trimestre 2010 con un aumento congiunturale dello 0,1% (nonostante una dinamica dell'industria in temporanea frenata) e consolida nell'intero 2010 un incremento dell'1,3% (1,1% corretto per i giorni lavorativi) appare quasi consolatorio. Anche perché l'ultimo rapporto Pmi di Markit segnala a gennaio una rapida ripartenza della produzione manifatturiera italiana con un aumento al tasso più veloce in oltre quattro anni e mezzo e il maggiore aumento degli ordini esteri in undici anni.
Eppure fiumi di inchiostro sono stati spesi sulla debolezza dell'attuale ripresa dell'Italia che riproporrebbe, come già avvenuto prima dello scoppio della crisi globale, i medesimi profili di bassa crescita che avevano caratterizzato il nostro paese nel decennio precedente. Per la verità è in atto, anche se più nel mondo anglosassone che da noi, una certa revisione critica della storia economica degli ultimi anni, come dimostra anche un'analisi dell'Economist secondo cui non era affatto vero che la Germania crescesse meno di Usa e Gran Bretagna prima della crisi. Al contrario, la Germania, ora diventata addirittura "modello universale", era cresciuta più di tutti nel G-7 in termini di Pil pro capite. Queste analisi sono certamente apprezzabili ma ancora non tengono conto della spinta abnorme, da noi più volte sottolineata, dell'indebitamento privato e della bolla immobiliare e finanziaria sulla crescita passata degli Usa e del Regno Unito, poi collassati e ora alle prese anche con sbilanci pubblici spaventosi, per non parlare degli ex "miracoli" falliti miseramente dell'Irlanda o della Spagna.

Considerando anche i conti finanziari nazionali, la dinamica economica tedesca tra il 2000 e il 2008, realizzata senza accrescere i debiti privati, anzi riducendoli, apparirebbe ancor più meritevole di apprezzamento e, forse, vi sarebbe persino un po' di spazio per una "rivisitazione" storica anche della debole performance italiana.

Una cosa è certa. Senza la droga delle "bolle" ora crescere è più difficile per tutti. E, se si guardano meglio i dati macroeconomici, si scoprirebbe che, contrariamente a ciò che molti pensano, senza l'aiuto della mano benevola dello stato la ripresa di tanti altri paesi non è poi molto più scoppiettante rispetto alla nostra se non addirittura inferiore. Il che dimostra la perdurante superficialità di tante valutazioni che continuano ad identificare nel nostro paese un "caso" unico, meritevole addirittura di un seminario ad hoc al recente forum di Davos che ha concluso i propri lavori giudicando sbrigativamente l'Italia "marginale e in declino" secondo un vecchio copione ormai abusato.
Vale la pena di ricordare che se si considerano i 6 più importanti paesi della Ue e gli Stati Uniti, l'Italia è stata l'unica economia che, a seguito di una rigorosa politica di bilancio, dal secondo trimestre 2009 al terzo trimestre 2010 ha drasticamente ridotto la spesa pubblica a valori costanti: -0,8 per cento. Mentre altri paesi l'hanno fortemente accresciuta: l'Olanda del 2,6%, la Germania del 2,5%, la Francia dell'1,9%, gli Stati Uniti dell'1,3% e la Gran Bretagna dell'1,2 per cento. Si può fare un semplice esercizio, andando a vedere come sarebbe stata la crescita degli altri paesi se anche loro avessero ridotto la spesa pubblica come ha fatto l'Italia. Si tratta di una simulazione magari non rigorosissima perché bisognerebbe tener conto dell'impatto delle tecniche di destagionalizzazione dei dati sulle serie statistiche così modificate nonché degli effetti indotti demoltiplicativi sugli altri settori provocati da un'ipotetica mancata spesa dello stato. Tuttavia siamo certi che, anche elaborando stime più raffinate, non si arriverebbe a conclusioni molto diverse dalle nostre (che casomai peccano per difetto a svantaggio dell'Italia).

Che cosa emerge dall'analisi? Innanzitutto (si veda la tabella) si conferma comunque la forte crescita del Pil della Germania dal secondo trimestre 2009 al terzo trimestre 2010, anche se, applicando una riduzione della spesa pubblica analoga a quella dell'Italia, l'incremento del Pil tedesco calerebbe un po' passando dal 4,6% a un 4 per cento. E in modo simile scenderebbe anche la crescita Usa dal 3,7% al 3,3 per cento. Il dato più interessante però è che con un taglio "all'italiana" della spesa pubblica la crescita del Pil francese diminuirebbe da 1,9% a 1,2% e risulterebbe inferiore all'aumento del nostro Pil. Anche il tasso di crescita olandese diminuirebbe di quasi un punto percentuale e si avvicinerebbe notevolmente a quello italiano. Mentre l'incremento del Pil inglese rimarrebbe superiore a quello dell'Italia soltanto di 0,5 punti. Ed è verosimile ritenere che, aggiungendo i dati del quarto trimestre 2010 (con l'Inghilterra in forte frenata), il gap tra il nostro paese e la Gran Bretagna si ridurrebbe ulteriormente.

Vanno poi considerati gli enormi incentivi fiscali ai consumi privati che, diversamente dall'Italia, paesi come gli Stati Uniti o la Germania hanno messo in campo durante la crisi: incentivi che non sono stati molto diversi da veri e propri aiuti di stato. Lo stesso Istituto federale di statistica ha stimato che, senza gli acquisti di auto, nel 2009 i consumi tedeschi anziché aumentare dello 0,4% circa sarebbero calati in termini puramente matematici dello 0,5 per cento. Alla luce di tutti questi elementi, tante iperboli sulla stessa Germania, che pure vanta un'industria manifatturiera con gruppi formidabili ed ha fatto riforme importanti, sono forse un po' esagerate. Tanto per cominciare, nonostante le molte auto e tecnologie che la Germania vende alla Cina, la bilancia commerciale tedesca è in costante flessione ormai da diversi mesi ed è ancora del 20% circa inferiore in valore ai massimi pre-crisi. Sicché gli stessi tedeschi affidano ora le loro speranze sul 2011 non più all'export ma alla crescita statisticamente già acquisita nel 2010 e all'auspicio che la domanda interna non deluda.
La realtà è che senza l'apporto della spesa pubblica (che si è drammaticamente scaricata sui deficit di bilancio assieme ai costi dei salvataggi bancari, degli incentivi ai consumi e delle indennità di disoccupazione) una buona parte della ripresa di molti paesi non si sarebbe concretizzata. E per come è avvenuta è altrettanto evidente che non si tratta di una ripresa completamente solida. Tutto ciò rivaluta il +1,5% di crescita del Pil italiano tra il secondo trimestre 2009 e il terzo trimestre 2010 che è stato determinato esclusivamente da una ripresa reale e non dalla mano dello stato. Ciò ovviamente non significa che l'Italia non debba fare di più per crescere. Ma con maggiore consapevolezza del suo effettivo ritardo rispetto agli altri Paesi e decidendo in modo meno ansiogeno e improvvisato le scelte da operare.



Come dire: se alla Ferrari togliamo 4 pistoni la mia Panda vince i il mondiale
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