Saranno tempi difficili per i giornalisti economici
Saranno tempi difficili per i giornalisti economici
Il baricentro dell’economia mondiale si sposterà ad Est e l’Occidente perderà la sua supremazia economica. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti e Loretta Napoleoni
Lo analizza con la consueta lucidità soffermandosi sul cattivo operato dei giornalisti finanziari
Loretta Napoleoni economista ed esperta di terrorismo islamico, con¬sulente per la BBC e la CNN, editorialista per El Pais, Le Monde e The Economist parla in questa intervista della difficile situazione economica che l’Italia, insieme al resto d’Europa, si troverà a fronteggiare e del ruolo dei giornalisti economici nel contesto della crisi globale.
Lei sostiene che la crisi in Italia assumerà contorni peggiori di quelli che già si intravedono oggi.
«Per l’Italia la situazione non è rosea, è un paese con un grossissimo debito pubblico che gode quindi di scarsissima liquidità per poter rilanciare l’economia. Il 2009 e il 2010 saranno anni durissimi, gli attuali indicatori economici registrano già una crescita negativa nel settore industriale se a ciò aggiungiamo un debito al 117 - 118 per cento diventa evidente che il margine di manovra da parte dello Stato è pressoché minimo».
Come giudica la politica di Tremonti in questo difficile frangente?
«Tremonti spesso ha buone idee e cerca di muoversi nella direzione giusta. Il problema è che negli ultimi 20 anni la dottrina liberista ha ridotto il ruolo dello Stato a favore del ruolo del mercato dunque anche la manovra fiscale ha un margine di successo molto piccolo».
Cosa si potrebbe fare secondo lei?
«Credo che prima di tutto bisogna individuare quali sono i settori produttivi che vale la pena salvare nella nuova economia. In Italia certamente non sono tantissimi ma qualcuno esiste, l’industria dell’abbigliamento ad esempio, anche se poi bisognerà vedere se questa industria produrrà in Italia o all’estero. Questo è un altro problema del nostro paese e di tutto l'Occidente in generale e cioè che le industrie trainanti, o che potrebbero esserlo, poi producono essenzialmente all’estero il che vuol dire che chi beneficia di eventuali sgravi fiscali molto probabilmente non produce in Italia».
Si potrebbero vincolare questi aiuti alla condizione di mantenere la produzione in loco.
«Secondo me non è possibile perché altrimenti si esce dalla globalizzazione. Qualsiasi iniziativa protezionista non funziona, alla fine diventa un boomerang».
Cosa ci possiamo aspettare per il dopo, ci sarà un crollo del liberismo?
Il modello capitalista esiste anche in Cina con una forma di governo differente da quello dell’ Occidente. Tra i due quello è il modello vincente, ma non si può applicare al nostro paese perché non siamo un’economia emergente, ma post industriale. E’ una ricetta che si potrà applicare ai paesi africani o in alcuni paesi sudamericani dove avrà un grandissimo successo, ma in Italia non vedo come questo modello possa funzionare.
Pensa che l’Italia, una volta scomparsa completamente l’industria, avrà solo il ruolo di “Grand Hotel” dei paesi emergenti grazie alle bellezze artistiche di cui disponiamo?
«Beh, speriamo che ci rimanga almeno quello perché vorrà dire che avremo un settore trainante.
Pensiamo all’Inghilterra, ad esempio, cosa farà dopo il crollo dell’ industria finanziaria? Tutti i paesi occidentali in un modo o nell’altro si dovranno cercare delle nicchie per sopravvivere perché questo è lo scenario del futuro che non è necessariamente negativo. L’economia mondiale continuerà a crescere anche se non da noi».
Ritiene che i giornalisti finanziari abbiano una qualche responsabilità in questa crisi ?
«Parto da una premessa. Il mestiere di giornalista è cambiato negli ultimi vent’anni, è diventato più frenetico, il tempo per approfondire e verificare le notizie è sempre di meno. E’ stato calcolato che oggi un giornalista scrive il 200% in più rispetto al passato, nello stesso tempo sono aumentate le pagine dei giornali mentre si è ridotto l’organico delle redazioni. Ciò significa che è diventato molto più arduo fare bene questo lavoro. Il che naturalmente non giustifica il consociativismo tra chi scrive sui giornali e l’alta finanza».
Come si spezza questo consociativismo?
«Si spezza solo attraverso l’etica, fare il giornalista è un po’come fare il medico, è necessario avere un’etica perché la notizia è importante non solo per il lettore della strada, ma anche per quello di settore. Il giornalista finanziario ha fallito perché non ha svolto la dovuta analisi preventiva della situazione. Fino al giorno prima del crollo leggevamo editoriali euforici sul Financial Times, per dirne uno, che magnificavano la grandezza del capitalismo occidentale mentre i bu¬chi nei bilanci erano già enormi. E’ un mestiere che bisogna fare per divulgare la verità e non per fare soldi o acquisire un certo status sociale».(pagina 64)
Valeria Tancredi.
www.odg.bo.it/Giornalisti75.pdf
"il capitalismo di una volta si basava sullo sfruttamento, ma non sul furto"
gabrielecaramellino.nova100.ilsole24ore.com/2009/10/un-caff%C3%A8-con-loretta-napole...